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La maggior parte delle mie giornate, quando ancora vivevo sotto la protezione di mia madre, era grigia: accadevano cose belle a volte, noiose altre e di tanto in tanto la pace poteva essere scalfita da qualche evento negativo, o completamente rovinata. Di norma, le giornate perfette erano sporadiche ma presenti nella mia vita. Ricordo ancora quando mi intrufolai di nascosto nel covo del custode e trovai le stanze dei bambini da macello: fu stranissimo perché a differenza degli altri schiavi erano più gioviali, pasciuti e contenti di giocare. Inoltre non sapevano nulla di me e quando mi mostrai amichevole, loro fecero lo stesso. Fu una giornata splendida... e non sentì la minima voglia di tormentarli. Giocammo e ci raccontammo storie tutto il tempo, finché non arrivò il custode e dovetti scappare. Mia madre non seppe nulla della mia fuga e io mi divertii un mondo... anche se quando mi misi a letto, per un motivo che ancora non capisco, scoppiai in un pianto lungo e silenzioso.
Non tornai più da quei bambini, ma ci furono molte altre giornate "si". Quelle "no" erano rarissime. Per dire: una volta mamma mi puní per essermi sfogata usando i miei poteri sul maggiordomo. Mi chiuse nell'ala degli specchi e non la riaprì fino al giorno seguente. Persi la voce a forza di urlare. Però il ricordo della gamba mozzata di faccia da cammello mi fa sorridere tutt'ora. Quella non fu una giornata no.
Quella in cui incontrai Cappuccetto giallo, lo fu.

Uscì dalla zona bagni completamente fradicia. Dietro di me varie stanze erano diventate laghi e il vapore uscito dai tubi rotti aveva creato una nebbia impenetrabile.
Il ratto era scappato. Di nuovo.
Ero calma. Calmissima. Serena come il mare in bonaccia. Infatti quando sono così tranquilla, grido come una pazza isterica: così feci.
Seguì le impronte umide del topo di fogna fino al locale ristorante, ma presto queste si fecero più accennate e infine scomparvero.
Salì su uno degli ampi e lunghi tavoli, camminando distrattamente tra gli uomini e le donne che si ingozzavano voracemente. Di tanto in tanto buttavo giù un piatto o dei bicchieri con un calcio e l'ospite in questione, cercando di passare da una pietanza all'altra, faceva per afferrarmi. Subito però ritirava la mano, fumante e annerita, gemendo di dolore. Ero abituata a quel comportamento, come al fatto di essere praticamente intoccabile per tutti. Gli schiavi mi temevano, i servi portavano rispetto e gli ospiti non imparavano mai, ma erano innocui.
Perché quello schiavo mi aveva aggredita? Non era rimasto al suo posto, mi aveva provocata per due volte nello stesso giorno.
«È uno schiavo. È uno...» allora perché era stato lui a giocare con me. Mi aveva quadi uccisa, ferita, presa in giro. Non riuscivo a togliermelo dalla testa. Sentivo forte il dolore al collo e ancora più intenso e bruciante quello dentro.

Lo vidi. Quell'impermeabile era ed è un pugno negli occhi, non si può non notarlo. Il bambino era intento a pulire una pozza di sugo, vicino a una sedia.
«Mi prendi in giro?» mormorai. Non sapevo più come sentirmi. Non capivo... persino la rabbia stava sfumando.
Raggiunsi la fine del tavolo e saltai giù, corsi indietro e lo sbattei a terra saltandogli addosso. Quello tirò un gridolino acuto e rimase fermo e tremante a terra. Gli sfilai il cappuccio e afferrai una ciocca di capelli biondi, strappandogli un altro strillo.
«Voltati» sibilai, alzandomi abbastanza da permettergli di muovere il busto e le gambe. Cappuccetto giallo obbedì.
Rimasi per un momento a fissare i lacrimosi occhi verdognoli del bambino che avevo di fronte. La mia testa era una cacofonia di pensieri. Peccato non riuscissi a focalizzarne nemmeno uno.
«È tuo questo impermeabile?» mormorai, atona.
«C-come dice s-signorina V...»
«Lo schifoso straccio giallo che indossi, è tuo o ti è stato dato?»
«Me lo ha-hanno dato.»
«Quando?»
«Qualche minuto fa...»
Dovevo urlare di nuovo. Ridere, prendere a pugni lo schiavo. Qualcosa.
Mi sdraiai accanto al biondino e chiusi gli occhi. Respirai lentamente, sentendo i singhiozzi pronti nel petto.
«Chi te l'ha dato?»
«Sei...»
«Cosa vuol dire!?»
«Me l'ha dato Sei, signorina.»
Realizzai. Giusto: gli schiavi erano numerati. Me lo avevano detto i bambini da macello.
Mi sedetti e appoggiai il viso alle gambe. L'umido tepore della gonna mi rilassò appena.
«È un bambino o una bambina?» chiesi ancora, la voce ovattata dal tessuto.
«Una bambina mostro.»
«In che senso?»
«Abbiamo tutti paura di lei, noi schiavi. È più forte e veloce... Se wualcuno la fa arrabbiare lei picchia e morde finché quello non scappa o fa come dice lei. Poi, Sei accetta i lavori più pericolosi, dicono che anche gli ospiti abbiano paura di lei! Ma soprattutto... prende ordini dal custode. Sembra che sono amici.»
«Amici.»
«Cosí dicono.»
Mi alzai in piedi e offrì la mano al biondino. Quando lui fece per prenderla gli afferrai il braccio.
«Perché hai tenuto l'impermeabile?» chiesi.
«H-ha detto che se non lo indossavo fino al vostro arrivo, chiamava il custode» rispose il bambino, tremando.
Ci guardammo negli occhi per qualche secondo. Sentivo aumentare la confusione nella mia testa... Ma il modo di fare di questa bambina mi incuriosiva parecchio.
Me ne sarei occupata, di lì a breve.
Chinai la testa sulla destra, squadrando lo schiavetto.
«Perchè continui a vivere?» chiesi, allentando la presa. Non ottenni risposta.
Continuai:«Perchè non lasci che ti prendano e basta? Non sei abbastanza sano per l'ingresso o forte per i lavori peggiori. Questa Sei ti fa paura, perché tu sei debole. Continuerai a nasconderti, scappare e farmi da passatempo... fino a crepare. Ma allora...» esitai e strinsi le labbra, per poi pronunciare le ultime parole con un filo di voce «... perché non fare una scelta più facile?»
Il bambino mi fissò con gli occhi spalancati, poi si sciolse in un piagnucolio sommesso e prese a biascicare incomprensibilmente. La sua voce si udiva appena, sotto il borbottio degli ospiti e il lacerio umidiccio della carne tra i loro denti.
Senza ascoltare, uscì da sotto il tavolo e mi trascinai dietro la lagna. Questa prese a mugolire e respirare affannosamente, ma opponeva una resistenza troppo debole per mettermi in difficoltà.
«No... signorinalapregola... noo... no!»
Lo fissai inespressiva per un momento, poi sorrisi e mollai la presa. Ricoprii il mio corpo con una patina di magia bruciante.
«Se riuscirai a tenermi la mano, loro non ti toccheranno: te lo prometto» mormorai. Capelli di paglia cadde all'indietro. «Nononono» prese a strisciare verso il tavolo.
Presi fiato, poi amplificai la mia voce e gridai abbastanza forte da farmi sentire in tutta la sala.
Il rumore delle mascelle in moto si arrestò.

Little Nightmares: Il capriccio di VeronicaWhere stories live. Discover now