Da dietro, avvertii la presenza e l'ondata del forte profumo di Marisol.
Mi passò accanto, urtandomi di proposito con la spalla.
Barcollai di poco, sconvolta da tanta sfacciataggine.

Ivan si alzò in piedi mentre Aiden si mise più comodo, allungando il braccio sullo schienale.
Non mi fece nessun segno di proseguire e di conseguenza restai dov'ero.

Marisol avanzò, sollevando il mento da vera e propria bastarda.

«Mi hai mandata a chiamare?» squittì, posizionandosi davanti ad Ivan che, senza risponderle nulla, le rivolse un ceffone in pieno volto.

La ragazza pareva sapere i comportamenti del marito e del perché l'avesse picchiata senza farsi nessuno scrupolo.
La guancia le si colorò di un rosso acceso ma nonostante ciò, non versò una misera lacrima.

Dopo, la rigirò come una bambola di pezza, in modo che potesse guardare me.
«Scusati con lei», le ordinò Ivan, puntando un dito contro la mia figura immobilizzata.

Scossi la testa, negando. Non doveva scusarsi.
Provai pena nel saperla tra le mani dell'uomo che l'avrebbe massacrata.

Lei stessa mi aveva accennato che ogni suo tatuaggio copriva i lividi del marito.

Marisol ce l'aveva con me, fu evidente.
D'un tratto, mosse i piedi speditamente per poi bloccarsi al mio fianco.
«Scusami, Scarlett. Non era mia intenzione stamparti un tatuaggio sulla coscia, sapendo che, immediatamente, saresti apparsa una troia». Sputò a denti stretti.

Non vi era alcuna spiegazione al suo folle comportamento.
Quella lì aveva sicuramente dei seri problemi mentali.

A dire il vero ero stata io ad acconsentire di tatuarmi, ma perché consigliarmi quel punto, sapendone il significato per gente come quella?

Non ebbi modo di ribattere dato che Ivan la raggiunse con due falcate.
«Aiden, dammi dieci minuti», lo avvertii con un cenno, tirandosi via la ragazza che non oppose resistenza.

Di lei, invidiavo il coraggio.

La stanza risultò vuota.
Aiden batté una mano sulla seduta, incitandomi a prendere posto.

Storsi le labbra.
Provai anche tanta antipatia.
Aveva fatto la spia con Ivan, raccontandogli quanto fatto da Marisol.
Per quello potevo anche cavarmela da sola.

Andai a sedermi, lasciando i primi due posti vuoti.
Fui costretta a mantenere le distanze quando notai i lineamenti marcati del suo viso.
Saperlo arrabbiato non era una novità.

Ma io non ero Marisol.
Il solo pensiero di essere punita lì, al passaggio di chiunque mi fece gelare il sangue.

Guardai dritto, indisturbata.
Non gli avrei detto della conversazione di Marisol.
Non in quel momento almeno.

«Avvicinati», richiamò la mia attenzione.
Scroccai il collo, poi stirai le gambe ed infine, mossi il sedere, strisciando fino a sbattere contro il suo petto.

Il suo braccio circondò le mie esili spalle.
E dato che non possedeva un briciolo di delicatezza, il peso dei muscoli gravò sull'incavo del mio povero collo.

La mano gli pendeva sui miei seni, così, senza alcuna esitazione, mi premette l'indice sul capezzolo.
Ne azzeccò perfino il punto esatto.

Avvampai.
Ma non gli avrei mai dato la soddisfazione di fargli capire il mio sgomento.
Lasciai che facesse a modo suo.
Per distrarlo gli chiesi di Marisol.
Si sarebbe scrollato di dosso ad un certo punto.
Ne ero pienamente convinta.

Peccato che quel maledetto dito mi stava creando un certo subbuglio allo stomaco.
Soffocai un lamento.

«Perché hai detto ad Ivan quello che ho fatto con Marisol?» scivolai un po' con la schiena, in procinto di esplodere.

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