Aiden non cessava la tortura e con prontezza mi sussurrò: «Perché Marisol sapeva fin dal principio a cosa consiste un tatuaggio lì. Lei, a differenza tua, conosce bene ogni regola». Terminò, pizzicandomi il capezzolo. Faceva così, prima mi stordiva e alla fine completava col farmi provare dolore.
Sussultai.
Non ci misi molto a recepire il messaggio sottinteso che Aiden mi lanciò.
Secondo il suo modo di pensare avrei dovuto smetterla di comportarmi a modo mio, altrimenti le conseguenze erano pari a quelle di Madison.
A tal proposito, gli chiesi nuovamente di quest'ultima, o meglio, di qualcuno in particolare: «Dov'è il figlio di Ivan?»
Aiden sollevò un sopracciglio, come se avessi appena detto una cazzata. «Stai cercando di fare conversazione?» Mi Inclinò il capo affinché lo guardassi dritto negli occhi. Detestava quando provavo a sfuggirgli. Ardeva avermi perennemente in pugno.
Sbattei le ciglia più volte in modo provocatorio. Intuii che non sapesse niente della vita privata di Ivan. Esattamente come faceva lui con Sofi e me. L'ossessione di tenerci il più possibile nascosti.
Ne approfittai per fare un patto con lui. Una cosa del genere non mi sarebbe capitata mai più.
Nello stesso tempo una cameriera passò furtivamente. La donna fu richiamata da Aiden che seduta stante ne bloccò i passi incerti.
«Porta qualcosa da mangiare al piano di sopra, per lei». Le comunicò, con tanto di arroganza.
«Ma io non voglio mangiare», mi lamentai.
La domestica si confuse, le sue iridi saltellarono da me ad Aiden. Non riuscì a capire a chi dare ascolto. «Portale il pranzo», ribadì secco.
La donna si rassegnò, salutando educatamente prima di oltrepassare il salone.
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«Seguimi».
«Ah», mi massaggiai il seno bruciante. Sollevata di averlo allontanato. Peccato che anche quando le sue mani non mi toccavano più il dolore mi restava ugualmente impresso.
«Ti lamenti sempre per così poco?» mi spintonò per farmi aumentare il passo.
Stava cercando un posto sicuro e appartato. Avanzai tranquilla. Nemmeno sotto tortura avrei confessato. Non prima di essere scesa ad un compromesso.
Giungemmo in camera nostra. Aiden richiuse la porta a chiave e in un secondo momento mi tirò verso la porta finestra.
«Marisol ti ha raccontato qualcosa?» si informò con serietà.
«Può darsi», feci la vaga.
«Scarlett», mi intimò.
«Prima promettimi che mi porterai a Londra.» Mi impuntai, incrociando le braccia al petto.