2011

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Se hai diciassette anni e vivi in una cittadina di appena diecimila anime non c'è molto che tu possa fare. Sbuffi un po'. Permetti che le giornate ti piovano addosso il più velocemente possibile. L'unica soluzione potrebbe essere rintanarsi nell'aula computer.

Il liceo quasi cade a pezzi. Delle chiazze di muffa conquistano sempre più territorio sulle mura scolastiche. Però qualcuno ha messo dei fondi per un'aula computer. Sono gli anni duemila, dicono. Evviva. Porto gli occhi al cielo.

Mi siedo sulla prima sedia che trovo libera. Mi ci metto comodo. Allungo le gambe sul banco, ma non troppo da urtare la tastiera del computer fisso. Sia mai. Incorrere in altri danni è l'ultima cosa che voglio. La scelta della lettura è indifferente. Ma oggi è il 14 maggio 2011 quindi so per certo che il libro che ho in mano è una copia nuova di zecca delle opere di Rimbaud. Apro il libricino e faccio in modo di aprirlo per bene nella metà, quasi spezzando il dorso, così da non avere scocciature mentre leggo.

Ho diciassette anni e un carattere di merda. Possiamo dire che sono furbo, però. O almeno abbastanza da essermi fatto amico di un prof che mi copra le spalle quando sparisco da lezione. Butto la testa all'indietro e mi copro il volto con il libro. Ho diciassette anni e una giornata di merda da affrontare.

Quindi leggo, o almeno ci provo. Faccio le orecchie agli angoli della pagina quando una poesia mi piace particolarmente. Ce n'è una che mi rimane impressa più delle altre e, oltre a piegare l'angolo della pagina, sottolineo alcuni versi con la matita rossa.

E sei innamorato. Fino al mese d'agosto.
Sei innamorato. I tuoi versi fanno ridere.
Tutti gli amici sono già andati, non sei più di loro gusto.
- Poi l'adorata, una sera, si degnò di scriverti!...

- Quel giorno... - Ritorni ai caffè luminosi
e ordini ancora birre e limonata...
Non si è mai molto seri a diciassette anni
e quando sono verdi i tigli lungo il viale

Il sole intiepidisce le mie guance. Tra poco sarà mezzogiorno. Non avrò più diciassette anni come ora, penso. Una tracolla cade su una sedia due posti più in là della mia. Ogni storia dovrebbe iniziare così. Forse lo dico perché è la nostra.

Ma sono le dodici meno un quarto, di conseguenza ho ancora diciassette anni e un carattere di merda. Non alzo lo sguardo. Faccio finta che il mondo attorno a me non esista. Qualcuno prova ad accendere il computer. Per tre, quattro, poi cinque minuti. Mi rendo conto del tempo che passa solo dai tasti che continuano ad essere premuti e varie imprecazioni sottovoce.

Solo allora abbandono Rimbaud. Ti presto attenzione. Sono scocciato. Il silenzio non c'è più. La mia concentrazione si è affievolita. Questa è la vita vera. "Prova un altro computer" ti dico.

Non ti muovi. Mi guardi stupido. Attonito. Mi domando persino se parliamo la stessa lingua. Poi non mi guardi più. Guardi il mio libro nuovo di zecca che già pare portarsi vari anni appresso. "Rimbaud?"

"Sì." rispondo. Dentro di me penso tu non capisca un cazzo. "Oppure chiama un tecnico. Che ne so."

"Preferiresti Verlaine." affermi. Senza battere ciglio cambi postazione. Ti metti accanto a me. Accendi il computer. Fissi lo schermo che si accende e io fisso te. Probabilmente pensi a qualcosa. Mi siedo composto. "Lui ha sparato."

Che fricchettone. Proprio con te dovevo passare gli ultimi minuti di minore età. "Se dobbiamo parlare di letteratura francese non parliamo proprio."

YANG CHE LEGGE RIMBAUDWhere stories live. Discover now