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Nancy Rushman fu il primo nome che le venne in mente. Tra le varie cose che quel posto l'aveva aiutata a ricordare, c'era anche quella ragazza. A crearla era stata Natasha tanto tempo prima, con lo scopo che fosse lei a subire il dolore al posto suo. Inizialmente era solo un'idea sciocca per cercare di non soffrire, con il tempo era diventata parte di lei. La cosa l'aveva spaventata quanto si era resa conto che non ricordava dei pezzi della sua vita, che aveva dei vuoti di memoria. Semplicemente era come se si fosse addormentata per poi svegliarsi con delle nuove cicatrice. Ma poi era stata grata a Nancy Rushman che soffriva al suo posto. Adesso era felice allo stesso modo. Poteva rimanere chiusa in un angolo del suo cervello, preoccupandosi solo del dolore che avrebbe provato una volta tornata Natasha Romanoff. Un po le faceva pena la ragazza costretta in superficie, ma la compassione non era mai stata un suo punto di forza. Quando arrivava nel KGB tutti i suoi lati peggiori uscivano fuori minacciando di distruggere ciò che si era costruita con tanta fatica. Un po le piaceva stare dentro la sua testa, un po ne aveva paura. Non credeva di essere in grado di saper gestire tutto.
Non avrebbe saputo dire per quanto tempo rimase Nancy Rushman, e giorno dopo giorno la cosa la preoccupava sempre meno. Non riusciva a vedere quale fosse il problema, dopotutto chi mai avrebbe sentito nostalgia di Natasha Romanoff? Cosa mai aveva fatto di buono per meritarsi la compassione o l'amore di qualcuno? Chi mai avrebbe osato tanto venendola a cercare? Se fosse stata al posto dei Vendicatori, non si sarebbe salvata neanche da sola (ma poi, chi erano i Vendicatori?).
Era sicura che Nancy, o lei stessa magari, in quel momento fosse rinchiusa in una stanza, magari con le pareti rosse, ma non si ricordava il perché di tutta quella convinzione.
Sapeva che sul suo (ma era davvero suo?) corpo ci sarebbero state un'infinità di nuove ferite (perché? era forse andata a combattere?).
Conosceva quel posto (quale?) a memoria nonostante non si ricordasse come mai. Era convinta che fosse stato fondamentale nella sua vita (una volta era stata davvero sua?), il perché non avrebbe saputo dirlo.
Vedeva attraverso i suoi occhi (che poi non erano più i suoi) il colore rosso del sangue, e non avrebbe saputo dire se fosse stato il suo (loro) o semplicemente il muro della stanza (prigione). Le faceva male il braccio (o era la gamba?). Aveva provato a muoverlo (davvero? non se n'era accorta allora), ma non ci era riuscita. Era come se fosse stata prigioniera di qualcosa (o qualcuno). Se quella era una prigione allora sarebbe mai riuscita a scappare (per andare dove poi?)? Sentì il rumore della porta che si apriva (aveva mai avuto delle orecchie? non se lo ricordava) e di qualcuno che parlava. Lei? no, era palesemente una voce maschile (e lei cos'era?). Rimasero per poco tempo, e riuscì a dirlo perché ben presto il metallo della porta venne fatto stridere nuovamente. Non riusciva ancora a muovere le braccia e le gambe, ma sapeva che non era più colpa delle catene. Quelle guardie, o chiunque fossero, l'avevano slegata e ora, se non era in grado di muoversi, era solo colpa sua. Non voleva. Non voleva tornare ad essere Natasha Romanoff; non voleva che Nancy tornasse dentro di lei; non voleva soffrire ancora, tanto, cosa mai poteva esserci di bello in quella vita?
Sentì un saporaccio in bocca (forse del cibo del KGB misto al suo sangue) e capì che stava (stavano) mangiando. Quello però lo ricordava. Ultimamente molte cose le erano parse strane, come se i ricordi non fossero più i suoi, ma quello lo ricordava bene. Oh se lo ricordava! Sentiva ancora quella roba che spacciavano per cibo che, tanti anni prima, le scendeva nella gola, giù fino allo stomaco. Ricordava la mensa in cui consumava quel 'cibo'; forse ricordava anche un bagno, ma non sapeva perché quel ricordo fosse così vivido dentro di lei; una ragazza bionda e un ragazzo senza un braccio (o era la gamba?). Avrebbe voluto che Nancy si prendesse la testa tra le mani perché aveva iniziato a farle davvero male. Più si spingeva a cercare di ricordare qualcosa e più sentiva dolore. Non voleva ricordare se voleva dire soffrire ancora, aveva sofferto anche troppo per una vita intera.

Natasha aveva rinunciato da tempo a tornare se stessa. Non le importava se non riusciva a muovere le gambe e le braccia; non le importava se era costretta a mangiare cibo scadente di cui non ricordava neanche il sapore; non le importava se non poteva più vedere con i propri occhi (anche quei contorni rossi e sfocati erano spariti). Li stava bene, perché scappare? Aveva anche imparato a riconoscere tutti i suoni che la circondavano: dall'aprirsi delle porte alle chiacchiere delle guardie. Era tutto monotono e forse fu per quello che si mise in allarme quando sentì un suono nuovo. Anche l'udito, come la vista, aveva iniziato a scemare, ma ancora riusciva a sentire qualcosa.
Era un piccolo tonfo, come se qualcosa di pesante fosse caduto sul pavimento. Avrebbe voluto che Nancy fosse andata alla porta e avesse guardato fuori, ma, com'era prevedibile, la ragazza rimase immobile. Natasha aveva imparato che a quella specie di subconscio non piaceva muoversi troppo, ora non dispiaceva neanche a lei.
Dopo la novità del giorno sentì finalmente qualcosa di familiare: la porta che veniva aperta, le chiacchiere delle guardie. Solo che quelle voci avevano qualcosa di strano. Erano quasi...familiari? Anche il tono era diverso, preoccupato o forse angosciato. Non riusciva a capire cosa stavano dicendo quelle voci, ma probabilmente appartenevano a tre uomini. Nancy rimase immobile e delle mani le si posarono sulla spalle. Venne scossa da quelle stesse mani mentre qualcuno chiamava il suo nome (Natasha? Nancy? Vedova? Assassina? Qual era?). Sembrava un ragazzo. Si sentiva come se la testa le stesse scoppiando. Voleva ricordare. Non voleva andare via da quella stanza, era un posto sicuro per lei nonostante le pareti rosse la inquietavano. Voleva tornare nella Torre (aspetta, quale?). Non lo ricordava, ma voleva comunque andarci. Piano piano una luce la colpì agli occhi e sentì come se qualcosa scivolasse via da se stessa. Si rese presto conto di essere in grado di sbattere le palpebre, di star tornando ad avere controllo sul suo corpo. La luce si fece sempre più intensa e una sagoma iniziò a presentarsi davanti a lei. Prima i contorni, poi il colore dei vestiti e alla fine il viso.
"...tasha" Stava dicendo, e la Vedova si rese conto che era il suo nome. Ecco, ora lo ricordava! Era sicura che ben presto sarebbe stata in grado di riconoscere anche il ragazzo, dalla voce e da tutto il resto. E di fatto, pochi secondi e dopo che ebbe pronunciato di nuovo il suo nome, Natasha riuscì a far affiorare delle una parola sulle sue labbra.
"Nick!" Da quanto non si sentiva parlare, aveva quasi temuto che si fosse scordata di come si faceva.
"Vieni, dobbiamo andare via. Ti spieghiamo dopo!" E così Fury la aiutò ad alzarsi e insieme agli altri due, zoppicante e dolorante, si avviarono all'uscita, con il rumore delle guardie alle loro spalle.

Scusate se la settimana scorsa non siamo riuscite ad aggiornare, ma spero che alla fine l'attesa ne sia valsa la pena😅

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