20. Bel gattone

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Quando il mattino seguente la sveglia più rumorosa esistente in commercio, regalatagli da suo zio Tristan per il suo ventitreesimo compleanno, sul suo comodino suonò alle cinque in punto, Percy fece fatica ad allungare il braccio per spegnerla perché c'era qualcosa di poco definito che gli stava bloccando tutti gli arti.

Percy aprì appena gli occhi gonfi di sonno e fissò il raggio di luce offuscato che proveniva dalle tende del suo balcone, lasciate leggermente aperte.

Lo sapevano tutti che il cervello di Percy al mattino non era proprio collaborativo - non che normalmente fosse particolarmente brillante - e che aveva bisogno di almeno mezz'ora per rimettere in moto neuroni e sinapsi, ma fu costretto, a fatica, a dare un senso e un nome a quel qualcosa di poco definito che lo teneva rinchiuso in una gabbia di calore, andando incontro ai suoi tempi di ripresa mattutina.

Qualcosa di poco definito e caldo, molto caldo, talmente caldo che stava andando a fuoco ed, improvvisamente, gli venne voglia di accendere il condizionatore come quando indossava i suoi pigiami da fenomeno da baraccone.

Così, gli aveva detto una volta sua madre quando gliene aveva visto uno indosso, ma Megan McCallister era sempre graziosa come un fiore... Un fiore pompato con il botox.

Mosse lentamente i fianchi e andò ad urtare un'altra cosa, ma era una cosa decisamente definibile e dura. Molto dura e collegata tramite bluetooth a ciò che, invece, pulsava tra le gambe di Percy.

Poi una piccola e flebile lampadina nel suo cervello ovattato dal sonno si accese, si accese insieme alla sua erezione, e si ricordò del bellissimo esemplare di chirurgo nipponico che aveva trascorso la notte nel suo letto.

Si ricordò anche che quel bellissimo esemplare di uomo era freddoloso, anche se era quasi fine giugno, e che, di certo, non avrebbe per nulla amato l'aria fresca che Percy aveva iniziato a bramare.

Sorrise, involontariamente, e come il bravo idiota infatuato che era, quando lo sentì borbottare con voce rauca contro il suo orecchio: «Perché quella sveglia continua a fare rumore?»

«Perché mi hai chiuso in un fantastico bozzolo, dottorino, e non riesco a muovere le braccia».

Akihiro sbuffò e un soffio di aria calda colpì la nuca di Percy. Rabbrividì e si lasciò quasi sfuggire un gemito di protesta quando il chirurgo alzò lentamente il braccio che lo teneva ancorato a lui e al letto e che non gli permetteva di muoversi, allontanandosi dal suo culo.

Percy trattenne anche un sospiro frustrato; sì allungò verso il comodino, avvertendo qualche piacevole dolore agli arti inferiori e tra le natiche, e spense quell'aggeggio infernale, che già una volta aveva lanciato dalla finestra.

Ma non si era rotta, solo appena graffiata, perché suo zio, pur di torturarlo al mattino e costringerlo a presentarsi in orario alla pasticceria, doveva aver fatto costruire personalmente quella sveglia con un qualche tipo di metallo proveniente direttamente dagli inferi.

«Santa miseria...» bofonchiò Akihiro, strofinandosi gli occhi, somigliando ad un bellissimo felino assonnato. «Ma è l'alba?»

Percy si mangiò con gli occhi tutta quella distesa di pelle pallida e glabra che ricopriva il petto del chirurgo. Peccato che c'è il lenzuolo a coprirgli le gambe...

«Già», confermò Percy. Si morse un labbro e, probabilmente, sapeva di avere gli occhi fiammeggianti di lussuria. «Abbiamo poco tempo per far sparire quella tenda da campeggio sotto al lenzuolo».

Akihiro si tolse le mani dal viso stropicciato dal sonno. Aveva i capelli neri aggrovigliati e gli occhi ancora più sottili. Era splendido.

Abbassò quegli stessi occhi a mandorla sulla protuberanza che svettava gloriosa al di sotto del lenzuolo e poi su Percy, che, scivolando lentamente sul materasso, si mosse per andare a mettersi a cavalcioni di Akihiro. Lui sotto le lenzuola e Percy sopra.

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