3. Highway to Hell

Start from the beginning
                                        

Ecco cosa accadde. Alcune persone accorsero dopo pochi secondi, altre si mossero spedite in una o in un'altra direzione. Venimmo accompagnati verso destra, c'imbattemmo in un'altra scala, più stretta, che iniziammo a salire: una rampa, due rampe, tre rampe... Poi attraversammo un lungo corridoio. Ogni nostro movimento produceva un suono che rimbombava senza tregua, c'era un forte odore di calce e di umidità. L'ombra. Poi venne aperto un grande portone a due ante, ci venne fatta strada all'interno dell'ambiente al di là, il cui pavimento era ricoperto da un tappeto morbido, che attutì i nostri passi. Una voce femminile soverchiò le onde di bisbigli che si infrangevano sui muri.

- Itnobai naq, - disse allo sbirro, - Venudrium Venabsassus khadda iohdedzye. - Poi si allontanò verso destra.

Il portone alle nostre spalle si richiuse con un imponente boato; la guardia mollò la presa dal mio braccio, mi lasciò ricadere a terra, accanto a lui, non potendomi più reggere sulle gambe.

Rimanemmo lì, in attesa, per un tempo che non so quantificare, immersi in una cacofonia di bisbigli e respiri.

Poi un'altra porta si aprì al lato opposto, sulla sinistra. Il brusio si attenuò. Ancora pochi secondi, poi un soppalco in legno scricchiolò sotto le suole di calzature pesanti. La porta si richiuse. Il silenzio era piombato nella sala.

- Shon... - risuonò poi una voce melliflua, davanti a noi. - Aye Jabir te-Novorul.

- Zu, shaksey, - rispose l'uomo accanto a me.

- Venevyoli-Dumiur fin Riqquali-Qolm, loktut fin Rohiomi-Bolb.

- Zu, shaksey.

- Udkutai... tha alibnai... Mirafsaj.

- Zu, shaksey. Huq sya. - Mi toccò la spalla.

L'altro uomo sospirò, scettico. - Dawa, inivsar, - disse in tono cordiale. - Ijremainas!

E a quel punto, il sacco di juta mi venne rimosso dalla testa. Un parlottio sconcertato, un misto di sussulti e gridolini, mi investì. Dovetti sforzarmi per mettere a fuoco ciò che mi si parava davanti. C'erano tre figure su un piano rialzato - due uomini e un ragazzino - in piedi al di là di una larga scrivania scura. Alle loro spalle, cinque alte vetrate opache; e uomini e donne tutt'attorno alla predella.

L'uomo al centro appoggiò la carta al tavolo, senza riuscire a distogliere lo sguardo da me. Mi fu impossibile distinguere le parole che vennero pronunciate dopo quella scena. Il chiasso si era intensificato, sentii solo qualcuno gridare: - Mirafsaj! Mirafsaj! Mirqatiasi Misk! - M'indicò, rivolgendosi ad alcuni uomini in divisa; poi si precipitò sul bordo del rialzo. Vidi tutto come al rallentatore, poi la mia vista si occultò, mi afferrarono per le spalle, mi portarono via.

Nel corridoio, una volta fuori, fu necessario l'intervento di decine di uomini, davanti e dietro, perché la folla, ora assiepata e sbraitante lungo le scale, non scavalcasse la scorta per saltarmi addosso.


Oops! This image does not follow our content guidelines. To continue publishing, please remove it or upload a different image.
RecursionWhere stories live. Discover now