Pensando ciò, presi il mio numero, mi andai a sedere su una poltroncina e facendo un po' di stretching, aspettai il mio turno.

Avevo un sorriso stampato in faccia da quando ero uscito di casa. Mi sentivo leggero e felice. Nessuna ansia, nessuna paura per la scuola. Stavo semplicemente bene e Dio quanto amano questa sensazione di freschezza e libertà.

Ero venuto direttamente qui, perché dovevo cambiare l'orario in cui andavo e soprattutto i giorni, in modo da poter venire tutte le mattine della settimana, escludendo la domenica. Ma speravo che ci fosse la possibilità di fare qualche abbonamento, in modo da non dover pagare ogni settimana.

Non notando nessuno, dopo che l'ultimo signore allo sportello se ne andò, feci per andarci io, ma una voce che avevo sentito il giorno prima e che speravo di non sentir più, mi bloccò. Anzi, mi pietrificai sul posto.

«Ragazzino, c'ero prima io» lo potei sentire mentre sorrideva malefico.
Mi girai di poco, ma il giusto per poterlo vedere e confermare la mia ipotesi e nonostante speravo di sbagliarmi, sentì l'ansia impossessarsi del mio corpo appena lo vidi.

Era di nuovo lui. Era di nuovo lui, dannazione!

Magari, però, era tutto casuale e non ero il prossimo, giusto? Solitamente le loro vittime non arrivano alla sera, figuriamoci il giorno dopo.
E poi, dopotutto, ancora non avevano trovato il corpo di nessuno, perciò erano apposto al momento.

Si, lo so. È un pensiero orrendo e da persone egoiste, ma mettetevi nei miei panni. Loro erano le uniche persone che facevano paura a tutti, me compreso.

«Ehm...» volevo controbattere, anche se probabilmente me ne sarei pentito subito all'istante «In realtà no? Sono qui da almeno un'ora e lei è arrivato adesso» gli mostrai il mio numero che era il 57. Non so il perché, ma ad un tratto me ne fregai altamente di chi fosse.

In fondo non sa niente di me, quindi è impossibile che accada qualcosa.

«Tu dici?» Fece una risatina avanzando verso di me
«Ragazzo, si c'era prima lui» si mise in mezzo la ragazza dietro il bancone che mi guardava con fare pietoso «Aspetta il tuo turno, tanto passate tutti a prescindere dal numero» aggiunse facendo un sorriso nervoso.

Io non dissi nulla. Mi limitai a farlo passare prima di me, annuendo.
Ero sicuro che anche stavolta l'avesse fatto apposta. Lui non aveva preso il numero ed era appena arrivato, altrimenti l'avrei visto e sarei andato via subito.

Non so il perché, ma appena sentì che era veramente Kevin Lee, tutta la mia sfacciataggine morì e milioni di paranoie presero il sopravvento.

E se ora mi sono condannato da solo? Magari non aveva intenzione di fare nulla con me, ma adesso? E se per colpa di questo piccolo e insignificante affronto, decidesse di rapirmi? Non riesco a sopportare un pensiero, figuriamoci se diventa realtà.

«Ragazzino» si avvicinò anche fin troppo a me. Essendo seduto, quella troppa vicinanza mi metteva a disagio.

Non ero gay, capitemi. Anche se probabilmente non è una scusa.

«Che c'è? Arrossisci per la mia vicinanza?» cercò di toccarmi i capelli, ma io mi spostai in tempo. Sentì la rabbia ribollirmi nelle vene e nuovamente, tutta quell'ansia e quel timore che avevo, sparì.

Mi alzai, facendolo indietreggiare di qualche passo per lo stupore della mia reazione. Probabilmente è abituato ad avere sempre il potere, ma con me non avrebbe vinto.

Io non mi sarei sottomesso a loro. Io mi sarei ribellato fino alla fine. A costo di consumarmi.

«Non ti avvicinare a me» dandogli una spallata, andai al bancone e non mi girai. Non volevo dargli la soddisfazione che mi fossi girato ed oltre ciò, non lo volevo un secondo di più nel mio campo visivo.

RibelleWhere stories live. Discover now