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Mi siedo e mi accendo un'altra sigaretta. Ma chi me lo ha fatto fare di uscire con questo tempo?

Ormai il danno è fatto e, a meno che non sbuchi da un momento all' altro uno di quei simpatici omini-fungo che escono allo scoperto appena cadono due gocce, carichi di ombrelli tenuti nascosti fino a quel momento chissà dove, non credo di poter tornare a casa tanto presto. Mi alzo e, per ammazzare il tempo, inizio a leggere i nomi sui citofoni. È un palazzo bello grosso e di bottoni con annesse etichette ce ne sono in discreta quantità. Forse riuscirò ad esaudire uno dei miei sogni più idioti. Trovare il povero sfigato che di cognome fa "Portiere" senza essere colui che cura la manutenzione degli ambienti comuni del condominio in cui vive. Ho sempre avuto sogni strani e privi di senso, fin da bambino non sono mai stato uno di quelli che voleva diventare calciatore o astronauta. Io alle elementari avevo le idee chiare, da grande avrei fatto il collaudatore di materassi e letti giganti, un futuro già scritto.

Dopo poco ho finito la lista di nomi e cognomi e devo accontentarmi della coppia Padrenostro-Diotallevi e di un Giorgio Giorgi evidentemente figlio di genitori stronzi, quasi quanto il padre e la madre di Galileo Galilei, almeno Giorgio è un nome normale. Anche il sogno del "Portiere", come quello di sdraiarmi comodo per guadagnarmi da vivere, è tramontato tristemente come il sole in una giornata particolarmente nuvolosa.

Mentre sfoglio un volantino di un supermercato trovato nella cassetta della pubblicità, un altro essere vivente, al di fuori della fastidiosissima mosca che da qualche minuto mi assilla, probabilmente attratta dall'odore muschiato della mia maglietta, entra a far parte del piccolo ecosistema umido e noiosissimo delle scalette: è un esemplare femmina, della mia stessa specie. Pure carina a dirla tutta.

«Ciao.» esordisce, «Posso?» dice tutta trafelata e gocciolante, indicando i gradini che sono diventati il mio piccolo regno nel quale domino sui volantini dei supermercati.

«Certo.» rispondo. Sono un re molto ospitale.

La nuova arrivata si siede di sbieco qualche gradino più in basso, poggiando la schiena al muro laterale.

Riesco ad osservarla un pochino. Non è una di quelle che ti giri a guardare quando cammini per strada, questo è certo, ma ha qualcosa che attira il mio sguardo, neanche fosse una montagna di profiterole.

Rocco me lo ripete spesso e volentieri, ed è una teoria supportata da un po' tutti quelli che mi conoscono bene: in termini di ragazze, ho gusti particolari. Chiarisco: una ragazza per piacermi, per piacermi davvero, deve essere particolare, deve avere qualcosa di diverso dal branco di "io ce l'ho d'oro" che svolazzano in centro solo per rimediare qualche apprezzamento cafone. E questa ragazza ce l'ha. Innanzi tutto, ha la parte sinistra della testa, intorno all'orecchio, rasata. Un punto per lei. Il resto è coperto da una vera montagna di capelli mossi e del colore del cioccolato al latte della Kinder. In più è vestita come me.

Non come me in questo momento, altrimenti l'avrei scambiata per una senzatetto, ma come me quando mi vesto per fare qualcosa che comporti del contatto umano. Niente di eccezionale in effetti, ma mi piace: camicia a quadri in stile boscaiolo, jeans, e scarpe di tela abbinate. Secondo punto per lei. Dal marsupio rosso e tutto sgangherato che porta intorno alla vita sottile, vedo spuntare una bustina di tabacco e un pacchetto di filtri. Potrei attaccare bottone con la scusa della sigaretta. Forse, però, quando è arrivata avevo ancora la mia accesa. Non mi ricordo. Se gliela chiedessi, e lei mi avesse visto fumare, farei la figura del viscido che ha le battute d'approccio sempre uguali.

Mentre scavo nella mia memoria a breve termine, che al massimo vince ai punti, e nemmeno di tanto, con quella di Carlo V, succede l'imprevisto: «Che, per caso, ce l'avresti una sigaretta, per favore?» mi chiede.

Una straordinaria normalitàWhere stories live. Discover now