Trentasette.

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L'unica cosa più spiacevole dell'episodio della sera precedente, fu solamente il mio risveglio il mattino seguente. Mi sentivo un mal di gola così forte che mi impediva quasi di parlare poiché mi causava attacchi di tosse ogni qualvolta ci provassi, il naso così chiuso che faticavo a respirare, crampi terribili nella parte bassa del ventre a causa delle mestruazioni, e una fortissima emicrania.

«Mmh, sì, hai la febbre» constatò mia madre, prima di separare le sue labbra dalla mia fronte.

«Macché, avrò solo... solo preso un po' di... di freddo» riuscii a malapena a dire, fra un colpo di tosse o l'altro.

«Oppure ti sei presa l'influenza. In ogni caso oggi a scuola non ci vai» dichiarò, e io scossi prontamente la testa: «No, non posso assentarmi! Oggi quello di latino inizia a interrogare, e se non mi presento penserà che l'abbia fatto di proposito e mi prenderà di mira» protestai, prima di riprendere a tossire.

«Non ti faccio andare a scuola in queste condizioni, Marina, perciò mettiti l'anima in pace: oggi non ti muovi da questa camera» fece con tono categorico. Poi si lasciò scappare una risatina. «È buffo, sai? Alla tua età le tentavo tutte pur di non andare a scuola! Un paio di volte avevo anche tenuto vicino il termometro al calorifero per qualche minuto per far salire la temperatura e convincere il nonno e la nonna a lasciarmi a casa» disse, e io emisi un piccolo sorriso.

Normalmente non avrei protestato così tanto, e poi non mi importava un bel niente di ciò che avrebbe pensato il mio professore di latino. Solo che non volevo restare ancora una volta da sola con i miei pensieri, senza poter far niente per distrarmi.

Infatti non avevo le forze di alzarmi da quel maledetto letto, né di fare qualsiasi altra cosa che non fosse dormire.

Mia madre mi lasciò un bacio sulla fronte, una carezza sulla guancia e poi mi lasciò in stanza da sola, lasciando la porta socchiusa.

Dopo pochi istanti ritornò davanti alla soglia della porta, tenendo in mano il telefono di casa, che appoggiò a terra vicino allo stipite della porta, dove di solito si metteva Benedetta a parlare con Maurizio. «Te lo lascio qui, nel caso dovessi avere bisogno di qualsiasi cosa, telefonami. Te lo ricordi il numero del lavoro, giusto?» chiese, prima di ripetermelo ugualmente e affrettarsi anche a segnarlo su un foglio di carta che mi lasciò di fianco al telefono.

Poi uscì di nuovo dalla mia stanza e poco dopo uscì di casa per andare a lavoro.

Io chiusi gli occhi e mi girai su un fianco, provando a dormire. Mi coprii con le coperte quasi fin sopra la testa, dato che avvertivo brividi di freddo e al tempo stesso sudavo.

Odiavo essere malata.

Se solo non avessi dimenticato la sciarpa la sera prima, e se solo non avessi dovuto scappare da quei maniaci perdendo tempo e prendendo freddo, non mi sarei ritrovata in quella situazione. Infatti ero sicura si trattasse solo di un colpo di freddo.

Ma cos'avevo fatto di male nell'ultimo periodo affinché me ne accadesse una dopo l'altra?

Non ne potevo più. Ero totalmente sopraffatta da tutto ciò che mi stava succedendo.

E il mio malessere fisico era niente in confronto a quello emotivo... in fondo la febbre e il raffreddore mi sarebbero passati in pochi giorni, ma non sapevo se avrei potuto dire lo stesso per tutto il resto.

Come si faceva a far sparire il dolore? A non provare più niente?

Non chiedevo di essere la persona più felice sulla faccia della Terra, non me ne importava niente, volevo solo smetterla di soffrire.

Ultimamente gli unici momenti in cui riuscivo a stare bene, senza pensieri, senza preoccupazioni, erano quelli con Filippo. Cioè, no, non solo quelli con lui, era lo stesso con Irene e anche con Vittorio, con i quali in realtà avevo un rapporto molto più saldo e avevo condiviso più momenti con loro che con Filippo... ma nella mia testa, attualmente, albergavano solo quelli trascorsi con lui.

Solo se balli con meTahanan ng mga kuwento. Tumuklas ngayon