XXII.II.MMVI

358 29 10
                                    

La luce viaggia a circa 300 milioni di metri al secondo. Lo si sa dal 1676, ovvero da oltre 300 anni.

Ed io mi chiedo, qual è la velocità del buio?

Il mio buio è arrivato in 0,012 secondi, se consideriamo una distanza approssimativa di tre metri da quella pistola. Un proiettile viaggia a circa 250 metri al secondo, diviso lo spazio, salta fuori quello che si potrebbe considerare un tempo praticamente nullo.

Quando Kisaki ha premuto il grilletto mi ha istantaneamente colpita, o quasi.

Appena l'ho visto raccogliere l'arma ho intuito le sue intenzioni: voleva far fuori sia Kakucho che Izana, però mi sono messa in mezzo, perché loro non meritano di morire.

Poi, sapevo di essere l'obiettivo di Kisaki, in un certo senso. Sono pericolosa, una minaccia per i suoi piani, una distrazione per Shuji. Probabilmente dopo aver sparato ad Izana avrebbe sparato a me, e per come si sono messe le cose, il nostro leader è morto, o in gravi condizioni, se gli è andata bene.

La Tenjiku è stata la mia rinascita. Sono grata ai miei superiori di avermi fatto entrare nella gang. Kakucho, in primis. Senza di lui sarei ancora a vagare per i quartieri malfamati della città, rubacchiando in giro e arrampicandomi sulle grondaie. E forse sarei ancora viva.

È una sensazione simile a quella che provo quando crolla il castello di carte dopo averci messo ore a costruirlo. Mi piaceva passare il tempo ad impilare carte da gioco: precisione, pazienza, determinazione. Adoravo guardare la mia piccola creazione reggersi da sola, per poi cadere con un lieve spostamento d'aria.

È questo che è successo alla Tenjiku. Una bava di vento improvvisa che ha cancellato la nostra reggia, assieme ai sogni che custodiva. Il sogno di avere una famiglia, un gruppo di persone da chiamare come tale. Eravamo tutti così.

Non mi piace parlare di me. Ho tante facce, come quelle figure strane che finiscono tutte in "-edro", come l'icosaedro, il dado a venti facce che si usa nei giochi da tavolo.

Ieri ero qualcuno, oggi sono qualcun altro e domani sarò qualcun altro ancora. Penso che la vita sia troppo breve per descriversi: appena trovi una parola che funziona, ti accorgi che in realtà ti sta stretta e che quella parte di te ha già preso il volo per chissà dove.

Il mio passato non è stato granché.
Sono figlia unica. I miei mi hanno voluta fuori casa sin da subito, sono sempre stata irrequieta. Mi piace fare casino. Sono pestifera. Non penso mai alle conseguenze delle mie azioni. Beata ignoranza.

I miei sono stati capaci di stiparmi nel vecchio appartamento dei miei nonni, giusto per liberarsi di me. Miracolo che nessuno li abbia beccati, altrimenti ora loro sarebbero in galera per abbandono di minore e io sarei in mano ai servizi sociali. Ma va bene così.

Se non fossi andata a vivere da sola non avrei mai incontrato la persona che mi ha stravolto la vita. Shuji.

Shuji, Shuji, Shuji.

Mi manca. Vorrei rivederlo un'ultima volta, anche se farebbe male. Vorrei dirgli quello che non gli ho detto quando l'ho baciato.

Aveva le labbra morbide. Si capiva che di ragazze ne aveva già baciate tante. Forse aveva baciato anche ragazzi, chi può dirlo.

"Non capisci il valore delle cose finché non le perdi". Lo dico sempre, lo penso sempre. Eppure non lo metto mai in pratica.

Avrei dovuto dire a Shuji come mi sentivo. Ma avevo paura, paura che lui non ricambiasse o che non volesse qualcosa di serio. Perché io lo volevo, ma lui ha sempre messo la maschera da playboy. Non che io facessi di meglio, riconosco quando sbaglio.

Non ho mai avuto una relazione duratura, ogni volta che qualcuno mi chiedeva di uscire lo facevo, solo per distrarmi un po' e farmi offrire una cena. Ma quello che ho sentito per Shuji è stato diverso.

Da quando mi aveva chiesto l'accendino aveva subito attirato la mia attenzione. Non capita tutti i giorni di fumare con qualcuno di così misterioso e attraente. Anche se in tutta onestà il suo ciuffo biondo decolorato è fuori moda da un bel pezzo. Avrei voluto proporgli di colorarsi i capelli di viola, come i miei, che ora chissà se e quando li rivedrò.

Avremmo potuto fumare insieme, lui avrebbe potuto dirmi "ti rovini i polmoni" perché gli sarebbe importato qualcosa della mia salute. Avrei dovuto dirgli quanto cazzo mi piaceva, quanto cazzo avrei voluto passare altro tempo con lui.

Ma l'ho allontanato, perché avevo paura.
Io, Fujiwara Yuna, stalker dai capelli viola incapace di controllare le sue emozioni.

Chissà se sarebbe stato lo stesso anche per lui. Sarò destinata a non scoprirlo.

Ora che ci penso, questa è una delle cose che mi inquietano di più: morire avendo ancora cose da dire. Questa paura si può benissimo descrivere come buco nero all'interno di me, un insieme di dubbi, rimpianti e delle parole che mi sono morte nella gola.

Non sento neanche più il dolore. Forse la mia ora è davvero arrivata. È stata una bella vita, pure se mi porto dietro il rimpianto di non aver detto "Mi piaci" a Shuji e di non averlo baciato una seconda volta.

In un articolo di medicina ho letto che, solitamente, quando si è particolarmente vicini alla morte, si ripercorre la propria vita e, nel mentre, il cervello produce delle sostanze che alleviano il dolore, proprio per consentire un decesso quantomeno più facile.

Mi mancherà essere viva. Mi mancheranno le sigarette. Mi mancherà tingermi i capelli di viola. Mi mancherà saltare sul mio motorino e scorrazzare per Tokyo alle due di notte. Mi mancherà sentire il freddo invernale sulle guance. Mi mancherà inspirare a pieni polmoni l'aria intrisa di pioggia. Mi mancherà costruire castelli di carte. Mi mancherà guardare i fulmini durante i temporali. Mi mancherà la Tenjiku. Mi mancherà Shuji.

Non so se me lo sono immaginato, ma appena dopo aver ricevuto il colpo di proiettile e poco prima che io stramazzassi a terra incosciente, mi è sembrato di sentire una voce chiamarmi.

<<Yuna>>

Avrei voluto rispondergli <<Scusami>>









———————
Penultimo capitolo.

10 RAGAZZE | Hanma ShujiWhere stories live. Discover now