1. Un brutto inizio

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Roma, 1466
Siamo appena arrivati nell'Urbe. Mio padre mi ha spedito qui perché gli procurarsi l'appalto per un miniera di allume, poiché mio zio, che è il responsabile del Banco Medici a Roma, non è riuscito nell'impresa.
"Lorenzo a che pensi?" Mi chiede il Malatesta. Roberto Malatesta ha nove anni più di me. È il figlio del signore di Rimini, siamo amici da tanto tempo e mio padre l'ha pregato perché mi accompagnasse. Sa maneggiare una spada da prima che io venissi al mondo ed è un cavaliere formidabile, oltre che un amico leale.
"Roberto, Lorenzo sta pensando a quella donna Lucrezia Ardinghelli. Ho ragione figliolo?" Risponde il mio precettore Gentile de' Becchi con una punta di disapprovazione. È a lui che devo il mio grande amore per la letteratura e le arti.
"Donati" rispondo. "Ancora non è sposata!" cerco di difendermi. Ma la verità è un'altra: è promessa ad un mercante fiorentino alleato dei Medici e quindi è come se fosse già sposata.
Roberto cavalca accanto a me, posso intravedere sul suo volto un'ombra di preoccupazione, appena attraversiamo la porta della città. Sento dei tumulti infondo alla via principale. Sono tentato di andare a curiosare quando sento una voce familiare che mi chiama.
"Lorenzo! Che piacere vederti ragazzo mio." Era mio zio Giovanni, il fratello di mia madre. Il responsabile della filiale romana del Banco Medici. "Tuo padre se ti ha mandato qui per ottenere l'appalto deve attribuirti poteri sovrumani." Noto una punta di rammarico nelle sue parole. Non so come rispondere perché il complimento mi ha fatto piacere, non vorrei sminuire il mio talento e allo stesso tempo non apparire troppo orgoglioso o arrogante.
"In realtà c'è un altro motivo per cui mio padre mi ha mandato qui oltre per offrire il mio aiuto con l'appalto..." rispondo.
"Lucrezia Ardinghelli" dice Roberto ponendo maggiore enfasi sul cognome da sposata della ragazza.
"Perché vi ostinate a chiamarla con il congnome di sui marito se non è ancora sua moglie!" Tutti scuotono la testa in segno di resa. Mi accorgo che quello che ho appena detto possa sembrare oltremodo infantile e immaturo. Mio zio ci guida verso un vicolo particolarmente angusto e maleodorante, credo che voglia evitare la calca della strada principale. Un frate francescano si sta dirigendo dalla nostra parte, urta contro il mio cavallo, Nasser, e lo fa imbizzarrire. Gli altri si allontanano, Roberto smonta di sella per afferrare le mie redini e cercare di calmarlo. Vengo disarcionato e finisco sotto gli zoccoli, ma prima che possa accadere il peggio sento una presa forte sulla mia spalla che mi tira via e un ragazzo moro di circa vent'anni si para di fronte a Nasser, cercando di calmarlo mormorardogli parole in arabo. Colui che mi ha salvato la vita mi aiuta ad alzarmi; sento che mi fa male il braccio destro ma per il resto, a parte un grande mal di testa, sto bene.
"State bene Messer Medici?" Mi domanda il moro.
"Come fate a sapere il mio nome?" Chiedo con la vista ancora un po' appannata.
"Ho visto lo stemma sulla vostra sella quando ho preso le redini, ma ditemi state bene?" Intanto anche Roberto è arrivato, lasciando un Nasser più calmo a mio zio.
"Sì sì sto bene" rispondo. "Perdonate ma chi siete voi messeri?"
"Il mio nome è Ludovico Riario e sono un cappellano" si presenta il moro.
"E io sono Rinaldo Orsini." Risponde quello che aveva calmato Nasser.
"Lorenzo de' Medici" rispondo porgendo la mano. Lui la stringe piano, deve aver intuito che mi sono fatto male al braccio. "Lui è Roberto Malatesta." Presento il mio amico che come me porge la mano che Orsini stringe con maggior forza.
"Vieni Lorenzo torniamo dagli altri" Roberto e io ci allontaniamo, mentre gli altri due se ne vanno allegramente verso la calca. Mentre sto per salire in sella vedo qualcosa luccicare sotto di essa, nel sottopancia; è un pugnale con uno stemma che non è il mio: sei mezze lune disposte su tre colonne si due rovesciate una sull'altra. Quest'arma deve avere almeno duecento anni, è uno dei più bei pugnali che abbia mai visto, di sicuro deve appartenere a una famiglia di nobili origini o ad una dinastia. So che il fatto che sia stato infilato nel sottopancia è una minaccia di morte e un brivido mi percorre la schiena. Ci scambiamo uno sguardo di terrore.
"Lorenzo stai bene? Che hai fatto al braccio?" Chiede mio zio.
"L'ho sbattuto quando Nasser mi ha disarcionato." Rispondo distrattamente. Il mio sguardo è attirato da un coltello che qualcuno mi ha infilato sotto la sella. Lo prendo in mano per osservare meglio lo stemma su di esso.
"Cos'hai lì?" Chiede Monsignor Becchi avvicinandosi con la carrozza.
"Figliolo, dove lo hai trovato?" Chiede con apprensione. "Dammelo."
"Era nel sottopancia." Risponde Roberto impaurito. Il mio precettore ha uno sguardo grave e mi spaventa.
"Ragazzo mio, chi ti vuole morto qui a Roma?" Mio zio formula quella domanda senza un minimo di esitazione.
"A Firenze ci sono un quasi marito cornificato, la famiglia Albizzi e i Pazzi che vi odiano da molto tempo e che probabilmente ti vorrebbero veder morto Lorenzo, ma qui a Roma... non credo che tu conosca nessuno di queste parti." Roberto ha ragione non conosco nessuno di queste parti. Però nè gli Albizzi, nè i Pazzi e men che meno gli Ardinghelli hanno lo stemma raffigurato su quel pugnale.
"No nessuno di loro ha quello stemma." Risponde precendomi Gentile de' Becchi.
"Comunque sia è meglio toglierci dalla strada." Non mi piace restare lì a discutere dei miei nemici di fronte a tutti. Roberto acconsente con un cenno del capo, così come mio zio e il mio precettore.

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Abbiamo appena varcato i confini di Roma, probabilmente Lorenzo starà pensando a quanti imperatori sono vissuti qui e quanti personaggi hanno calpestato questo stesso terreno prima di noi. O molto più semplicemente sta pensando a quando gli manchi Lucrezia Ardinghelli.
A volte quel ragazzo mi fa tenerezza, in fondo ha solo diciassette anni e già suo padre gli affida missioni che di rado si affiderebbero a uomini con il doppio della sua esperienza.
Suo padre, non so perché, mi ha pregato quasi in ginocchio affinché lo accompagnassi. Ma penso che anche lui come tutti si preoccupi per il figlio: Lorenzo non ha mai affinato le sue abilità con la spada se non lo stretto necessario; quando venivo con mio padre a far visita a Piero de' Medici (il padre di Lorenzo) o a Cosimo (il padre di Piero), molte volte trovavo il piccolo Lorenzo seduto su una panchina del giardino con un uomo che gli leggeva Omero o altri autori antichi e mi sorprendevo della sete di conoscenza che poteva avere un bambino di massimo quattro anni. Sua madre Lucrezia non voleva che disturbasse coloro che suo marito o che suo suocero ospitavano a palazzo, ma ben presto si rese conto che la sua presenza faceva piacere.
"Lorenzo, a cosa pensi?" Lui non mi risponde, forse non mi ha nemmeno sentito.
"Roberto, sta pensando a Lucrezia Ardinghelli." Rispose il monsignor Becchi, il precettore di Lorenzo.
Lo zio di Lorenzo, Giovanni Tornabuoni, ci sta aspettando accanto alla porta de la città. Mi presento. Lorenzo non sembra ascoltarci, poi Giovanni gli rivolge la parola.
"Lorenzo! Se tuo padre ti ha mandato per l'appalto ti attribuisce poteri sovrumani." Il mio amico esita a rispondere forse vuole trovare le parole giuste per non sminuirsi ma al contempo non sembrare troppo orgoglioso.
"In realtà il motivo è un altro..." Risponde.
"Quella ragazza, Lucrezia Ardinghelli" anticipò Giovanni.
"Lucrezia Donati" Lorenzo sembra enfatizzare molto su quel cognome. "Perchè la chiamate con il suo nome da sposata se ancora non lo è!" Quella frase dimostra il lato ancora bambino del carattere del mio amico. Penso che se ne sia accorto anche lui. I rumori della folla mi agitano, cerco di mascherare la mia preoccupazione. A Carnevale Roma si trasforma e per un giovane come Lorenzo i pericoli si moltiplicano. Un frate si sta avvicinando. Urta il cavallo di Lorenzo che lo disarciona e il mio amico finisce sotto gli zoccoli. Vorrei aiutarlo ma se ci avviciniamo il cavallo si agiterà di più. Mentre indietreggiamo, due ragazzi arrivano in soccorso del mio amico; il primo lo trascina fuori dalla portata degli zoccoli del cavallo mentre il secondo calma la bestia. Lorenzo è quasi svenuto e vedo che si tiene il braccio destro. Cadendo deve aver sbattuto la testa ed essere caduto sul braccio. Il ragazzo mi riconsegna le redini e corre dal suo amico e da Lorenzo. Vedo che stanno parlando. Ho una strana sensazione su quei due gentiluomini, consegno le redini a Tornabuoni e mi avvicino.
Lorenzo con la voce un po' impastata si stava presentando, mi rivolge uno sguardo e poi introduce anche me a quei ragazzi. Non mi fido di quei due così suggerisco a Lorenzo di andarcene.
"Lorenzo che hai fatto al braccio?" Chiede Tornabuoni. Vedo che nel sottopancia della sua sella c'è un pugnale. So fin troppo bene quale sia il messaggio e finalmente capisco perché Messer Piero abbia voluto che accompagnassi il figlio. Dopo alcune riflessioni sullo stemma raffigurato su di esso e sui nemici del mio amico, decidiamo di muoverci verso casa.

*Allora, intanto vorrei evitare che qualcuno di voi mi lanci uno stemma dei Medici contro perciò mi affretto a precisare che questa è quella che alla fine si potrebbe definire Fanfiction storica. Ragione per cui potrò inserire delle modifiche alla storia secondo le necessità della fanfiction: vedremo Cosimo il Vecchio che sarebbe dovuto morire quando Lorenzo aveva quindici anni e un giovane Leonardo. Ogni altra differenza con la storia sarà non intenzionale.
Le scene che avvengono in pochi secondi come l'incidente di Lorenzo ho cercato si renderle meno confusionate ma ho voluto lasciare comunque un alone di caos.

Cooooomunque, che ne pensate? I capitoli saranno sempre incentrati sui vari punti di vista, credo che andrò avanti così almeno per ora.*

Il nome dei Medici - The Masters of Florence Where stories live. Discover now