*

103 5 1
                                    

Kakucho's pov

Mi svegliai cullato dalla luce che penetrava dalle tapparelle rotte e dalle urla dei vicini di sopra, in quella stanza monotona che ormai conoscevo come il palmo della mia mano. Non c'è da stupirsi, vorrei dire, è casa mia, abito qua da quando ho finito la scuola e mi sono trovato un lavoro, se non conoscessi casa mia passerei per il pazzo di turno.
Nonostante ciò, non mi sono mai sentito al sicuro in queste mura, non ho mai sentito di poter definire casa questa abitazione decisamente troppo grande per una sola persona.

Mi alzai, controvoglia, dal letto e mi separai dal mondo dei sogni, che la maggior parte delle volte era sostituito dall'inferno degli incubi.
Preparai una colazione veloce e indossai i primi vestiti puliti che trovai nell'ammasso informe di vari capi, più sporchi che puliti, che si innalzavano sulla sedia, che è sempre stata ridotta in uno stato pietoso da quando ne ho memoria.

Uscii di casa, di fretta e sbadatamente, imprecando contro i lacci slacciati delle mie scarpe e il vicino attacca-pezze all'ingresso, dotato dell'innato talento di prosciugarti con i suoi discorsi logorroici in meno di un minuto.

Non ho mai preso la patente, anche se è in momenti come questi in cui ne sento il bisogno: quando sei talmente in ritardo che fai prima a presentarti il giorno dopo e c'è lo sciopero dei mezzi. Insomma, il buongiorno si vede dal mattino. Iniziai a correre nel disperato tentativo di ridurre l'attesa della strigliata che mi sarei beccato al lavoro sul fatto che non posso sempre contare sui colleghi, delle responsabilità che ho in quanto lavoratore eccetera eccetera eccetera...

Arrivai con il modesto ritardo di 45 minuti e ci mancava che mi prendessero a cinghiate, per quanto mi sbraitavano addosso, manco fossi arrivato in ritardo al funerale di mio padre o al mio matrimonio.
Alla fine, dopo la predica, mi diressi a indossare il mio grembiule con stampato sopra il logo STURBUCKS e il cartellino col mio nome. Non capisco proprio perché accanirsi per 45 minuti di ritardo quando si lavora in uno STURBUCKS dimenticato da Dio, dove è già tanto se vengono venti clienti in un giorno.

La giornata passò come ogni altra, tra ordinazioni e caffè, clienti arrabbiati per la dose errata di latte e nomi improponibili sui bicchieri di carta.
Una volta finito il turno mi diressi nel solito stanzino dove mi cambiavo, togliendimi il grembiule e le preoccupazioni. Uscii, salutando distrattamente i colleghi, più simili a bestie che farebbero a botte per una bevanda energetica, e il mio capo, quasi sempre assente.
Non mi passò neanche nell'anticamera del cervello di salutare Senju, la collega che, fra tutti, sopportavo di meno. Non perché avessimo avuto una lite o mi avesse insultato in malomodo, semplicemente ci ignoravamo, senza proferire parola o cercare di instaurare una conversazione, cosa che non ci risultava difficile dati i nostri turni.

Mi allontanati velocemente dal negozio e mi insinuai nella folla che si trovava a poche vie dal locale. Seguii la corrente della massa, come salmoni con la corrente, per qualche metro, dove svoltai in un altra strada, meno trafficata; nonostante ciò definirla "libera" era un parolone.

Camminai indisturbato fino a che le mie orecchie non udirono una melodia.

𝕣𝕠𝕠𝕞𝕞𝕒𝕥𝕖𝕤 || KakuizaWhere stories live. Discover now