<<Cosa ti fa credere che io lo sappia Blake?>> Ribatte sputando un rivolo di sangue a terra, prima di tornare a guardarmi mentre si massaggia i lati del collo dove qualche istante fa le mie mani hanno lasciato un segno con un'espressione dolente.
Faccio un passo nella sua direzione, un singolo movimento è sufficiente a far balzare i suoi amici nella traiettoria verso il suo corpo per impedirmi di passare.
Li fisso torbidi, la pelle madida di sudore e il respiro irregolare segno del controllo che lentamente sta scivolando via dal mio corpo. La mente annebbiata dal pensiero di Alyssa in pericolo rischia di farmi pestare tutti loro senza battere ciglio, solo per avere qualche informazione utile a ritrovarla. Ma anche in mezzo a tutto questo caos, non vedo altro che i suoi occhi sussurrare direttamente all'animale in me.
Devo sentirla al sicuro, devo sapere che sta bene al più presto o rischio d'impazzire.
Privato dalla possibilità di proteggerla, è come se improvvisamente stessero puntando una pistola dritta verso il mio punto più vulnerabile: lei.

<<Per tutto questo tempo ha covato il suo odio verso di me, è cresciuto e con lui anche il rancore per ciò che è successo. Ma è tutta una menzogna, le sue convinzioni sono una bugia e tu lo sai.>> Qualcosa si rompe nel suo sguardo nel momento stesso in cui pronuncio queste parole, mi guarda e nel suo sguardo c'è solo il riflesso di un attimo irrecuperabile che ha travolto le vite di troppe persone.
Una verità di cui solamente noi siamo a conoscenza.
<<Mi sono fatto da parte Jaxson, ti ho permesso la sua vicinanza perché me l'hai chiesto tu, non dimenticarlo. Dimmi qualcosa, qualsiasi cosa mi sia utile a trovarlo.>> Afferro il telefono dalla giacca per vederne l'ora, sono trascorsi già trenta minuti e ancora non ho idea di dove iniziarli a cercare.
Una scarica elettrica mi attraversa le mani obbligandomi ad allontanarmi di qualche passo. Mi guardo intorno e per la prima volta, non so cosa fare.
Ho perso tempo venendo qui.

Osservo la confraternita alle mie spalle quando improvvisamente un'idea mi attraversa i pensieri, forse non è ancora finita.
Mi dirigo verso l'ingresso, senza chiedere il permesso scosto la porta e oltrepasso l'entrata. Come un folle non mi curo delle mie azioni, non mi fermo a ragionare sul fatto che queste stesse mura racchiudono anche la conseguenza dei miei peccati. Non mi curo di niente, se non del fatto che ho bisogno di ritrovarla.
Salgo le scale velocemente, intendo a varcare la stanza di Jace ed infrangere la sua vita privata se necessario. Giro la maniglia della camera, entro senza chiudere la porta alle mie spalle e scruto sopra la sua scrivania dove alcune cornici argentate racchiudono delle foto soprattutto di lei. Mia.
Ne afferro una per portarmela più vicino al mio viso, i lunghi boccoli biondi che le circondano il volto mentre sorregge una bottiglia di birra rivolta verso l'alto. L'acqua calma del mare alle sue spalle riflette i colori dell'alba, illuminando i suoi occhi chiari della stessa sfumatura del cielo sopra la sua testa. Da sotto il cappuccio di una felpa nera il suo sorriso si fa strada dipingendo le gote di un rosa tenue, Becka è al suo fianco e le stringe una mano. L'immagine che sto fissando è così distante dal ricordo che ho di lei, l'ultima volta che le mie mani hanno sorretto il suo corpo privo di sensi.

Pioveva, quel pomeriggio, solo le luci delle macchine illuminavano la via dove lei si trovava. Il cemento ai suoi piedi era coperto da un lenzuolo di foglie cadute dagli alberi nelle vicinanze e, quasi come fosse une premonizione, proprio al centro di quella distesa autunnale che il suo respiro si è fatto sempre più debole.
Ricordo i lampeggianti farsi sempre più vicini mentre ne illuminavano tutta la strada dietro il bar centrale del campus, il suono delle sirene squarciare quell'apparente calma di un pomeriggio come tanti altri, quando di lì a poco tutto sarebbe cambiato.
Ero in ginocchio e sorreggevo il suo viso cercando di svegliarla, le mie mani incastravano i suoi capelli fradici fino a quando non ho dovuto lasciare la presa senza mai smettere di osservarla. Una barella la stava portando via mentre un agente mi spingeva dalle spalle facendomi delle domande e io non mi muovevo, incapace di riprendere il controllo del mio stesso corpo.
Ricordo di aver sperato, in quei minuti interminabili riuscivo solo ad ascoltare le voci dei medici fare il possibile per provare a salvarla, e per la prima volta ho sperato con ogni fibra che ciò potesse accadere davvero. Fino a quando tutti i monitor si sono spenti, e con loro anche ogni tentativo di credere che ce l'avrebbe fatta.

(Ri)trovarsi 2, quando da soli non bastiamo.Where stories live. Discover now