L'uomo senza volto

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Mi svegliai di colpo quando un vuoto d'aria mi avvolse il petto. Girai la testa nello spazio buio e cercai di colpire lo strato resistente sopra di me.
Avevo le mani legate e dalla mia bocca non usciva una parola. Lo straccio che avevo legato tra le labbra mi permetteva solo di fare dei versi sconnessi, provai a muovere i piedi ma le mie caviglie erano strette tra di loro.

Colpii ancora la struttura intorno a me, mi accorsi che stavo piangendo solo quando strofinai il dorso di una delle mie mani contro il viso. Il mio petto si alzava e si abbassava ad ogni secondo che passavo chiusa lì dentro.

Ero nel bagagliaio di una macchina, ne fui sicura quando sentii il rumore di gomme stridere contro la ghiaia e la macchina sobbalzare per il terreno mal fatto sotto di essa.

Cercai di urlare ma ogni sforzo sembrava inutile, quando girai il viso verso quella che doveva essere la porta dello sportello un mal di testa mi fece strizzare gli occhi.
Una fitta mi attraversò le tempie e il fiato mi mancò per qualche secondo, faceva caldo e la paura che si accumulava dentro di me non faceva che peggiorare l'ansia. Faceva aumentare i brutti pensieri, il nervoso e l'isteria.
Di colpo l'adrenalina che circolava nel mio flusso sanguigno si trasformò in stanchezza. I polsi e le caviglie iniziarono a farmi male e lentamente chiusi gli occhi senza però addormentarmi.
In quel momento credetti che non sarei mai più riuscita a dormire.
Dopo non riuscii a pensare a niente.
Ero così spaventata e preoccupata che la mia mente si disconnesse, ma io cercavo di contrastarla provando a capire come uscire da quel posto.
Era buio, ed ogni sforzo non sarebbe servito a niente, non sapevo dove mi trovavo e anche se fossi riuscita ad uscire non avrei saputo come tornare a casa.

La vera paura mi fece battere il cuore all'impazzata quando la macchina si fermò, sentivo il ritmo dell'organo nel mio petto dritto nelle orecchie e nella gola, come se il mio stesso corpo volesse soffocarmi per risparmiarmi tutto quel dolore.

Cercai di non fare rumore, ascoltai la portiera anteriore aprirsi e chiudersi di scatto ma un verso uscì dalle mie labbra.
Feci di tutto per liberarmi, realizzando che avevo ancora pochi secondi per fare ancora qualcosa.
Altra adrenalina si scaricò lungo il mio corpo, il sangue fluiva così velocemente da darmi la sensazione di farmi scoppiare le vene. Quando scalciai, urlai per il dolore che l'oggetto attorno alla caviglia provocò contro la mia pelle. Sembrava affilato.

Uno scatto mi fece immobilizzare, alzai lo sguardo e mentre lo sportello si apriva sentii un calore umido in mezzo alle gambe. Non sapevo più come scaricare la mia paura.

Strizzai gli occhi, una luce forte puntava contro il mio viso.
Essa si avvicinò di più a me, cercai di indietreggiare e andare nell'angolo più nascosto del bagagliaio ma una mano mi afferrò per la spalla.
Sobbalzai e un urlo fu intrappolato dalla stoffa che premeva contro le labbra.

Con una grande forza mi mise seduta, le gambe erano a penzoloni giù dall'auto ma non riuscivo a toccare il terreno. Tenevo la testa bassa, stando ferma.

Qualche minuto dopo mi accorsi che la luce che puntava il mio corpo era la torcia di un cellulare.
Il respiro era ancora affannato e il petto si alzò e si abbassò di più quando una mano tornò a toccarmi.

Era un uomo, aveva mani grandi e leggermente rovinate. Accarezzò alcune delle ciocche bionde che mi erano finite sul viso e a quel tocco una nausea mi salì alla bocca dello stomaco. Aveva ancora il viso coperto dal cappuccio.
Lui indietreggiò di un passo e puntò la torcia sulle mie gambe.

-Ti sei pisciata addosso.- mormorò.

Non era arrabbiato, non mi stava rimproverando, aveva solo osservato il fatto che mi ero davvero pisciata nei pantaloni per la paura.

Io non dissi niente, cercai di non attirare l'attenzione. Se avessi iniziato a correre sarei inciampata subito. I piedi legati erano molto d'intralcio.

La sua mano si strinse intorno al mio avambraccio.

-Andiamo.-

Piansi in silenzio, cercando di camminare e non costringerlo a trascinarmi contro la ghiaia. Facevo passi molto piccoli e spesso mi inciampavo. Eravamo in campagna, potevo vedere alcune luci delle città sotto di noi.
Tutta quella gente e nessuno che sapeva che io ero lì con quell'uomo.
Un vortice di domande incominciarono ad inondarmi la testa, cosa voleva da me? Perché ero lì?
Cercai di guardarlo, il suo profilo era oscurato dalla notte e non riuscivo a vederlo bene. Anche quando si tolse il cappuccio della felpa che indossava non riuscivo a osservare il suo viso.
Lui si girò a fissarmi senza smettere di camminare.
I suoi occhi furono su di me fino a quando non ci avvicinammo ad una casa. Era grande e non sembrava neanche tanto vecchia.
Sicuramente non volevo entrarci, una sensazione mi appesantì le viscere e fece riecheggiare nella mia mente il pensiero fisso che una volta entrata lì dentro probabilmente non ne sarei più uscita.

Iniziai ad opporre resistenza, puntai i talloni contro la ghiaia e cercai di togliermi dalla prese dell'uomo.
Lui mi tirò, facendo uscire un verso dalle sue labbra, mi fece scivolare in avanti. Facendo strusciare le scarpe contro la ghiaia.
Scossi la testa e il mio pianto si fece più insistente, urlai ancora attraverso la benda.

Lo vidi perdere la pazienza, dopo uno sbuffo sonoro mi diede uno schiaffo che mi fece voltare la testa.
Anche ore prima mi aveva colpita in quel punto e sentire la botta contro il livido che si stava formando non era per niente piacevole. Piansi ancora. Lui portò le mani sui miei fianchi, la giacca che indossavo si alzò di qualche centimetro, mi tirò in alto e posò la vita contro la sua spalla.
In quel momento mi ritrovai a testa in giù, altri capelli mi solleticarono il viso e con le gambe cercavo di colpirlo.
Mi tirò uno schiaffo forte sulla cosce, non fece male grazie ai jeans che stavo indossando ma solo l'azione mi fece spaventare e smisi di provare a fargli male.
Ovviamente era più forte di me.

Aprì la porta, accese delle luci e per poco non mi fece sbattere la testa quando richiuse la lastra di legno dietro di sé.
Mi guardai intorno cercando di memorizzare ogni dettaglio possibile.
Davanti all'entrare c'erano delle rampe di scale sia a scendere che a salire, un grande salone era stato riempito con un divano ed una tv. Le altre stanze presenti nel piano avevano la porta chiusa.
Il ragazzo camminò verso le scale, guardai le sue scarpe nere e notai che fosse abbastanza magro. Come faceva a reggermi?
Lasciai penzolare le mani legate contro la sua schiena, l'adrenalina mi aveva abbandonato di nuovo lasciandomi in uno stato di sonnolenza e distruzione interna.
La luce diminuì quando iniziò a scendere le scale, ad ogni scalino il mio cuore sprofondava di un centimetro in una fossa di disperazione. Avrei potuto vomitare tutto quello che avevo dentro al corpo in quel momento.

Si fermò, lo sentii aprire una porta, accese una luce, era meno luminosa rispetto a quelle del piano superiore.

Un lavandino ed un porta asciugamani entrarono nella mia visuale. Tenni la testa alzata e urlai quando mi fece scendere dalla sua spalla.
Caddi a terra, le gambe non mi reggevano più. Lui mi fissò dall'alto, alzai il viso e per la prima volta lo vidi.
La pelle scura metteva in risalto i suoi occhi di cioccolato, mi guardò con sguardo rigido mentre un ciuffo di capelli neri gli cadde sulla fronte. Aveva appena un accenno di barba ma smisi di incrociare il suo sguardo quando si chinò in avanti.
Prese qualcosa dalla tasca, era una piccola chiave argentata. Lo osservai togliermi quelle che avevo scoperto essere manette dalle caviglie.
Mi lamentai rumorosamente e piansi altre lacrime quando la ferita causata dal metallo fece sanguinare un lembo di pelle di una delle caviglie.

Lui mi afferrò per le braccia e mi tirò su.

-Spogliati.- ordinò con voce dura, fece dei passi indietro. 
Si appoggiò sul bordo del lavandino mentre io guardai la vasca da bagno e il gabinetto dietro di me.
Piansi al suo ordine, e piansi ancora di più quando constatai di avere le mani legate e quindi di non riuscir a rimuovere i jeans senza cadere contro il pavimento freddo.
Il ragazzo si avvicinò di scatto, si piegò, aprì il bottone dei miei jeans e li sfilò fino al ginocchio.

Guardai in alto e piansi ancora, avrei voluto morire.

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