CAPITOLO 4

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"È il tuo cuore, è vivo, pompa sangue.." recitava la canzone della mia sveglia alle 9.20 di quel martedì 3 marzo, era arrivato, purtroppo, il giorno della partenza e il momento di dover dare il nostro ultimo saluto a quella città, quel luogo che avrei pensato ogni qualvolta avessi voluto rimembrare la mia ennesima straziante esperienza d'amore, anche se questa volta era diverso, sì me lo sentivo, non sarebbe stato come tutte le altre volte, non sarebbe bastato il tempo per farmi dimenticare di lui. Mi alzai dal letto e dopo essermi lavata e custodita, senza svegliare le mie compagne di stanza, sgattaiolai di sotto nella sala delle colazioni dove incontrai altri miei compagni di classe. Il mal di testa si faceva sentire più forte che mai e la mia voglia di fare qualsiasi cosa era sotto zero. Volevo dormire, sì era il mio unico desiderio, dormire tra le braccia del mio Christian, sì mio. Ma sapevo che era un desiderio troppo grande, immenso, impossibile da avverare, già solo per il fatto che Christian non era mio, dovevo mettermelo bene in testa.

Finalmente ero riuscita a chiudere tutto dentro la valigia, vecchi vestiti portati da casa e nuovi acquisti, tutto dentro, pronti per la partenza. ~Sai, ieri mi ha dato il suo numero..~ rivelai a Lucia ~Embè, cosa aspetti? Chiamalo, mandagli un messaggio! Fai qualcosa, non voglio vederti così distrutta!~ abbassai lo sguardo affranto ~Non credo sia il suo vero numero.. e poi non saprei cosa dirgli.. cioè non è che posso chiamarlo e dirgli: ciao sono Giulia, la ragazza italiana di ieri sera e.. ti amo! Cazzo, mi prende per pazza.. e forse avrebbe proprio ragione! Sono una povera pazza illusa..~ Lucia annullò la nostra distanza in un abbraccio ~No, non dire così.. sei solo un po' particolare, sei diversa, ma non pazza, mai! Sei la mia migliore amica ecco cosa sei!~ e mi posò un dolce bacio sulla mia soffice guancia. Aveva ragione, io ero diversa, DIVERSA, mi piaceva quella parola, quella definizione di me, secondo me la diversità dovrebbe essere il valore che tutti dovrebbero perseguire, perché essere diversi è bello, curioso e interessante, molto di più della conformità e dell'uguaglianza, dell'omogeneità. ~Sì, io sono DIVERSA!~ urlai forte come se tutto il Mondo potesse ascoltarmi, presi per mano la mia amica e feci una giravolta su me stessa, per un attimo ero stata felice, un attimo che però durò poco. ~Dobbiamo scendere a consegnare le chiavi della camera, tra un'ora andiamo all'areoporto!~ un'altra compagna intervenne nella nostra conversazione per avvisarci.

"Allacciate le cinture di sicurezza pronti per il decollo!" riferiva un hostess al microfono, ciao Praga ripetevo io nella mia mente, giuro che tornerò. Appena terminato il decollo infilai le cuffiette, non volevo parlare con nessuno, volevo isolarmi come mio solito, volevo stare nell'unico mondo in cui mi sentivo bene e a mio agio, quello della musica. Mai e per sempre di Marco Mengoni, lacrime mie, non riuscii a trattenerle e cercai in tutti i modi di non farmi notare da chi sedeva accanto a me. Piansi, piansi segretamente per tutto l'amore che avrei potuto dare a quel ragazzo, amore sprecato, amore affisso in aria, amore per nessuno ormai, un amore che sarebbe rimasto su quell'aereo tra Praga e Roma, lì e nei mie ricordi, per sempre. Quella canzone parlava d'amore ovviamente, di parole inespresse, non dette e non comprese, un amore iniziato, ma poi lasciato a metà, rifiutato per codardia, per paura, un amore infine unilaterale, ma un amore eterno che mai sarebbe terminato, parlava anche di un'incomprensione, sì un'incomprensione di sè. Era la mia canzone, in quel momento descriveva me, o meglio noi, me e lui.

Era giunto il momento dell'atterraggio quando mi svegliai da un debole sonno, eravamo a Roma, Praga non c'era più, ormai era così distante, ma nei miei pensieri così vicina, quasi potevo sfiorarla. La febbre non sembrava volersene andare e i brividi di freddo iniziavano a diventare numerosi, stavo male e non solo per amore. L'aereo era fermo, era giunto il momento di scendere, tornare alla vita reale, la solita vita di tutti giorni, la noiosa vita Italiana.
Uscimmo definitivamente dall'areoporto e salimmo sul pullman che ci stava già aspettando da una decina di minuti. Non posso nascondere il fatto che durante quel viaggio pensai poco a Christian, la mia mente era piuttosto impegnata a mettere a tacere il dolore procurato dalla febbre. Me l'ero misurata appena salita sul bus e il termometro aveva segnato ben 38.6 gradi centigradi, non me la spassavo di certo. Non potevo far altro che dormire per non sentire la mia testa bottolare in un vortice di dolore. Durante il viaggio non parlai con nessuno. Facemmo una fermata in un bar al lato di una strada statale a circa due ore da casa. In quel momento volevo soltanto arrivare a casa mia e buttarmi sul mio amato letto e dormire, dormire e ancora dormire senza mai più svegliarmi nella mia vita reale, io la mia vita  volevo sognarla, la volevo come pareva a me, a me e basta. Ma non si può.

Il mio cuscino, il mio profumo, la mia stanza, sì era lei. In quel momento adorai più che mai la morbidezza del mio cuscino, potevo affondare il mio viso in esso e godere di tutto il suo profumo di pulito. Alzai lo sguardo verso il soffitto e notai l'ora riflessa dalla sveglia, 10.13, dovevo alzarmi, a breve avrei dovuto prendere l'antibiotico, come mi aveva ben avvisata la mamma l'antibiotico va preso ogni 12 ore a stomaco pieno e io la sera prima l'avevo preso alle 22.30 circa, quindi dovevo alzarmi per fare colazione e prendere quella grossa pasticca con mezzo bicchiere d'acqua. Mi alzai in piedi lentamente per evitare forti giramenti di testa e dopo aver indossato una felpa bella pesante mi diressi in cucina come uno zombie. La casa era vuota, proprio come piaceva a me, sola finalmente, io con i miei pensieri, con i miei problemi, io e nessun altro. A quel tempo ne sentivo il bisogno, il bisogno di avere questi momenti di solitudine, momenti in cui pensavo e basta,  mi servivano per stare meglio, con gli altri, ma soprattutto con me stessa.
Dopo aver consumato la mia prima colazione italiana dopo circa sei giorni, mi rimisi sotto le coperte, ma sentii un forte bisogno di scrivere, di raccontare, esternare in qualche modo quello che sentivo, quello che pensavo. Allungai il braccio e afferrai il tablet che giaceva in pace sul comodino. Scelsi la giusta applicazione e iniziai a scrivere, possiamo definirla una specie di pagina di diario dove io esplicitai cose personali ad una persona immagiinaria, anche se forse questa persona si poteva meglio identificare con me stessa, con la vera me, quella che sempre cercavo di nascondere nel profondo, quella più saggia che si metteva dietro le mie molteplici maschere. E così iniziai a scrivere:

" 4 marzo 2008.
Eccomi, sul letto con quasi 37.5 di febbre.. però felice, oddio, fino ad un certo punto. Felice perché quella che è appena terminata è stata una bella gita, ma proprio per questo anche un po' triste.. cavolo, è già finita, ora Praga mi sembra così distante, anche se fino a ieri ero lì. Quasi mi viene da piangere a pensare di essermene andata, a pensare di dover lasciare alle spalle tutto ciò che è successo lì in così poco tempo. Devo rimettermi a studiare per l'esame come del resto è stato per tutto questo anno scolastico, tutto tranne questi 6 giorni di Paradiso, sì è stato davvero come vivere una settimana in Paradiso, il mio. È stato divertimento allo stato puro. Non ho dovuto render conto a nessuno di ciò che ho fatto, quello che volevo fare facevo, non avevo regole degli altri, solo le mie. La città è stupenda indubbiamente, ma la gente che si può incontrare a Praga ancor di più! Lo giuro.
Che dire.. di tutta la gente, i ragazzi diciamo, che ho incontrato è più che normale che uno in particolare mi sia rimasto nel cuore e credo che con difficoltà se ne andrà. Il suo nome è Christian, Austrico, di Vienna precisamente, 23 anni. È uno stronzo, lo so, ma che ci posso fare se mi ha catturato il cuore, dimmelo tu, cosa posso farci se ogni singolo secondo penso a lui costantemente e non riesco a trovare una ragione al fatto che probabilmente non ci rivedremo mai più in tutta la nostra vita?! Le lacrime non servono a niente, lo so, ma in questo momento potrei solo piangere, solo questo potrei fare, piangere e pensare a quel breve tempo passato insieme, a quel tempo che forse è stato uno dei più belli della mia vita.
Adoro il suo orgoglio, ma anche la sua dolcezza e pure la sua testardaggine, cavolo quanto la adoro. Le sue labbra, oddio le sue labbra sono perfette, baciano in modo perfetto, come nessuno mai mi aveva baciata fin ora. Il suo sorriso riusciava ad illuminare i miei occhi nostante fosse buio, nonostante nei vicoli di Praga non ci fossero forti luci, nonostante la pista da ballo dello Chapeau Rouge fosse priva di un alta illuminazione. Non capisco perché io debba sempre incontrare il giusto ragazzo nel momento e nel luogo sbagliato, perché? Ora vorrei solo prendere un aereo, tornare a Praga e trovarlo di nuovo, continuare con lui la sua vacanza a Berlino e vivere per sempre in questo  magnifico sogno. Ma la vita è altro, sì anch'essa è fatta di sogni, ma non di questo tipo, questi sono più pazzie che sogni, ma per quelli come me che amano le pazzie, queste sono come normali pensieri, sempre nella mia mente. Non so cosa fare, devo convincermi che lui non era quello giusto, ma piuttosto soltanto uno dei tanti, ma devo convincermi e so che non è facile. Cazzo, è quasi impossibile.
Mi sono ripromessa di tornare a Praga tra qualche anno, ma ho deciso che andrò anche a Vienna, sì l'ho deciso ieri mattina, chissà se per sbaglio lo rivedrò o se sarà come tante altre volte solo una vana speranza, chi può saperlo? Nessuno, o comunque non certo io."

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