Sol | @tylago

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di tylago

Petrosa, Anatolia, 3301 a

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Petrosa, Anatolia, 3301 a.C.

Amara credeva che la bellezza fosse una miscela di rarità e simmetria.
Eppure, i pendii sabbiosi della Valle Perpetua mostravano una geometria deforme, sbagliata. Le irte dune dell'area cimiteriale avevano fascino, però; nascondevano ossa, ricordi e monili d'oro, la stessa sostanza che le colava dal viso al petto. Il materiale fuso simboleggiava il sangue del morto, veicolava la sua divina trasmutazione come parte del Tutto.
Solo all'oracolo spettava il privilegio di quel bagno metallico. Il contrasto tra il corpo d'ebano di Amara e la brillantezza della tintura la rendeva, agli occhi dei presenti, una statua vivente.
Un vento caldo spirava da est, prendeva in carico il denso fumo della pira funeraria. La cremazione dell'Alto si protraeva da ore, ormai; ogni granello di cenere sarebbe stato raccolto e custodito in un'ampolla di vetro meteoritico.
Uno scorpione bianco solleticò i piedi di Amara. Abbassò il mento per guardare e lo trovò splendido; da quella creatura albina veniva distillato l'allucinogeno rituale. Lo stesso che, in quell'occasione, possedeva l'oratore delle Onoranze e i membri del Corpo Sacro, riuniti in gruppi di tuniche setose. Amara stessa ne era preda e si sentiva sfinita; non poteva descrivere quello che pullulava nel retro delle sue iridi, ma, fortunatamente, quelle visioni erano silenziose: ombre vagamente antropomorfe, bagliori, flussi rallentati di pensieri inconsci. Amara doveva solo restare in piedi, una roccaforte di carne senza difetto.
Le orecchie degli spettatori erano invase dai toni grevi dei soffiati e dei risonanti, strumenti tipici dei popoli della Dea Madre. La musica pulsante e minimale sfiorava quelle corde mentali già tese dalle sostanze stupefacenti.
«Divina, Perfetta, Scrigno di ogni Scienza.» La voce del cerimoniere iniziava ad elencare gli appellativi della Dea, avrebbe finito entro un'ora.
Ancora non scendeva la notte su Petrosa, la metropoli scolpita negli strati sedimentari di ere passate. Dalla Valle Perpetua, periferica rispetto all'agglomerato urbano, si scorgevano le luci calde delle grotte metropolitane, un orizzonte di stelle abitate.
Amara quasi non si accorse della fine. Un novizio, sfilandole accanto, le sfiorò il braccio ingioiellato, invitandola a destarsi e seguire la processione di ritorno al tempio. L'effetto della droga non pareva affievolirsi, quei baleni pulsanti le creavano punti ciechi nel campo visivo e lei sopportava, convinta che fossero manifestazioni trascendentali. A metà strada alzò la testa verso i piani più alti della montagna scavata, poteva vedere i devoti affacciati dalle finestre ovoidali come occhi luminosi. La grande città-stato non aveva sistemi di difesa visibili, nessuna cinta muraria da attraversare. I popoli dell'emisfero baciato dal sole nascente vivevano in pace da millenni, dal tempo in cui la Dea Madre aveva camminato in mezzo a loro.
«Come ti senti?»
La domanda di un giovane sacerdote le colpì il timpano sinistro. Amara rispose con sguardo appannato: «Non è concesso parlare all'oracolo» ponendo fine alle poche libertà che quel ragazzo si era concesso in virtù della loro amicizia. Amara era in estasi, su un altro pianeta, non necessariamente doveva stare bene. I rituali al fine di metterla in contatto con la dea Sol si facevano sempre più disperati, dopo troppo tempo di assenza ingiustificata: la dea taceva in modo impietoso, nemmeno i divinatori più fedeli erano arrivati al perché. Sapevano solo che dovevano continuare a far credere che Sol facesse come aveva fatto per millenni: comunicare con la casta sacerdotale più alta. I cittadini non avrebbero accettato un governo dettato dagli uomini e non più dalla dea.
Dove sei, Madre Onnipotente? Dove sono rivolti i tuoi occhi bui?
Se lo chiedeva ogni notte, Amara, anche adesso, tra lenzuola di seta. I legni curvi del baldacchino erano costole oscure proiettate verso un soffitto concavo, come la volta stellata. Credeva che con la sola forza dello spirito l'avrebbe trovata.
E allora perché questo silenzio? Parla con me, Madre. Non l'hai mai fatto. Ti chiamo da tutta la vita, da prima del giorno della mia investitura. Sono stata scelta come oracolo per un solo motivo e, di fatto, non sono mai servita a niente.
Quel pensiero le faceva montare vergogna, un formicolio per la testa, allo stomaco. Era solo una figura accessoria di un sistema spirituale segretamente fallito.
Tu puoi tutto, Madre, tu che sei pura essenza spirituale, come ci hanno tramandato dal giorno della tua apparizione dai cieli e sparizione tra le nubi. Cosa ti costerebbe manifestarti a me, che ti dedico la luna e le stelle, ogni mio sorriso, il senso del mondo e del tempo che passa?
Si ritrovò a lacrimare di frustrazione e nostalgia di qualcosa che desiderava intensamente e non aveva mai avuto: un contatto con Lei, con Sol, con l'unico essere degno di un nome proprio; tutti gli altri, compresi i luoghi, venivano appellati esclusivamente con nomi comuni di accompagno ad aggettivi. Valle Perpetua, Landa Sabbiosa, Tempio Alacre, Varchi Alteri.
I Varchi Alteri, rifletté. A sud, la catena montuosa che divide il mondo civile dai popoli selvaggi... Lì dimorano i Santi. Forse tu, Divina, sei con loro, sono luoghi in cui i contatti trascendentali sono molto facilitati. Amara sparse i capelli sul cuscino mentre rifletteva intensamente, le onde nere erano tirate nervosamente. Nessuno oserebbe arrivare a tanto. Affrontare un viaggio simile, con i pericoli delle vie deserte... Sono sorvegliata giorno e notte. Ma cos'altro dovrei fare per dare un senso alla mia vita? Il tempo passa e soffro. Mi fa male il cuore. Ho bisogno di un contatto con Lei non solo per il mio popolo, ma per me stessa.
Pregò la Madre tutta la notte, le dita intrecciate in adorazione. Prese la sua decisione.

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