Arriccio il naso a causa del forte odore di disinfettante che è facile distinguere in posti come questo e mi guardo intorno intento a rimanere ancora qualche istante nell'ombra di me stesso. Ho sempre odiato la disposizione delle poltroncine nei reparti d'attesa, disposte in lunghe file da dieci posti l'una, che formano un grande quadrato contenente gente con lo sguardo perso di fronte a loro stessi. Tutti rivolti nella stessa posizione come per assistere ad uno spettacolo teatrale quando non c'è nulla da guardare, a parte gli infermieri entrare ed uscire dalle camere dei pazienti.
Mi domando cosa sia venuto in mente a chi ha progettato posti come le sale d'attesa di un ospedale qualsiasi, la collocazione delle sedie in questo modo, come se la vita fosse davvero una pellicola da guardare al fianco di uno sconosciuto che condivide solo la medesima forma di dolore e null'altro ad esclusione della paura della perdita di una persona importante. È un ulteriore forma di persecuzione quella di non potersi spogliare privatamente delle proprie sofferenze ma al contrario doversene proteggere per non rivelare ad altri la propria infelicità, percependo il dovere di rimanere forte anche quando ci si vorrebbe solamente allontanare da ogni forma di razionalità. Come si può costringere qualcuno a mostrare la sua fragilità per colpa di chi che non è riuscito a scorgere il terrore che aleggia in questi corridoi?

Faccio qualche passo verso i miei amici, appoggiandomi di fronte al muro dove sono seduti, attirando solo adesso la loro attenzione. Solo il suono di una tv in sottofondo rompe il silenzio intorno a noi, incrocio le braccia al petto per tenere a bada le mani che si sono appena strette a pugno.
L'attesa mi sta uccidendo.
<<Vedrai che presto ci diranno qualcosa.>> Come se mi abbia appena letto nel pensiero, Nathan parla cautamente. Io, al contrario, non riesco a reprimere tutto ciò che in questo momento mi sta passando per la testa, come il fatto di restarmene fermo ad aspettare che qualcuno si faccia avanti. Una pressione all'altezza dello stomaco quasi mi obbliga a correre in bagno per versar fuori tutte le ansie che mi stanno annebbiando il cervello, la fronte madida di sudore e il battito del cuore accelerato rendono impossibile ogni tentativo di tenere al riparo la mia agitazione.
E alla vista di due infermieri in lontananza intendi a colmare il corridoio dal fragore delle loro risate mentre stanno bevendo un caffè, mi lascio avvolgere dall'impeto di voler ricevere qualche certezza senza perdere altro tempo.

Non ci penso ulteriormente quando uno di loro guarda nella mia direzione e prende nuovamente a ridere per qualcosa che l'altro gli sta comunicando, con uno slancio azzero le distanze tra noi e mi rivolgo al più sfrontato dei due.
<<Visto che hai tanto da gioire in un ambiente così divertente e spensierato, vuoi rendere partecipe anche me?>> Sussurro ironico, facendo spegnere subito il ghigno dal volto del suo collega. Lui invece non sembra percepire la collera che trapassa la mia voce, spingendolo a commentare arrogante la mia invadenza.
<<Siamo in pausa e, a differenza tua, abbiamo tutto il diritto di sorridere se ci va. Se hai qualche problema puoi ignorarci o posso sempre chiamare la sicurezza per farti cacciare, se ti permetti ancora di rivolgerti così al personale.>> Alza il mento nella mia direzione, sfidandomi a compiere un qualsiasi gesto per dimostrare la sua forza.
Se crede di intimorirmi in questo modo, si sbaglia.
<<Senti stronzo...>> Lo afferro dal bavero del camice per avvicinarlo al mio viso. <<Se pensi di dimostrare la tua supremazia qui dentro, ricordati là fuori è pieno di pezzi di merda che come me non vedono l'ora di incontrare qualche spavaldo in giro.>> Un fremito delle mani mi suggerisce cosa sta per succedere e prima che il tempo scivoli troppo rapidamente dalle mia dita, concludo il nostro colloquio. <<Rispetta il posto dove queste persone vogliono ascoltare tutt'altro che sghignazzi. E se pensi ancora di poterti comportare da bastardo, non vedo l'ora di mostrarti come funziona il mondo vero fuori da queste mura.>> Solo quando deglutisce subito dopo nervoso, perché pare se la stia per fare sotto dalla paura, mollo la presa.

Ascolto il rumore della porta scorrevole alle mie spalle aprirsi, mi volto ormai arreso dall'idea di intravedere qualcuno proprio quando riconosco il medico primario che si trovava al capo dell'équipe quando siamo entrati, sfogliare una cartella blu.
Prima che possa dire qualsiasi cosa arrivo di fronte al suo corpo seguito da Nathan e Travis ora alle mie spalle, e mentre percepisco il cuore salire in gola per sprofondare nello stomaco alla vista del suo nome proprio in cima a quel cumolo di fogli, il panico si impossessa in ogni fibra del mio cervello. Pochi secondi potrebbero cambiare la visione di ogni cosa, qualche istante potrebbe spazzare via l'unico pezzo integro rimasto nella mia vita che solo lei è riuscita ad occupare adattandosi a quel piccolo spazio concesso.
Qualche momento sospeso nel silenzio è solo questa l'attesa che divide la realtà da quella che potrebbe divenire la soglia dall'inferno dove tutti i miei mostri si sono adesso radunati e se ne stanno ad aspettare.
<<Dottore, la prego, ci dica qualcosa sullo stato di salute di Alyssa Hudges...>> Travis senza giri di parole chiede quello che tutti vorremmo sapere.
È una smorfia di incertezza, quella che precede la sua risposta.

(Ri)trovarsi 2, quando da soli non bastiamo.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora