Capitolo 3 - "Sei proprio una bambina"

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«Senti capitano, io te l'ho già detto. Prima viene la colazione e poi tu, perciò aspetta il tuo turno. Nella vita ci sono delle gerarchie da rispettare».

«Antipatica», si lasciò sfuggire con la bocca piena.

«Ho la bocca piena, ma ti sento lo stesso eh».

Terminata la colazione, piantai i gomiti sul tavolo e e incrociai le dita sotto il mento. Piantai i miei occhi dentro i suoi. «Avanti con le domande».

«Ricordo solo che ieri sera ero al bancone del red a bere e ad un certo punto mi sono ritrovato sul tuo divano. Non ricordo nulla».

«Bene, perlomeno ti ricordi com'è iniziata.» commentai. «Per tua fortuna, ieri sera mi trovavo anch'io al red insieme ad un'amica. Il caso ha voluto che ti vedessi e venissi in tuo soccorso», raccontai teatralmente. «Purtroppo non potevo lasciarti lì totalmente ubriaco, così ho avuto la brillante idea di trascinarti a casa mia. Ed eccoci qua ».

«ti capita spesso di trascinare sconosciuti ubriachi a casa tua o io sono l'eccezione?»

«Dio! Per chi mi hai presa?» sbottai.

Alzò le braccia in aria.
«Partendo dal presupposto che non sei totalmente uno sconosciuto, ma sei mio cliente e si dà il caso che tu porta guadagno; dunque non posso permettermi di perdere un cliente».

-Quindi ti sei presa cura di me solo a scopo lavorativo?- chiese, inarcando le sopracciglia.

-Non proprio... È stato semplicemente amore verso il prossimo- spiegai sorseggiando del succo di frutta.

Si passò una mano fra i capelli scompigliandoli un po'. Restai a fissarlo in silenzio, probabilmente aveva ancora male alla testa a causa della percentuale di alcol presente ancora nel suo corpo. Ad un tratto mi alzai, andai verso il lavello della cucina e riempii un bicchiere d'acqua. Lo appoggiai sul bancone e lo spinsi vicino a lui. Non mi era mai capitato di dover ospitare un cliente in casa mia e mi sento abbastanza a disagio. Alla fine era pur sempre un estraneo che stava seduto nella mia cucina eppure era da tanto che non facevo colazione insieme ad un uomo che non fosse un mio parente. I ricordi di me e Josh affiorarono nella mia mente.

-Dovresti smetterla di mangiare quelle schiffezze.. - mi rimproverò, guardandomi truce.

Finsi di non ascoltarlo e continuai a masticare le mie caramelle gommose. -E tu dovresti smetterla di dirmi cosa devo fare. Non sono una bambina.

-A volte ti comporti come se lo fossi- spifferò sistemandosi il camice bianco.

Josh aveva appena terminato il turno notturno all'ospedale ed ovviamente ogni volta che era stanco si comportava in modo veramente fastidioso. Presi il pacchetto di caramelle e mi spostai in salotto, e con una grazia innata mi lasciai sprofondare sul sofà. Josh continuò a fissarmi in malo mondo, piazzandosi a braccia conserte davanti a me e coprendo la televisione.

-Sarebbe meglio che cominciassi a fare sport e alzare quelle chiappe mosce dal divano. Quando sarai vecchia...- cominciò con la sua solita predica.

Lo interruppi prima che andasse avanti. Mi coprii le orecchie con i palmi delle mani e urlai. -Bla, bla, bla -

Scosse la testa e scomparve dirigendosi al piano di sopra. -Finalmente un po' di serenità! - dissi ad alta voce, con l'obiettivo che riuscisse a sentirmi dalle scale.

-Sei proprio una bambina! - gridò di rimando.

Strinsi con forza il pacchetto di caramelle, fino a farlo esplodere quasi. Ero veramente su di giri. Io e Josh stavamo insieme da circa sei anni, ci eravamo conosciuti al liceo. Lui mi aiutava con i compiti di chimica ed io lo aiutavo a prendere buoni voti in letteratura per evitare che venisse cacciato dalla squadra di football.

Un bacio tra le nuvole • |COMPLETA|Where stories live. Discover now