quinta parte

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Quella sera Manuel non tornò a casa. Si preoccupò solo di avvertire sua madre con un messaggio, e poi sentì il bisogno di girarsi Roma in moto. Le sue strade deserte sul finire dell'estate, i profumi di settembre e il rombo del motore a riempirgli le orecchie fecero da sfondo al dialogo silenzioso con la sua città, che quella sera, come sempre, sembrava parlargli dal profondo dei secoli.

Sul Ponte degli Annibaldi mangiò un panino e bevve una birra. E guardando il Colosseo, talmente vicino da poterlo quasi toccare, ripensò all'ultima volta che c'era entrato. Era stato la mattina dopo la festa di Simone, quando la scuola era rimasta chiusa e Dante li aveva portati a fare lezione lì. Ricordava quel giorno come fosse adesso. Il prof aveva parlato loro di giustizia e di libertà, e poi li aveva costretti a guardarsi dentro, e a fare i conti con le conseguenze delle proprie azioni. Mentre ripensava a quella lezione, e a quanto incapace fosse stato, quel giorno, di fare i conti con se stesso, un vento fresco lo fece rabbrividire e avvertì una lieve tachicardia. Pensò che se fosse morto in quel momento, forse non sarebbe stato neanche male. Ma non poteva morire senza aver parlato con Simone. Così, quasi spaventato da quel pensiero, si affrettò a cercare il cellulare nelle tasche e, una volta trovato, ad aprire la sua chat.

Un ultimo sorso di birra, poi iniziò a scrivere.

Scrivi, cancella, riscrivi, cancella... Impiegò almeno venti minuti per dare un senso alle parole che aveva in testa. Alla fine rilesse quello che aveva scritto, e inviò senza stare troppo a pensarci. Quindi scattò una foto al panorama che aveva davanti, e gliela inviò in coda al messaggio. Non che ci credesse, ma in cuor suo sperava che, una volta letto, Simone avesse voglia di cercarlo. E non poteva certo permettersi che non lo trovasse.


Manuel, ore 22.30

Non devi rispondere a questo messaggio, non c'è bisogno. Stasera sono un po' triste, mi manchi come l'aria. Tranquillo, non ho intenzione di spaventarti, e neanche di insistere. Ho capito che hai bisogno del tuo tempo come io ho avuto bisogno del mio. E per questo aspetterò. Te lo devo. Ma dovevo anche dirti quello che sento e riesco a farlo solo scrivendoti. Perché è più facile, così. Perché così non litighiamo, e io non voglio più litigare con te. Hai ragione, sono stato proprio uno stronzo. Ma non adesso, non la sera della festa e neanche la mattina dopo. Sono stato uno stronzo quando hai provato a baciarmi la prima volta, e io ti ho allontanato. Tutte le volte in cui ti ho detto di starmi alla larga, in cui ti ho ferito con la consapevolezza di farlo. E anche la sera del tuo compleanno, quando ti ho illuso che con te fosse diverso ma in realtà ero incazzato, ferito, stanco. E avevo paura. Tu mi hai solo ricordato cosa significasse essere importante per qualcuno. Non hai fatto altro, da quando ci conosciamo. Per questo incontrarti è stata la cosa migliore che mi sia mai capitata. Peccato che t'ha detto male, Simo. Hai beccato il più vigliacco di tutti. Ma questo non significa che quello che provo per te non sia sincero. E che prima di partire, tu non mi abbia donato una felicità che non avevo mai provato prima. Forse però ho sbagliato anche quella volta, perché non ti ho dimostrato che potevi fidarti di me. Che per una volta, una volta nella vita, sono stato sincero. E se mi sono incazzato, se non ho sentito ragioni, è solo perché ho avuto paura di perderti. Perché speravo (e spero ancora) di poter avere di nuovo quella felicità lì.
Anche se, come diceva Schopenhauer, dei giorni felici della nostra vita ci accorgiamo solo quando lasciano il posto a giorni infelici.

Ti aspetto qui. Non mi muovo finché non vieni a prendermi.

Torna da me, Simo. Sono innamorato di te e mi manchi.

 Sono innamorato di te e mi manchi

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Buona fortuna amore || Simone e ManuelDove le storie prendono vita. Scoprilo ora