Jan

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Il profumo del caffé era ciò che si sentiva molto chiaramente nel locale di Irah.
Era solito accoglierti sempre nel suo Cafè con un sorriso di circostanza, qualcosa che non coglieva mai nessuno.
Non capivano che molto spesso nascondeva le sue preoccupazioni e i suoi dolori, fingendo di essere felice per le vite degli altri che gli passavano davanti ogni giorno, come se questo potesse risollevargli la giornata.
Ma quel sorriso non c'era mai nel tardo pomeriggio, proprio per quell'ultimo e unico cliente che soleva presentarsi ogni giorno in quel Cafè, sedere alla terza sedia da sinistra, al bancone del locale, e appoggiare la sua pesante borsa di studente - o almeno così Irah aveva pensato nei giorni precedenti.
Una volta aveva tentato di approcciarsi a quel ragazzo ma spesso lo vedeva rannicchiato su uno dei suoi libri a scrivere qualcosa, cancellare veloce con la penna e poi sospirare come se avesse voluto tornare a casa.
Ma accettava sempre con piacere il caffè di Irah.
E l'uomo vedeva ogni volta come le occhiaie, sotto i suoi occhi sempre più scuri, diventavano anch'esse più nere.
Per questo perse poco a poco la voglia di sorridere a quel ragazzo e la preoccupazione prese il sopravvento nei suoi pensieri.
Quella sera il tramonto illuminò in modo particolare il locale, quel colore dorato adornava delicatamente ogni mobile di legno del calmo locale di Irah e lui aveva già iniziato da un pezzo a rimettere al suo posto ogni cosa. Si fermò nel pulire il pavimento e si diresse in cucina dove aveva iniziato a riporre ogni utensile... e poi lo sentì.
Fu il suono più calmo e delicato che avrebbe potuto quel giorno: i passi di quel ragazzo.
Irah rientrò nella parte frontale del cafè e lo vide sedersi al solito posto ma con una differenza, stavolta il libro che uscì dalla sua sacca era un piccolo libricino e non vi era alcuna penna.
"Un caffè, per favore."
Irah udì il solito ordine, prese la prima tazza che vide e fu pronto a farlo ma si bloccò.
Non c'erano libri pesanti, non c'era la fronte aggrottata nè sembrava di pessimo umore.
"Mi scusi..." - si azzardò a dire, il ragazzo sollevò lo sguardo dal piccolo libricino che aveva di fronte e disse: "Sì?"
Irah prese tutto il coraggio del mondo: "Le andrebbe una cioccolata calda?"
Il ragazzo rimase in silenzio a lungo, per un istante sembrò assumere una palese smorfia di dolore, chiuse il libro e si alzò dalla sedia senza dire altro.
L'uomo lo vide prendere la borsa e dirigersi verso l'esterno.
"Aspetti!"
Irah sentì le gambe muoversi da sole e rincorse il ragazzo prendendolo per un braccio ma lui lo scacciò via con forza.
Tuttavia nella foga cadde anche la borsa e il suo contenuto, Irah lo aiutò a recupare tutto benché quella situazione fosse strana.
"Volevo solo..." - mormorò il proprietario tra sé e poi ridette la borsa al ragazzo: "...mi spiace. Ero solo preoccupato, sei così giovane e così pieno di problemi." - Irah non seppe come continuare, in fondo avrebbe potuto ignorarlo come faceva con ogni cliente, cos'aveva di speciale lui?
Sollevò un po' le spalle e si scusò ancora, incrociando i suoi occhi con quelli del giovane che ora lo fissavano. I suoi capelli bruni brillavano alla luce del tramonto dorato di quella sera e un lieve sorriso si formò sulle sue labbra.
Irah fu meravigliato di quel dolce sorriso.
"Io sono...?" - domandò timido il giovane.
"Cosa?"
"Io sono cosa?" - richiese stringendo a sé la borsa.
L'uomo gli accarezzò la nuca senza rendersene conto e gli sorrise di rimando: "Sei un giovane pieno di pensieri, forse ti stai preoccupando troppo." - pensò bene alle sue parole: "Ma sai, la vita sarà più difficile... no che dico... io..." - non finì la frase che il ragazzo lo abbracciò.
Il silenzio calò nel locale, non si udì nulla a parte i loro respiri e il calore che era nato da quel gesto.
Irah comprese che quel ragazzo aveva solo bisogno di una pausa, come tutti.
Si staccarono.
"Quella cioccolata... è ancora valida?"
"Ma certo!" - rispose subito Irah quasi correndo dietro al bancone e preparandola con amore e attenzione.
Il ragazzo si sedette di nuovo al suo solito posto continuando a sorridere al proprietario.
Durante quel lento periodo di preparazione, il profumo del cioccolato inondò il locale con calore, tanto che il giovane sembrò perdere il senso del tempo.
La tazza gli venne appoggiata alla sua destra, dalla parte opposta a dove aveva posato il libro di poco prima, una premura che pochi avevano nei confronti degli scritti.
Il primo sorso rilasciò un sapore dolce e nostalgico, il sorriso del giovane si allargò, rivolse lo sguardo verso Irah e disse: "Deve scusarmi... in questi mesi ho avuto molti pensieri..."
"Non fa niente, è normale." - rispose Irah, finalmente rilassato. Temette che la cioccolata non fosse risultata buona per via di quella strana situazione ma dovette ricredersi.
Iniziò a pulire alcuni bicchieri e durante quel suo atto, il ragazzo si sentì in vena di sfogarsi in parte, cosa che Irah apprezzò, ascoltando ogni sua parola.
"Sa... mi sono da poco laureato."
"Oh, deve essere stato difficile."
"Molto."
"Allora puoi festeggiare la fine dei tuoi studi ora. Pensi di festeggiare con i tuoi amici?"
La domanda cadde spontanea e una nota triste apparve sul viso del giovane: "Quali?" - fece una secca risata e nonostante fosse piena di amarezza, appariva calma alle orecchie di Irah e comprese un po' di più.
"Ah, capisco." - disse lui: "A volte succede. Ti svegli una mattina, convinto di poter affrontare il mondo, e il mondo ti volta le spalle."
Il ragazzo rimase in silenzio, si strinse nelle spalle e guardò l'uomo.
"Ciò che è diverso allontana le persone, tutto qua."
Calò ancora il silenzio.
In sottofondo si udì una leggera musichetta provenire dalla radio.
Irah quasi dimenticò di averla ancora accesa, non ci aveva semplicemente fatto caso poco prima.
Come non aveva fatto caso ai polsi fini di quel giovane che sembrava ormai molto grande per avere un corpo snello da adolescente e il suo viso minuto pareva cercare qualcosa di più nello sguardo del proprietario.
Una speranza forse.
Ma per cosa?
"La cioccolata calda spesso viene associata a una ragazza... almeno così mi hanno detto..." - balbettò un po', spezzando quel vuoto.
Irah comprese un po' l'antifona ma scoppiò a ridere: "Si dicono molte cose oggigiorno ma niente è vero. Gli oggetti non hanno sesso, semplicemente esistono."
"Già." - disse il ragazzo: "Semplicemente esistono per come sono."

Quel giorno passò sereno fino all'orario di chiusura.
I due parlarono del più e del meno.

Il giovane, che disse di chiamarsi Jan, si ripresentò sempre allo stesso orario, non perché avesse da fare, semplicemente perché amava rimanere solo con Irah e parlargli senza che nessuno lo disturbasse.
La cioccolata calda divenne il suo nuovo ordine nelle occasioni speciali, come un codice segreto tra lui e il proprietario.
Irah iniziò a chiedersi perché Jan avesse cominciato a condividere con lui ogni suo traguardo e Jan gli rispose tranquillo, come suo solito: "Non parlo con i miei, non mi capiscono e... non mi vogliono parlare."
Fu una brutta notizia ma che Irah comprese come un avviso per non domandare altro di doloroso.

E fu un altro giorno d'inverno che Irah comprese perché Jan era stato sempre misterioso.
Quella sera, a un tramonto dorato come la prima volta in cui si parlarono, Jan chiese a Irah di toccargli il petto sopra il maglione e disse: "Senti il mio cuore?"
"Sì."
"Senti altro?"
"No...?" - domandò confuso l'uomo.
Un larghissimo sorriso apparve sul volto di Jan.
"Sono un uomo." - e dicendo ciò scoppiò in lacrime, rise piangendo, non smise di farlo nemmeno quando Irah lo abbracciò.
A calmarlo fu di nuovo la cioccolata calda e il suo buon libro che finalmente riuscì a finire.
Come una parentesi chiusa della sua vita.
Tutto finì quel giorno.

E fu un nuovo inizio.

Per Janet che diventò Jan.

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