Capitolo 1

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When your legs don't work like they used to before

(Quando le tue gambe non funzionano più come prima)

Mi sveglio di scatto, sconvolta e sudata. Un incubo, un fottuto incubo. Il respiro è affannato, gli occhi lucidi, il mio cuore sembra voler uscire dal petto. Tento di calmarmi. Non ricordo neanche cos'ho sognato, niente, ricordo solo buio.

Prendo un respiro profondo, cercando di far rallentare i battiti, realizzando poco dopo dove sono e perché. Giro lo sguardo e vedo una figura nel letto, avvolta dalle coperte, raggomitolata su se stessa. Il viso rivolto verso di me, gli occhi chiusi, lo sguardo apparentemente sereno.

Come se quell'incubo non ci fosse mai stato e il terrore fosse sparito totalmente dal mio cervello, mi ritrovo a sorridere a quell'espressione dolce, le labbra in fuori e le coperte fino a collo. Mi chiedo come possa rimanere sotto quel piumino con la temperatura della camera dell'hotel, d'inverno così alta da dover dormire con pantaloncini e maglietta.

Mi alzo per andare in bagno, scostando per un attimo la tenda per far entrare il minimo di luce notturna che mi serve per non inciampare in una delle mille cose sparse per la camera. Faccio comunque fatica ad arrivarci senza fare nessun rumore, paurosa che la persona accanto al mio letto possa svegliarsi.

Entro in bagno e mi sciacquo il viso, sorridendo come una persona che invece di aver appena vissuto l'incubo più brutto della sua vita, ha semplicemente avuto un sogno pieno di arcobaleni ed unicorni. Scuoto la testa, rivolta verso il mio riflesso. Sono nei guai, di quelli seri. Innamorarsi della propria migliore amica non è mai stato un evento consigliabile a nessuno nella vita. Innamorarsi della propria migliora amica con cui condividi ogni giorno della tua vita, con cui devi cantare, con cui devi convivere e far finta che tutto è realmente come prima, che i tuoi sentimenti non sono più forti di una semplice amicizia è una famigerata maledizione.

Da una parte, un amore come quello, avrei voluto che lo potesse vivere chiunque. Così forte, devoto, sofferente. Così duraturo. Ormai era un anno, un anno di finzioni, un anno di colpi al cuore, di delusioni, di illusioni, di sguardi sfuggevoli e coccole nel letto. Avrei voluto cambiare stanza, avrei voluto farle capire che c'era qualcosa di più, che da parte mia non era solo voglia di starle accanto. Che quando le prendevo la mano non sentivo solo conforto, ma sicurezza. Avrei voluto baciare il dorso di quella mano, stringerla nella mia, intrecciare le dita in una presa più forte e significativa. Che dalle sue labbra non spuntasse solo un "ti voglio bene", ma quelle due parole tante volute da chi ama e tanto rifiutate da chi non prova niente se non un tenero affetto.

Stava diventando difficile fingere, stava diventando difficile fa finta di niente, sperare che da un giorno all'altro potesse accorgersi del mio amore, potesse accorgersi della mia presenza, vera e forte. Stava diventando difficile passare del tempo con lei senza volere sempre qualcosa di più, sopprimendo il desiderio di baciarla, di sfiorarle i capelli e di passare la notte con lei, solo con lei, nel nostro mondo. All'inizio era stato complicato accettare quei sentimenti, non ero ancora matura abbastanza, non avevo mai provato quel genere di amore per nessuno, quello che ti fa tremare le gambe anche solo con uno sguardo, o per il profumo del suo shampoo, per la sua bellezza e la sua intelligenza. Quell'amore che i libri tanto decantano, che tu sogni disperatamente. Il problema è che quando arriva, se non sei pronta, risulta come ricevere uno schiaffo in faccia, una palla nello stomaco. Per mesi mi sono detta che non era niente, forse una piccola cotta che sarebbe passata nel giro di poco tempo.

Dopo un anno, invece, mi ritrovo a guardarla allo stesso modo, con lo stesso sguardo, dolce e d'ammirazione, come se non ci fosse nient'altro e nessun'altro al mondo.

Scuoto di nuovo la testa, maledicendomi per tutti quei pensieri, per le occasioni perse, per quei sentimenti che piano, piano mi stavano logorando.

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