6. Salvare un amico

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Avrei rincorso Lorenzo anche senza che Leonardo me lo avesse chiesto; lo conosco da quando era piccolo, se si è comportato così qualcosa non va. Più corro lungo le strade di questa città e più mi rendo conto come sia diversa da Firenze. Immagino come debba sentirsi spaventato, Lorenzo: da solo non è mai uscito fuori dalle mura della Signoria, temo possa perdersi o che qualcuno possa approfittare della sua ignoranza.

Nonostante sia partito subito dopo di lui non riesco a vederlo. Ci sono moltissimi vicoli e stradine secondarie che potrebbe aver preso. Decido di continuare sulla principale, finché non raggiungo una chiesetta con un parroco fuori dalla porta. Mi fermo per chiedere informazioni.
"Buongiorno padre, per caso un ragazzo sui sedici anni con i capelli neri e lisci e il viso lungo è passato di qua? Cavalca un cavallo nero e vestiva di scuro." Chiedo fornendo una descrizione generale del mio amico. Lui mi fissa per qualche istante.
Ho l'impressione di averlo già visto. Mi si avvicina e con un cenno del capo si presenta.
"Piacere, Ludovico Riario. State cercando Lorenzo de' Medici, vero?" Annuisco.
"Sì." Rispondo abbastanza sorpreso.
"Mi ha chiesto dove avrebbe potuto trovare il cardinale Ammannati, l'ho indirizzato verso piazza San Pietro. Andate lì e lo troverete. È passato di qui poco fa." Spiega indicando la strada con la mano. Lo ringrazio e continuo il mio inseguimento, ma mentre sto per risalire a cavallo sento la voce di Leonardo.
"Roberto!" Urla da lontano. Aspetto che mi raggiunga e lo saluto.
"Leonardo, questo è Ludovico Riario, uno degli uomini con cui Lorenzo stava parlando questa mattina." Dico presentando il mio nuovo amico e ricordandomi improvvisamente dove lo avessi già visto. "Perdonatemi se non vi ho riconosciuto subito." Dico scusandomi. Lui non sembra farci caso e Leonardo e Ludovico si salutano con un cenno della testa. "Lorenzo è andato a San Pietro se ci sbrighiamo lo raggiungiamo." Lo aggiorno.
"Sì dobbiamo sbrigarci, Lorenzo era debole e non vorrei che gli capitasse qualcosa." Risponde il ragazzo con una punta di preoccupazione. Sale a cavallo e aggiunge: "Anche se ora sta correndo sull'adrenalina, penso che dovremmo preoccuparci quando l'emozione svanirà." Gira il cavallo e lo sprona al galoppo. Intanto anche io sono salito e mi lancio all'inseguimento. Riario sembra ammaliato da quel ragazzino, Leonardo ha un carisma tutto suo in effetti: un attimo sembra un normale bambino indifeso, quello dopo sembra un uomo fatto; come adesso, su quel cavallo sembrava un uomo quasi più di me, senza contare la vastità delle sue conoscenze. Cavalco nella sua scia e dopo pochi minuti vediamo il nostro amico sulla strada poco distante, ma sparisce quasi subito nella calca.

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Arrivo a San Pietro senza perdermi. È abbastanza semplice muoversi per Roma, tutte le strade in un modo o nell'altro arrivano in Vaticano. Il potere dei Papi. Attraverso un ponte sul Tevere, ma a metà mi fermo e smonto di sella. Mi avvicino al bordo e mi concedo un minuto di respiro. Il fiume è spaventoso: il suo boato è assordante, sembra una divinità infuriata pronta a riversare la sua ira sugli uomini. Avevano ragione gli antichi Romani a temerlo. Rabbrividisco. L'aria che poco prima mi era sembrata soffocante ora è quasi gelida. Appoggio le mani sulla pietra fredda della ringhiera, un capogiro. È passato, niente di che. Sento la fronte in fiamme. Ho freddo e sto sudando. Sento scivolare la terra sotto i piedi. Mi aggrappo al ponte con tutte le forze e mi constringo a respirare profondamente. Dopo poco mi sento meglio. Sarà l'odore fetido del Tevere a provocarmi questi malesseri. O forse la caduta. Mi volto e vedo una ragazza vestita di verde, con lunghi capelli ramati. Riconosco in lei la donna che avevo visto al palazzo di mio zio quella mattina. Incrociamo lo sguardo, quando i suoi occhi verdi si puntano nei miei, temo possa leggermi nel pensiero e mi constringo a guardare in terra. Poco dopo sento il rumore di una carrozza e mi accorgo che le si è fermata di fronte e ì lei sta salendo. Porta lo stemma di un serpente e una rosa a cinque punte.
Mi sento di nuovo mancare. Mi aggrappo alla ringhiera con tutte le forze e mi siedo sulla roccia fredda. Alzo lo sguardo e mi rendo conto di essere davanti a Castel Sant'Angelo. Percepisco inquietantemente lo sguardo dell'angelo di marmo sulla sua sommità incombere pesantemente su di me e un brivido mi percorre la schiena.

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Roberto cavalca dietro di me. Siamo entrambi preoccupati e i nostri cavalli lo sentono. Non so se fidarmi di quel Riario. Dopotutto perché mai avrebbe dovuto aiutarci così. Arriviamo sulle sponde del Tevere e vedo Lorenzo appoggiato alla ringhiera del ponte poco distante. Intorno a noi ci sono venditori che urlano, bambini che giocano e cardinali seguiti dai loro servi intenti ad evitare che la loro preziosa porpora non si rovini con lo sporco dei sobborghi. Mentre faccio un cenno a Roberto per avvertirlo che ho trovato il nostro amico, una carrozza con lo stemma di una rosa e un serpente mi passa accanto. Quello era l'antico blasone degli Orsini, la famiglia più potente di Roma.

Raggiungiamo Lorenzo. È seduto in terra accanto al suo cavallo, con la mano aggrappata alla ringhiera del ponte. Ci avviciniamo. Sembra sorpreso di vederci, come se avesse pensato che noi non saremmo andati a cercarlo.
"Lorenzo! Ci hai fatti preoccupare!" Lo rimprovera Roberto chinandosi. "Lo sai cosa mi ha detto tuo padre, che non dovevo perderti mai di vista perché Roma non è Firenze e qui il tuo nome non ti garantisce protezione, anzi!" Il Malatesta è sinceramente spaventato per il suo amico, ma è contento di vedere che sta bene. "Andiamo ti aiuto ad alzarti." Lorenzo gli passa un braccio intorno al collo e Roberto lo solleva.
"Grazie, davvero. Nonostante tutto siete venuti a prendermi." Dice guardandoci un po' a turno come se non sapesse chi ringraziare per primo. Noi sorridiamo.
"Ti riaccompagnamo da tuo zio." Dico facendo per aiutare Roberto con il suo carico, ma poi mi blocco rendendomi conto che in realtà Lorenzo è la metà di Roberto e che quest'ultimo non ha bisogno di alcun aiuto per metterlo sul cavallo.
"No, prima devo parlare con Ammannati." Risponde afferrando le redini di Nasser.
"Non mi sembra una grande idea..." Rispondo, vorrei che se ne tornasse a letto. Lorenzo si volta a guardarmi e lancia un'occhiata degna delle sue giornate peggiori; la mascella contratta, le sopracciglia accigliate, ma il peggio sono i suoi occhi: nelle sue pupille nere come le tenebre piú profonde é in corso una tempesta con tanto di fulmini. Quello sguardo mi terrorizza, lo ha sempre fatto e sempre lo farà. Mi giro verso Roberto che ha un'aria rassegnata: è preoccupato per il suo amico ma allo stesso tempo non vuole litigarci, ma sa che forse ha ragione.
"Almeno permettici di accompagnarci." Chiedo. Lui annuisce e riinizia la corsa.

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La carrozza sobbalza più di quanto la ragazza sia disposta a sopportare. Non ama la vettura dello zio, ma è l'unico modo per non dare nell'occhio: in città la discrezione è importante specialmente per una del suo rango, a cui raramente è concesso uscire di casa. Dal finestrino vede la gente che abita la sua stessa città, ma in un mondo diverso. Roma è povera. I suoi cittadini non hanno di che mangiare, mentre i ricchi si abbuffano ad ogni ora del giorno gettando a fiume scarti di pasti sempre troppo abbondanti; scarti per cui la gente che stava guardando avrebbe ucciso. Vede bambini, ridotti a ombre di sé stessi, litigarsi il cibo con i ratti sul bordo della strada; madri che cercano disperatamente qualcosa con cui sfamare i figli; malati e anziani chiedono l'elemosina agli angoli delle piazze e per l'ennesima volta Clarice Orsini pensa che avrebbe voluto fare di più.

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⏰ Last updated: Nov 23, 2023 ⏰

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Il nome dei Medici - The Masters of Florence Where stories live. Discover now