Mattina

44 6 0
                                    


[Invadesti fin da subito i miei spazi,

con la tua sola presenza odiosa]


Il mio primo errore;

Bene. Devo proprio iniziare il racconto? E da dove parto?

Mhm...

Allora, tu sei un Titano nato e cresciuto in mezzo a un branco di barbari rincoglioniti. Solo mia sorella ogni tanto scendeva nel mondo mortale per parlarti.

Io, invece, sono il dio della Strage, il potente Ares, nato e cresciuto nella superbia e nel disprezzo, curato appena da ninfe più impegnate con mio padre che con me. Ancora adesso, se ricordo quella lontana infanzia, sento i loro richiami preoccupati simili a distanti echi, proprio come li sentivo al tempo mentre correvo indisturbato nella natura, con quella stessa libertà che tu avevi tanto desiderato.

Vedi, io sono diverso da te, che hai sprecato la vita a studiare il comportamento umano. Io, nell'egoismo della mia solitudine, non ho mai avuto modo di sviluppare l'empatia, la pietà o altri buoni sentimenti che accomunano gli animi deboli.

Per questo, quando ti vidi sulla soglia dell'Accampamento, non provai altro desiderio se non quello di umiliarti: volevo sfregiare quel bel viso e quel bel corpo tanto decantati da Zeus, volevo solo rovinarti.

Ti trascinai quindi per la lunga chioma castana fino all'arena dei combattimenti e lì ordinai ai miei seguaci di trattarti con le dovute attenzioni. Solo in seguito mi raccontasti tutte le oscenità vissute in quei lunghi, eterni momenti, dal taglio dei capelli, fino al denudamento e alla totale umiliazione.

Ricoperto di fango, sputi, urina.

Quanto eri caduto in basso, Titano.

Mi sedetti sugli spalti in mezzo agli altri Makhai e attesi. In me ardeva il desiderio di vederti morto, di assaporare il sibilo strozzato del tuo ultimo respiro.

« Chi è quel ragazzo?» Pόlemos, che aveva preso posto accanto a me, sembrò stupito -e vagamente affascinato- alla vista di un così grazioso fanciullo in un covo di guerrieri temprati e sfregiati dalla guerra.

Una vera e propria rarità.

O, semplicemente, un elemento di disturbo.

Stonavi terribilmente in mezzo alle mostruosità generate dalla battaglia.

« Qualcuno che morirà presto.» fu la mia risposta secca, priva di sentimento, anche se per qualche motivo non riuscivo proprio a staccare gli occhi cremisi dal tuo corpo statuario.

Sì, forse la tua bellezza aveva fatto breccia nel mio interesse fin da subito, ma per altri motivi, non per quelli che pensi tu: non hai i tratti dolci ed effeminati di Ganimede, bensì i tuoi occhi sono sottili, tipici delle tribù barbare, così come il resto del viso affilato, la carnagione baciata dal Sole e la tua bassezza, che non è mai riuscita a toccare neppure la mia spalla.

Possederti, equivale possedere interi territori inesplorati, selvaggi... liberi dal giogo di noi divinità.

Questa è la tua vera bellezza.


[Desiderai ucciderti,

desiderai scagliarti nel Tártaros con le mie stesse mani]


Il mio secondo errore;

Una notte, in uno dei tuoi numerosi, eterni, insopportabili sproloqui, iniziasti a farneticare qualcosa sul fatto che, secondo te, avevo l'animo di un bambino, tanto feroce e sanguinario quanto estremamente ingenuo e per questo, in quell'ormai lontano giorno nell'arena, dopo aver contemplato a lungo la tua armonica danza con cui avevi mietuto vittime su vittime, non ero riuscito a frenare l'istinto.

Canto d'OrienteWhere stories live. Discover now