terza parte

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Quella notte Simone la passò a rigirarsi nel letto, incapace di prender sonno.
E la mattina dopo, all'alba, uscì di casa.

Sapeva che Manuel scendeva presto in garage, e sperava con tutto sé stesso di trovarlo lì.

Ma quando arrivò, la porta del garage era chiusa e non se la sentì di sfilare le chiavi dal nascondiglio segreto del suo amico. Così decise di aspettarlo lì, appoggiato al muro. Avrebbe potuto scrivergli, dirgli "sono qui sotto, scendi", invece si appoggiò semplicemente al muro: lo avrebbe aspettato fino a che non l'avesse sentito scendere le scale.


Quando Manuel, mezz'ora dopo, scese, non si aspettava certo di trovarlo lì... in piedi appoggiato al muro, con la schiena ricurva e la testa bassa.
"Che stai a fà qua?" lo squadrò, con gli occhi costretti dalla prima luce del sole. In mano uno straccio bianco, addosso la solita tuta da meccanico.

"Devo parlarti"
"E se io non volessi ascoltarti?" gli rispose chinandosi e sfilando le chiavi da sotto la porta.
"È importante" lo implorò con gli occhi, aspettando che Manuel gli facesse segno di entrare.
"Vieni" gli disse lui, e poi richiuse la porta alle loro spalle.

L'odore di motori e di vernice che gli invase le narici fu la prima cosa di cui ebbe percezione una volta entrato. Un istante prima di sentire il corpo di Manuel strusciarsi contro il suo per passare.
La tensione tra i due era palpabile.

Simone si appoggiò al ripiano da lavoro sulla destra e prese un respiro.


"Allora? Che me dovevi dì?" domandò Manuel qualche minuto dopo aprendo il cofano di una macchina. E solo allora Simone si rese conto di essere rimasto a osservarlo senza dire una parola, incantato dai suoi gesti inconsapevoli, di inconsapevole bellezza.
"Senti, mi dispiace per ieri sera. Scusa"

Manuel annuì e non rispose, le mani affondate nel motore di un'auto.
"Potresti pure qualcosa" incalzò Simone, innervosito.
"Che te devo dì? Se sei venuto pe' dimme questo, mo' te ne puoi pure andà" e gli indicò la porta con un gesto della mano.

"No, non ti dovevo dire solo questo"

Manuel annuì come a dire parla.

Ma Simone rimase in silenzio. Aspettava da lui un cenno, qualcosa, anche solo uno sguardo. Tutto pur di non dover fronteggiare quel muro di ostilità.

"Mi guardi per favore?" sbottò poi, alzando la voce.

"Te sto a guardà" ribatté quindi Manuel, con lo stesso tono, sbattendo il cofano della macchina su cui stava lavorando e alzando gli occhi, stretti e cupi, su di lui.

"Cosa ti aspetti da me? Conferme? Già lo sai quello che provo"
Fece una pausa, Simone. Come a cercare di soppesare le parole.
"E ogni volta lo usi come pretesto per ferirmi" aggiunse poi.

"Ma di che stamo a parlà, Simò? Non lo vedi che non ci capiamo?"
"Non ci capiamo perché tu non vuoi capire"

"Ah sì?" sibilò Manuel avvicinandosi a lui. Gli occhi puntati nei suoi in segno di sfida. "Mo te dico quello che ho capito io"

Simone deglutì. E vedendolo avvicinarsi a passi lenti, si sentì ancora una volta tremendamente vulnerabile di fronte a lui.

"Ho capito che te sei un egoista, Simò. Che pensi solo pe' tte e de quello che provano l'altri non te ne frega un cazzo. Questo ho capito"

Dannazione, aveva giurato a se stesso di non sentirsi mai più così. Era più forte adesso. Manuel non poteva ancora tenerlo in pugno con due parole.

"Proprio tu lo dici?" gli tuonò contro allora. "E sentiamo, quando mai a te è fregato qualcosa di quello che provavo io? Eh?"

"A me sempre" gli rispose Manuel, ma la sua voce si perdeva, sovrastata dalla rabbia di Simone, che gli urlava contro parole feroci, il petto gonfio, gli occhi grandi.

"Pure quando m'hai chiamato frocio? O quando mi hai detto che per te non esistevo?"

"Lo sai che non le pensavo quelle cose"

"O quando hai scopato con me pe' divertimento!" aggiunse infine a ritmo concitato. E non le ascoltava neanche più, le parole dell'altro, che gli parlava sopra. Gli occhi pieni di lacrime, la voce spezzata.

"Non è così" provò a placarlo Manuel, improvvisamente vicinissimo a lui, le mani che stringevano sempre più forte i suoi polsi. "Non è così"

Finché, entrambi affannati, non si ritrovarono fronte contro fronte.
Senza difese.

"Non è così" continuava a ripetere Manuel affannato e con tono sempre più basso, finché la sua voce non divenne un sussurro.

E mentre lo diceva, iniziò a baciarlo. Inizialmente con rabbia, poi con foga, infine con dolcezza. Finché, con un movimento rapido e istintivo, non gli tirò giù la cerniera dei pantaloni e questo rese chiara a Simone una sola cosa: avrebbero commesso un'altra volta lo stesso dannato errore, se lui non avesse racimolato un po' di forza di volontà e non si fosse tirato indietro. Cosa che fece all'ultimo momento, mormorando un "non è questo che voglio" e lasciando il garage con Manuel che gli dava le spalle, ancora appoggiato al tavolo da lavoro a testa bassa.


Basta dai

Non ce lo lascio il cuore

Un'altra volta ancora...

Buona fortuna amore || Simone e ManuelWhere stories live. Discover now