Capitolo 1

63 6 0
                                    

Lombardia, XXI secolo

Era una fredda giornata di gennaio. Mi trovavo disgraziatamente fuori da qualsiasi centro abitato. Non potevo più proseguire oltre. Non con questo tempo. Non con questa nebbia.

Procedevo con la mia Lancia Y a passo d'uomo, i fari accesi e qualche impropero sulle mie labbra per stemperare la tensione. Stavo per arrendermi alla prospettiva di fermarmi, accostare, accendere tutte le luci dell'auto per segnalare la mia presenza e aspettare che accadesse qualcosa.

Non potevo essere l'unica persona che circolava per la campagna mantovana, sotto un diluvio e con la nebbia più fitta che la Lombardia avesse mai registrato negli ultimi venti anni. Giusto?

Ma evidentemente, la fortuna aveva deciso di non arridermi.

Rallentai fino a fermarmi, abbassai il finestrino e cacciai fuori la testa cautamente. In lontananza, mi parve di scorgere il profilo di un edificio. Non sapevo cosa fosse, ma ero felice di averlo individuato.

In qualche modo, riuscii ad imboccare la strada piuttosto mal messa e presumibilmente in mezzo alla campagna. Parcheggiai, misi l'antifurto e uscii dall'auto.

Sembrava una struttura molto antica, ma era difficile a dirsi, data la nebbia che offuscava la vista e che ne impediva una visione completa.

Soltanto quando entrai, mi resi conto che le mie intuizioni erano esatte. Mi guardai intorno. Sebbene le nebbie della pianura Padana fossero celebri per la loro densità, il mio sesto senso nell'individuare antichità non si era sbagliato.

Cercavo qualcuno con gli occhi, ma dal momento che nessuno pareva avermi sentita entrare, avanzai piano. Il corridoio d'ingresso finiva con una porta. La aprii e capii immediatamente dove fossi capitata. Mi trovavo in un convento! Non seppi se esserne sollevata, o abbattuta. Tirai fuori il cellulare dalla tasca. Una luce artificiale illuminò parte del soffitto del chiostro. Le otto e mezza. Se non andavo errato, a quest'ora le suore dovevano essere o in cappella a pregare o nel refettorio a mangiare. Restava da capire dove si trovassero questi due luoghi. Non c'era una mappa per turisti?

Avanzai lungo il chiostro e aprii la porta che si trovava dalla parte opposta. Un fascio di luce illuminò parte del pavimento per poi scomparire non appena la chiusi dietro di me.

La mia entrata in scena determinò il calare di un silenzio imbarazzante e interruppe un coro di voci femminili intente a pregare. Tante teste velate di bianco si girarono di scatto verso di me. In fondo alla sala sopra un piano rialzato in legno c'era un tavolo più decorato rispetto a quelli in sala disposti a ferro di cavallo. Dietro, una panca con uno schienale riccamente intagliato serviva un posto che doveva essere rispettivamente quello della Madre Superiora. I posti alla sua destra e alla sua sinistra erano occupati da altre due suore.

Mi schiarii la voce.

«Buonasera, scusate l'intromissione, ma il maltempo mi ha sorpresa sulla via del ritorno. Se foste così gentili da ospitarmi per questa notte...»

Quella che doveva essere la Madre Superiora allargò le braccia con un sorriso.

«Benvenuta, stavamo giusto per mangiare. Suor Agata! Una sedia per la nostra ospite, suor Clarissa! Il cappotto.»

Una delle suore si avvicinò a me tendendo le braccia, aspettando che mi togliessi l'impermeabile in pelle nera.

«Grazie Madre,» dissi togliendomi la borsa dalle spalle, «non si disturbi troppo.»

«Sarà un piacere averla qui signorina...»

«Ginevra. Ginevra Palladini.»

Mi sedetti a capo tavola. Un'altra suora si affrettò a mettermi davanti un piatto di spaghetti al pesto e un bicchiere. Non nego di essere rimasta perplessa. Dato il luogo e il contesto, mi sarei aspettata minestra e pane secco.

Risorgere per TrionfareDove le storie prendono vita. Scoprilo ora