La tragedia del Vietnam

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Quello di seguito è un racconto di pura fantasia, per cui si legga come tale.

I vestiti erano pesanti, zuppi di pioggia ed incrostati di fango. Gocce grosse come ciliegie cadevano dagli alberi e dalle foglie di questi, ed ogni volta che si sfracellavano al suolo, o su un elmetto, aggiungevano una nota allo spartito di quel macabro Can-can. Erano partiti in venti dal campo base, pronti a sconfiggere i musi gialli che li avevano costretti ad arruolarsi e ad ammazzare. Ora erano in cinque, senza mappe, senza bussole, con le pile della radio quasi scariche. Il sergente era morto nella prima imboscata, e lo avevano seguito altri sei giovani carichi di speranze. Nel secondo scontro che avevano affrontato due soldati di circa vent'anni erano stati fatti a brandelli da un colpo di mortaio, altri quattro furono crivellati da una mitraglia, ad un altro ancora una raffica gli aveva staccato di netto una gamba e i compagni lo avevano dovuto abbandonare ancora vivo.

Fino a due ore prima, o forse tre, la squadra aveva ancora sei membri e un prigioniero che avevano sfruttato come guida. Poi durante la notte Charlie aveva estratto un coltello da chissà dove e, tagliata la gola al soldato di guardia, si era dato alla fuga. Il cadavere era stato abbandonato a casa, era orfano e nessuno lo aspettava a casa. Ora rimanevano in cinque: George, che essendo il più anziano aveva preso il comando, Hans, un ebreo di origini tedesche di venticinque anni, Al, che sui suoi ventitré anni si portava la radio che aveva strappato dalle spalle del RTO morto, Mark, di ventinove anni armato di mitragliatrice, e uno che tutti chiamavano Jr perché aveva solo diciott'anni e nessuno sapeva come fosse lì. Camminavano lentamente, senza fretta, e a vederli da lontano sembravano un gruppo di amici in gita. Se però ci si avvicinava la loro vera natura si mostrava: le carte infilate nelle cinghie degli elmetti ammaccati, i graffi fatti dai rami sul viso, gli M-16 usati come bastoni, i coltelli nei foderi, gli zaini deformi e sporchi. George pensava al Mississippi, dove destate, sul pontile, metteva i piedi in acqua per scappare dall'arsura. Sembravano lontanissimi quei giorni. Anche in quel momento i suoi piedi erano nell'acqua, ma un'unica domanda lo opprimeva: "Dove siamo?". Cercava di mostrarsi sicuro davanti agli altri, ma era consapevole di essere un pessimo attore. I suoi commilitoni sapevano che non c'era speranza, la morte di Charles ne era stata la conferma, e aveva buttato il morale del gruppo nel fango.

Hans invece pensava ai suoi nonni, che gli raccontavano spesso di come erano fuggiti dalla guerra e dai campi di prigionia tedeschi. Gli dicevano sempre che l'America aveva fatto tanto per loro, ora però aveva mandato il loro nipote a morire in un paese dove era visto come un invasore. Al e Mark erano gli unici che parlavano, per non pensare a quello che stavano vivendo si raccontavano aneddoti del college, di rocambolesche avventure amorose e di macchine. Jr aveva gli occhi arrossati. Alcune frasi si ripetevano ad intervalli regolari: "Da quanto marciamo?" "E che ne so."; "Che ore sono?" "Chiedilo a chi ha un orologio."; "Possiamo fare una pausa?" "Quando saremo su un Huey certamente."

Da quanto ricordava, George credeva che proseguendo sempre verso Ovest -supposto che quello fosse l'ovest- sarebbero arrivati ad un fiumiciattolo. La speranza era che risalendolo sarebbero incappati in un compound alleato o ad un villaggio. Senza bussola e cartina era però difficile dire se ciò fosse vero.

Un tonfo ruppe la monotonia della marcia, Jr era caduto a terra a causa di una radice e non intendeva rialzarsi. George gli si fece appresso e cercò di tirarlo su di forza, ma questo si divincolò e lo spinse via. Il ragazzo mugugnava e guaiva come un cagnolino. Anche Hans si avvicinò: "Alzati ragazzo, o ti dovremmo lasciare qua." Jr alzò la testa: "Arriveremo da qualche parte o dovremmo morire qui nel nulla?" "Beh, mi è sembrato di capire che tra qualche chilometro c'è un fiume, e dove c'è un fiume c'è anche un villaggio. Giusto Generale? O magari un bel accampamento dei nostri, pieno di carne alla griglia e altre prelibatezze." George, che a causa del ruolo che ora ricopriva era chiamato Generale dagli altri, annuì. Perché seppellire la speranza?

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⏰ Last updated: Mar 03 ⏰

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