37. L'inizio della fine - Parte II

Start from the beginning
                                    

La zona era completamente diversa da tutto ciò cui ero stata abituata. Davanti a miei occhi si stagliava un'immensa distesa di schermi olografici, progettati dai viaggiatori del dipartimento. Le stanze degli scienziati erano separate dal vetro sottile e non smerigliato, riflettendo ogni fascio di luce che vi si produceva all'interno.

Mi ritrovai a volteggiare tra gli infiniti addetti ai servizi che mi passavano di fianco veloci e affiatati. Non avevo mai visto così tanto trambusto.

"Non c'è tempo da perdere" pensai inconsciamente. Ma la verità era che ne avevamo tutto quello che il mondo potesse desiderare.

«Delaney Holland? Cosa ci fa lei qui e chi l'ha autorizzata?» Il signor Valek mi squadrò da capo a piedi, visionando il taccuino elettronico con aria interrogativa.

«Jezebel Jonson mi ha ceduto il suo incarico e io-» mi interruppe alzando un dito a mezz'aria. Deglutii la poca saliva che avevo in corpo credendo che mi avrebbe ricacciata al mittente.

«Ero sul punto di venirvi a prelevare personalmente. Ma la sua presenza mi facilita di molto il lavoro. Ecco fatto, ora ha i permessi necessari per poter accedere ai diversi settori.» Il bracciale trillò divenendo di un intenso colore smeraldo.

«Posso attraversare il campo elettromagnetico?» domandai ingenuamente seguendo l'uomo che aveva riposto l'immaginifico tablet snodabile nel taschino. A grosse falcate si stava dirigendo verso l'unico laboratorio trincerato dietro le lamiere. Un'ulteriore barriera si poneva a separare quel luogo dal resto del piano.

Disordine, baccano e tumulto regnavano sovrani nello spazio che aveva concepito le migliori invenzioni dell'universo.

Sui tavoli ovali migliaia di miniature dei gigafut erano fatti a pezzi e accuratamente ricomposte, mentre ai loro lati le fibre di carbonio venivano piegate nelle tute più eleganti che i sarti avessero potuto confezionare.

Piccole sfere di metallo erano accuratamente pesate e studiate. L'enorme quantità di personale che riversava in quello stand mi fece intuire che quell'invenzione non fosse di facile manutenzione. E, mentre uno degli addetti maneggiava il materiale lucente con indosso due spesse lenti a coprire le retine, alle sue spalle delle scintille iniziarono a librarsi per aria.

"Se non presti attenzione rischiamo di saltare in aria!" aveva urlato al più giovane inventore.

Spalancai le palpebre cercando di volgere la mia attenzione altrove, ma non era semplice! I fattorini non facevano altro che passarmi accanto per fornire i componenti essenziali e prelevare il lavoro fabbricato alla perfezione. Era una catena di montaggio in piena di regola.

Nessuno era intenzionato a starsene beatamente in panciolle. Tutti collaboravano attivamente per creare il futuro. Ognuno aveva il proprio compito.

A farmi tornare con la testa sulle spalle ci pensò un viaggiatore con il quale mi scontrai.

«Chiedo venia!» Ma l'uomo indossava un casco esoscheletrico che non gli rendeva possibile udirmi. Lo osservai in silenzio domandandomi a cosa servisse.

«Il futuro passa per la ricerca. Deve scusare il nostro modo di fare, penso non sia abituata a tale caos.» Scrollai le spalle. In realtà, quell'ambiente mi ricordava le immense giornate trascorse in università in cui la folla gremita di studenti disperati calcava i centenari graniti. Anche loro erano costantemente in moto, in un certo senso.

Giungemmo innanzi gli spessi muri di metallo che segnavano i contorni della camera blindata. Valek scrollò l'indice sullo schermo luminoso, permettendo alle difese di cedere e guadagnandoci l'ingresso.

Un passo in avanti e la pesante porta si richiuse alle nostre spalle, lasciando fuori sia il chiacchiericcio che la luminosità delle fiaccole a energia compressa.

TravellersWhere stories live. Discover now