- Ehi. Pss-pss. Tu. - Il mio bisbiglio echeggiava nel buio. Stavo cercando di attirare l'attenzione dell'altra prigioniera, nella cella di fronte alla mia. Mi dava le spalle da quando le guardie mi avevano rinchiusa là dentro. Provai a battere il piede contro le sbarre. - Oh. Dico a te.
La sua testa si girò di qualche grado verso il muro.
- Dove ci troviamo? Chi sono queste persone, me lo sai dire? Perché ci hanno chiuse qui? Io mi chiamo Chiara Reale. Mi hanno portata via da casa mia... Ho il sospetto che mi abbiano scambiata per qualcun altro... Mi capisci? My name is Chiara Reale, I'm italian, I live in Borgonatio, in Tuscany. They kidnapped me four... five days ago...
- Ijtikai, - borbottò.
- Ancora? IIjtikai... Ma che vuol dire...? What language are you speaking?
- Ijtikai. - Ribadì, dura, senza neanche voltarsi. - Mirqatias. - E quella, qualunque cosa significasse, era un'offesa.
Mi staccai dalle sbarre. - Ijtikai, ijtikai... - Sospirai. - Tutti a dire "ijtikai"...
C'era un'umidità da fare schifo laggiù; e dico "laggiù" perché ero quasi certa che fossimo sotto al livello del suolo, dal momento che l'unica fonte di luce era una grata sul soffitto, in mezzo al corridoio che divideva le due file di celle. Non so se ci fossero altri prigionieri oltre a noi due, perché, dalla posizione in cui mi trovavo, non potevo vedere nient'altro che fosse vivo. A parte il secondino di merda, che compariva ogni tanto da una piccola porta sulla sinistra, e che aveva una faccia da imbecille come non ne avevo mai viste in tutta la mia vita.
In altri momenti di quella giornata provai a urlare, a colpire le sbarre di metallo con il corpo per farle risuonare come campane. - Ehi! Mi chiamo Chiara Reale! Sono stata rapita da Borgonatio! Non so dove mi trovo!
Ma non mi rispose mai nessuno. A parte la tipa-di-spalle, che invariabilmente farfugliava: - Ijtikai, mirqatas, - senza mai farsi vedere in viso.
Solo dopo diverse ore di attesa comparve qualcuno. Erano tre donne, tutte con la stessa divisa scura, composta dall'armatura di cuoio e pantaloni rinforzati. - Ma come siete vestiti, da queste parti? Sembra un cazzo di GDR dal vivo, - commentai, osservandole dalla branda. Una di loro estrasse delle chiavi. - Oh. Grazie a Dio, - mormorai, e mi portai sul bordo del materasso. Ma avevo parlato troppo presto. Non appena entrarono, controllarono che i miei polsi fossero legati bene dietro la schiena. Mi fecero alzare e mi portarono fuori. - Mi chiamo Chiara Reale. Sono stata rapita da Borgonatio, - continuavo a ripetere. Oltrepassammo la porticella di sinistra, salimmo su per delle scale buie. Quando uscimmo, eravamo in un piccolo cortile chiuso su tutti i lati da degli alti muri.
- Ay Vesela, - disse la donna più anziana.
- Zu, shaksa? - La tipa magrolina, con gli occhi incavati e i capelli castani.
- Irmovai ilshirsy. Ay Merrul, ibketaisy.
- Zu, shaksa.
La più alta delle tre mi si portò alle spalle, mi afferrò per le braccia.
- Che volete fare?
Vesela si chinò su di me e iniziò a sbottonarmi i pantaloni.
- Oh, no. - Tentai di schivarla ruotando il busto di lato, ma la ragazza più alta, dietro di me, rese più salda la presa. - No, no, non voglio.- E poiché presi a scalciare, intervenne anche l'anziana, che fino a quel momento era rimasta in disparte a dare soltanto degli ordini. Lei mi afferrò per le caviglie e, collaborando in due, riuscirono a mi sfilarmi le scarpe, poi i calzini, poi pantaloni...E a me, non so cosa fosse preso, perché dopo tutte le cose che erano successe fino a quel momento, forse il fatto che tre tizie stessero cercando di togliermi i vestiti che portavo addosso da cinque giorni non avrebbe dovuto turbarmi fino a quel punto. Sta di fatto che cominciai a urlare, a muovermi come un'anguilla, - No, ti prego, fermati, - dicevo. - Non voglio, non stasera. - Quando mi tolsero anche la biancheria, strizzai le palpebre e decisi che non sarei rimasta lì ad assistere un minuto di più.
Quando mi posarono sull'erba, non opponevo più resistenza. Ero rannicchiata a testa bassa; e loro tre, chinate sulla mia schiena, si diedero manforte l'un l'altra per tenermi ferme le braccia mentre scioglievano i nodi che mi tenevano legate le mani. Così facendo, riuscirono a sfilarmi la polo senza strapparla, e l'ultima cosa che mi sottrassero fu il reggiseno. Mi rilegarono i polsi insieme e, quand'ebbero finito, ingoiai un singhiozzo. Ero nuda, in mezzo al cortile, con gli occhi serrati.
- Tananà, - sussurrai, quando stavo per iniziare a piangere. - Tananà. Tananà, tananà, ta-nanà.
- Shnu udkut?
- Tananà. Tananà. Tananà, tananà, ta-nanà.
- Oblav tha sya estin.
- Living easy, loving free! Season ticket on a one way ride!
- Iqnunassy. Rush.
- Asking nothing, leave me be! Taking everything in my stride!
Mi arrivò una secchiata d'acqua in faccia. Sputai.
- Don't need reason! Don't need rhyme! Ain't nothing that I'd rather do!
La seconda secchiata mi colpì la schiena. E, cazzo, era gelida.
- Going down! Party time! My friends are gonna be there too!
- Ijtikai! - mi urlò una di loro.
- Vuol dire "stai zitta", non è vero?! - gridai. - I'm on the HIGHWAY TO HELL! On the HIGHWAY TO HELL!
- Ijtikai!
- No! HIGWAY TO HELL! I'm on the HIGHWAY TO HELL!
Dopo mezz'ora mi ritrovai lavata, asciugata, non avevo più i vestiti in cui mi ero pisciata addosso cinque giorni prima, bensì una sorta di tuta beige in tessuto pesante, pulita. E le tipe non conoscevano gli AC/DC, perciò quando mi riportarono nei sotterranei avevo di nuovo la bocca tappata.
Rimasi in quella cella soltanto tre giorni. Neanche una volta la tizia che mi stava di fronte si relazionò con me, nemmeno quando fu costretta a girarsi perché era arrivato il secondino con il pasto. Alla mattina del terzo giorno venni di nuovo prelevata e portata via. Lei sembrò tirare un respiro di sollievo.
Mi applicarono un'altra benda sugli occhi, salimmo di due piani e mi ritrovai nell'atrio. Poi, ridiscendemmo la stessa scalinata di novantatré gradini e così compresi che mi trovavo nella piazza di fronte al palazzo. Lì, mi attendeva un carro con le parete blindate da lastre di metallo e con l'interno accessoriato in modo grezzo da panche e cinghie attaccate alle pareti. Doveva essere l'alba.
Ormai, avevo smesso di domandarmi per quale motivo, in quel posto, non utilizzassero dei mezzi di trasporto adeguati al nostro secolo. Dovevo essere ancora in Europa, secondo le mie stime, perché non era possibile che Ridden mi avesse portata in Asia usando un carro a trazione animale... Tuttavia, nulla di ciò a cui stavo assistendo aveva una qualsivoglia coerenza, e io avevo iniziato a dubitare della mia sanità mentale già da quando il cadavere di Alex si era tramutato in quello del tizio dell'autogrill e, ancora prima, da quando avevo avuto l'allucinazione del tunnel e del fiume di sangue.
Stavolta, ad accompagnare l'avanzata, c'era una ben nutrita compagine di soldati. Alcuni di loro si dettero il cambio per rimanere nel vano, cosicché ci fu sempre qualcuno a tenermi sotto d'occhio. Il viaggio durò due giorni. Nel tardo pomeriggio del secondo, poco prima del tramonto, eravamo giunti a destinazione.
Neanche nei miei incubi più perversi avrei mai immaginato di ritrovarmi in un posto simile. Ero all'inferno.
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Recursion
Fantasy«Non c'è evento che avvenga una volta soltanto, né cosa che esista senza esser già esistita.» 11 novembre 2011, ore 00:42 Questa la data e questa l'ora a partire dalle quali Chiara - studentessa di 21 anni nella città di Pisa - non subirà mai più al...
3. Highway to Hell
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