Era una versione di lei molto spaventosa. Perché continuava a parlarne al passato? «Non è ancora morto».

Mi ignorò del tutto. «Forse però c'è ancora tempo, magari puoi lasciare Paul e metterti con lui».

Scossi il capo. «Sì, e poi? Che farei? Marie, diciamo le cose come stanno, da brave ciniche, come dici tu. Io non voglio finire in un appartamento del cazzo in periferia lavoricchiando qua e là in compagnia di uno che fa lo youtuber».

Assunse l'espressione di un animale ferito. «Oh», disse solo.

«Finirei per disprezzarlo, capisci? Con l'andare del tempo. Ed è una cosa che non voglio, non importa come andrà, lui non merita il disprezzo di nessuno, men che mai il mio».

Era una bugia. Non avrei mai ammesso quello che ci eravamo detti davanti al piano cucina, non avrei mai detto ad alta voce che il problema non erano i soldi, ero io che avevo una paura dannata perché mi sentivo completamente nuda davanti a lui, spogliata di ogni scudo e fragile ed inerme. George conduceva il gioco ed io volevo, dovevo avere il controllo. Preferivo essere considerata una stronza che pensa solo ai soldi, piuttosto che dire la verità.

Era chiaro che Marie ne aveva di strada da fare per diventare cinica e materiale come me. Lo vidi dal suo sguardo che non condivideva l'idea dell'avidità, conoscendola non ci sarebbe mai riuscita.

Insistetti: «Posso tornare ad amare Paul, posso davvero farlo. E allora tutto andrà per il verso giusto, vedrai. Oh, ti prego, non guardarmi in quel modo!», aggiunsi quasi supplichevole. «Neanche ti avessi ferita con un tagliacarte. Avanti, devo già convivere con il senso di colpa per quello che ho fatto a Paul e a George, non farmi sentire di merda anche per te».

Storse le sue labbra carnose in una smorfietta, ma annuì. «Léo, io ci sarò sempre per te. Ricordatelo, qualsiasi cosa succeda, dovessi anche diventare una di quelli che mettono le bombe in giro».

Non riuscii a trattenermi e ridacchiai. «I terroristi».

«Sì», esitò lei. «Quelli. Léo, devo proprio dirti una cosa».

«Qualsiasi cosa, me lo merito».

«Sono un po' delusa dal fatto che tu non me ne abbia mai parlato. Siamo amiche, anzi di più, siamo come sorelle. Perché non mi hai detto niente?».

A quel punto mi ero sputtanata del tutto. Non avevo più veli, non dopo averle parlato di George e di quello che c'era stato. Scelsi, per una volta, di non mentire, perché ero stanca di raccontare sciocchezze. «Perché non sarei mai stata in grado di tollerare il modo in cui mi avresti fissata. Marie, non riuscivo nemmeno a guardarmi in faccia alla mattina. Leggere il mio fallimento nei tuoi occhi sarebbe stato orribile, spaventoso. Non l'ho detto a nessuno, soltanto a Jacques».

Non rispose, limitandosi a fissarmi.

Fui costretta a proseguire per riempire il silenzio. «Io lo amo», mormorai. Mi si riempirono gli occhi di lacrime, come se quelle che non avevo versato da quando mi ero seduta volessero uscire tutte insieme. «Oddio, io lo amo».

Mi portai una mano alle labbra e strinsi gli occhi per impedire ai rivoli salati intrappolati tra le ciglia di rotolare giù. Dopo qualche secondo una mano mi scostò i capelli dalla fronte e un paio di labbra carnose mi confortarono sfiorandomi le guance.

«Tesoro», mormorò Marie accorata. «Perché ti fai questo? Tu ami George, allora va' da lui».

«Non posso», annaspai, cercando aria. «Non posso, non con Paul. In un certo modo amo anche lui, credo».


***


Una volta, in quei due mesi idilliaci in cui eravamo stati bene, George ed io avevamo fatto il bagno insieme nella sua vasca.

The Art of HappinessWhere stories live. Discover now