𝗧𝗜𝗗 - 𝕴𝖑 𝖕𝖗𝖎𝖒𝖔 𝖇𝖆𝖈𝖎𝖔 𝖉𝖎 𝕵𝖊𝖒 𝖊 𝕿𝖊𝖘𝖘𝖆 𝖉𝖆𝖑 𝖕𝖚𝖓𝖙𝖔 𝖉𝖎 𝖛𝖎𝖘𝖙𝖆 𝖉𝖎 𝖑𝖚𝖎

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(🔞 LETTURA SCONSIGLIATA AI MINORI DI DICIOTTO ANNI O PERSONE SENSIBILI A TEMI SESSUALI ESPLICITI 🔞)

La prima cosa che Jem fece, entrando nella stanza, fu dirigersi verso la scatola di yin fen sul comodino.Di norma prendeva la droga in una soluzione d'acqua, lasciando che si sciogliesse prima di berla, ma in quel momento era troppo impaziente; ne afferrò una manciata tra pollice e indice e la succhiò direttamente dalle dita. Sapeva di zucchero bruciato, e gli lasciò l'interno della bocca intorpidito. Jem sbatté il coperchio della scatola con un oscuro moto di soddisfazione.
A quel punto prese il suo violino.
La nebbia si era addensata contro le finestre, così che sembravano dipinte col piombo. Se non fosse stato per il tenue bagliore delle torce di stregaluce, l'illuminazione non sarebbe bastata per permettergli di vedere ciò che stava facendo mentre apriva la custodia e ne tirava fuori il suo Guarneri. Un frammento di una delle canzoni di Bridget gli risuonò nella mente: era buia, una buia notte, senza la luce delle stelle, e loro avevano viaggiato attraverso il sangue che gli arrivava alle ginocchia.
Davvero una buia, buia notte. Il cielo era stato scuro come la pece, giù a Whitechapel. Jem pensò a Will, in piedi sul marciapiede, che sorrideva con sguardo confuso. Finché lui non l'aveva colpito. Prima non gli era mai capitato di fare una cosa simile, non importava quanto esasperante potesse essere stato il suo parabatai. Non importava quanto fosse stato maschino con le altre persone, non importava la sua casuale crudeltà, non importava il suo umorismo tagliente quanto la lama di un coltello. Jem non l'aveva mai colpito. Fino a ora.
L'archetto era già resinato; piegò le dita prima di prenderlo, e inspirò svariate volte. Riusciva già a sentire lo yin fen scorrergli nelle vene, incendiandogli il sangue come il fuoco accende la polvere da sparo. Ripensò a Will, addormentato nel letto di una fumeria d'oppio. Era stato raggiante, col volto disteso e innocente per il sonno, simile a un bambino che tiene una mano premuta contro la guancia per farsi da cuscino. Jem ricordava il tempo in cui Will era stato così giovane; non c'era invece momento in cui fosse stato innocente.
Sistemò l'archetto sulle corde e cominciò a suonare. All'inizio con delicatezza. Suonò Will perso nei sogni, che cercava sollievo in una nebbia di droga capace di soffocare il suo dolore. Jem poteva solo invidiarlo per questo. Lo yin fen non era un rimedio: non gli donava ciò che gli oppiomani trovano nelle loro pipe, o gli alcolisti sul fondo delle bottiglie di gin. Senza droga per lui c'era solo stanchezza ed esaurimento; con, invece, energia e fervore. Ma mai tregua al dolore.
Le ginocchia di Jem cedettero e lui si lasciò cadere sul baule ai piedi del letto, senza smettere di suonare. Suonò Will che esalava il nome di Cecily, e suonò se stesso mentre osservava lo scintillio del suo anello al dito di Tessa, lì sul treno per York, sapendo che la loro era tutta una finzione, e che avrebbe voluto che non lo fosse. Suonò la tristezza negli occhi di Tessa mentre entrava nella stanza della musica dopo che Will le aveva detto che non avrebbe mai avuto dei bambini. Era stato un gesto inscusabile, il suo, eppure Jem gliel'aveva perdonato. Aveva sempre creduto che l'amore fosse perdono, e che le cose che Will faceva nascessero da un pozzo di dolore senza fondo. Jem non conosceva la fonte di quella sofferenza, ma esisteva ed era reale, di questo era certo, così come era certo dell'inevitabilità della sua morte, del suo amore per Tessa Gray e che non c'era niente che lui stesso o qualcun altro potesse fare a riguardo.
Suonò quella certezza, suonò i loro cuori spezzati, e il suono del violino lo avvolse e lo sollevò e lui chiuse gli occhi...
La porta si aprì. Jem sentì un rumore attraverso la musica, ma per un istante non ci badò, perché quella che sentiva era la voce di Tessa che chiamava il suo nome: "Jem?"
Di certo lei doveva essere un sogno, creato dalla musica e la droga e la sua mente febbricitante. Continuò a suonare, suonando la collera e la rabbia che provava nei confronti di Will, perché l'aveva sempre perdonato per le sue crudeltà nei confronti degli altri, ma non poteva scusarlo per essersi messo in pericolo da solo.
"Jem!" chiamò di nuovo la voce di Tessa, e all'improvviso si sentì coprire le mani da quelle di lei, le sentì strappargli l'archetto dalla presa. Lo lasciò andare, sorpreso, fissandola. "Jem, smettila! Il tuo violino – il tuo amato violino – lo romperai."
Tessa gli stava davanti; aveva usato una vestaglia per coprire la camicia da notte bianca. Jem la ricordava, quella camicia: l'aveva indosso la prima volta che l'aveva incontrata, quando era entrata nella sua stanza e lui per un folle momento l'aveva scambiata per un angelo. Adesso Tessa aveva il respiro affannato, le guance rosse, il violino stretto in una mano e l'archetto nell'altra.
"Che importa?" le chiese. "C'è qualcosa, in tutto questo, che abbia una qualche importanza? Sto morendo – non resisterò una decade, quindi che importa se il mio violino andrà via prima di me?" Lei lo stava fissando, le labbra socchiuse per lo stupore. Jem si alzò e si voltò dall'altra parte. Non poteva più sopportare di guardarla in viso, di vederla delusa da lui, dalla sua debolezza. "Sai che è vero."
"Nulla è deciso." La voce di Tessa tremò. "Nulla è inevitabile. Una cura..."
"Non c'è cura. Morirò e tu lo sai, Tess. Probabilmente entro l'anno. Sto morendo, e non ho più famiglia al mondo, e la persona di cui mi fidavo più di chiunque altro gioca con ciò che mi sta uccidendo."
"Ma, Jem, non penso che sia questo ciò che Will voleva fare." Tessa aveva posato il violino e l'archetto e gli si stava avvicinando. "Tentava di scappare – sta fuggendo da qualcosa, qualcosa di oscuro e orribile, e sai che è così, Jem. Hai visto in che stato era dopo – dopo Cecily."
"Sa cosa significa questa roba, per me," le rispose. Tessa era proprio dietro di lui: poteva sentire il leggero profumo della sua pelle: acqua di viola e sapone. Il bisogno di voltarsi e toccarla era soffocante, ma riuscì a trattenersi. "Vederlo addirittura giocare con ciò che mi ha distrutto la vita..."
"Ma non stava pensando a te..."
"Lo so." Come poteva dirlo? Come poteva spiegarlo? Come poteva dirle che Will era la persona a cui aveva votato la sua intera esistenza? La riabilitazione di Will, la bontà innata di Will. Will era lo specchio infranto della sua stessa anima che lui aveva tentato per anni di riparare. Poteva perdonare a Will di aver fatto del male a chiunque, ma non a se stesso. "Mi ripeto che è meglio di quel che desidera far credere agli altri, ma, Tessa, e se non lo fosse? Ho sempre pensato che, se anche non avessi avuto nient'altro, avrei comunque avuto Will – che se anche non avessi fatto niente che rendesse valida la mia vita, almeno sarei sempre stato al suo fianco – ma forse non avrei dovuto."
"Oh, Jem." Il tono di Tessa fu tanto dolce da farlo voltare. Aveva i capelli scuri sciolti: le scendevano intorno al viso, e lui provò l'assurdo desiderio di affondarci le dita dentro, di avvicinarla a sé, portarle le mani sulla nuca. Tessa sollevò una mano verso di lui, e per un momento una selvaggia speranza si accese in Jem, inarrestabile come la marea – ma gliela poggiò semplicemente sulla fronte, con l'attenzione di un'infermiera. "Bruci. Dovresti riposare..."
Si sottrasse al suo tocco prima di riuscire a fermarsi. Gli occhi grigi di Tessa si spalancarono. "Jem, cosa c'è? Non vuoi che ti tocchi?"
"Non così." Non riuscì a impedirsi di pronunciare quelle parole. La notte, Will, la musica, lo yin fen; tutto gli aveva sbloccato qualcosa dentro – conosceva a stento questo altro se stesso, quest'estraneo che diceva la verità e la pronunciava con durezza.
"Così come?" Sul viso di Tessa la confusione era palese. Sul lato del collo si scorgeva la sua pulsazione; lì dove la vestaglia era aperta gli riusciva di vedere la morbida curva della sua clavicola. Jem si affondò le unghie nel palmo della mano. Non poteva più trattenere le parole. Era nuota o affoga.
"Come se fossi un'infermiera, e io il tuo paziente," le disse. "Pensi che io non sappia che quando mi prendi la mano lo fai solo per sentirmi il battito? Che quando mi guardi negli occhi è solo per capire quanta droga ho preso? Se fossi un altro uomo, un uomo normale, potrei avere delle speranze, o addirittura presunzioni – potrei..." Potrei volerti. Si bloccò prima di dirlo. Non poteva farlo. Le parole d'amore erano un conto: quelle di desiderio, invece, erano pericolose come una costa rocciosa capace di far affondare le navi. Non c'era speranza, Jem lo sapeva, eppure...
Tessa scosse il capo. "A parlare è la febbre, non tu."
Senza speranza. La disperazione lo tagliò come un coltello smussato, e parlò senza rifletterci: "Non riesci neppure a credere che io possa volerti. Che io sia abbastanza vivo, abbastanza in salute..."
"No..." Tessa gli afferrò il braccio, e fu come avere cinque marchi incandescenti contro la pelle. Il desiderio lo attraversò, simile al dolore. "James, non è ciò che intendevo..."
Posò la mano su quella di lei, lì dove gli teneva il braccio. La sentì inspirare – bruscamente, per la sorpresa. Ma non per l'orrore. Tessa non si scostò. Non ritrasse la mano. Gli permise di tenerla, e poi di voltarla, così che i loro visi si trovarono l'uno di fronte all'altro, abbastanza vicini da respirarsi a vicenda.
"Tessa," disse. Lei alzò gli occhi verso di lui. La febbre gli scorreva dentro come il sangue, e Jem non era più certo di cosa fosse desiderio e cosa droga, né sapeva se si stessero o meno accrescendo a vicenda, e tuttavia questo non importava, non importava perché lui la desiderava, l'aveva voluta per così tanto tempo. Tessa aveva gli occhi grandi e grigi, le pupille dilatate, le labbra socchiuse in un respiro come se stesse per dire qualcosa, ma prima che potesse parlare lui la baciò.
Il bacio gli esplose in testa come i fuochi d'artificio nel giorno di Guy Fawkes. Jem chiuse gli occhi in un turbinio di colori e sensazioni quasi troppo intenso perché gli riuscisse di sopportarlo: le labbra di Tessa erano morbide e calde sotto le sue, e si ritrovò a passarle le dita sul viso, lungo le guance, sul battito martellante nel suo collo, sulla pelle soffice della sua nuca. Ci volle tutto l'autocontrollo che aveva in corpo per toccarla gentilmente, per non premersela contro, e quando Tessa alzò le braccia e le usò per circondargli il collo, sospirandogli in bocca, Jem fu costretto a soffocare un gemito e restare immobile per un secondo, o sarebbero finiti sul pavimento.
Le mani di Tessa erano gentili, su di lui, ma non si poteva fraintendere il loro incoraggiamento. La sua bocca mormorava contro quella di Jem, chiamava il suo nome, il corpo morbido e forte tra le sue braccia. Con le mani Jem seguì l'arco della sua schiena, sentendone la curva sotto la camicia da notte, e a quel punto non riuscì più a fermarsi: la strinse con così tanta forza contro di sé da far inciampare entrambi, facendoli cadere sul letto.
Tessa sprofondò nei guanciali e lui le si appoggiò sopra. I suoi capelli non erano più intrecciati, e scorrevano sciolti e scuri sui cuscini. Un rossore le si diffuse sul viso e poi giù lungo la scollatura del suo abito, facendole avvampare le pelle candida. La calda pressione dei loro corpi gli dava le vertigini come nient'altro che lui avesse mai immaginato, più fiera e deliziosa della musica più delirante. La baciò ancora e ancora, ogni volta con più passione, assaporando le labbra di Tessa, il sapore della sua bocca, finché l'intensità di quel gesto non rischiò di diventare dolore e non passione.
Avrebbe dovuto fermarsi, e lo sapeva. L'intera faccenda era andata ben oltre l'onore, oltre ogni limite della decenza. Aveva immaginato, a volte, di baciarla, di prenderle con attenzione il viso tra le mani, ma non aveva mai sognato niente del genere: che si sarebbero stretti l'uno all'altra con così tanta forza da rendergli difficile capire dove finisse lui e iniziasse lei. Che Tessa l'avrebbe baciato e accarezzato e avrebbe fatto scorrere le dita tra i suoi capelli. Che, quando lui avesse esitato con le mani sui lacci della vestaglia, la parte ragionevole del suo cervello a ricordare al suo corpo ribelle e riluttante di fermarsi, sarebbe stata lei a risolvere con facilità il dilemma sciogliendo i fiocchi, che si sarebbe distesa mentre la stoffa le cadeva intorno, guardando Jem con indosso niente oltre alla sua sottile camicia da notte.
Aveva il mento alzato, determinazione e candore negli occhi, e sollevò le braccia per accoglierlo nuovamente, avvolgendolo, trascinandolo. "Jem, il mio Jem," stava sussurrando, e lui rispose ai sui sussurri, perdendo le parole contro la bocca di Tessa, mormorando verità che sperava che lei non avrebbe capito. Sussurrò in cinese, preoccupato che se avesse parlato in inglese gli sarebbe sfuggito di bocca qualcosa di profondamente stupido. Wo ai ni. Ni hen piao liang, Tessa. Zhe shi jie shang, wo shi zui ai ni de.
Ma vide gli occhi di Tessa scurirsi; seppe che stava ricordando ciò che le aveva detto in carrozza. "Che significa?" gli mormorò.
Lui si irrigidì contro di lei. "Significa che sei bellissima. Non volevo dirtelo, prima. Non volevo che pensassi che mi stavo prendendo delle libertà."
Tessa si allungò verso di lui e gli toccò una guancia. Jem poteva sentire il suo cuore battere contro quello di lei. Aveva la sensazione che stesse battendo fuori dal petto.
"Prenditele," gli sussurrò.
Il cuore di Jem si alleggerì, e la sollevò per premersela contro, qualcosa che non aveva mai fatto prima, ma Tessa non sembrava badare alla sua goffaggine. Le mani di Tessa gli percorrevano gentilmente il corpo, imparando a conoscerlo. Le sue dita gli accarezzarono l'osso del fianco, l'incavo del collo. Si aggrovigliarono nella sua camicia e gliela sollevarono sopra la testa, e lui le si stese contro, scostandosi dal volto i capelli argentei. Vide gli occhi di Tessa spalancarsi e sentì una stretta allo stomaco.
"Lo so," le disse, guardandosi – pelle come cartapesta, costole come corde di violino. "Non sono – voglio dire, sembro..."
"Bellissimo," disse Tessa, e la parola fu una dichiarazione. "Sei bellissimo, James Carstairs."
L'aria gli tornò nei polmoni e ripresero a baciarsi, le mani di Tessa calde e lisce sulla pelle nuda di Jem. Lo toccò con fare esitante, con curiose carezze, mappando un corpo che sotto il suo tocco sembrava fiorire in qualcosa di perfetto, salutare: non più un delicato strumento di debole carne attaccata a struttura di ossa fragili. Solo ora, mentre stava succedendo, si rese conto di quanto fortemente aveva pensato che non sarebbe mai capitato.
Poteva sentire il respiro morbido e nervoso di Tessa contro la pelle sensibile del suo collo, mentre le faceva scivolare le dita su e giù per il corpo. La toccò come avrebbe toccato il suo violino: era quello il modo in cui sapeva di dover toccare le cose preziose e amate. Aveva portato il suo violino tra le braccia durante il viaggio da Shanghai a Londra, e nel suo cuore aveva portato anche Tessa per molto più tempo di quanto riuscisse a ricordare. Quando era successo? Con le mani la toccò attraverso la camicia da notte, sfiorandole la curva dei fianchi e della schiena come avrebbe sfiorato la curva del Guarneri, ma il violino non produceva dei sospiri gratificanti quando lo toccava, non cercava la sua bocca per essere baciato né aveva delle affascinanti ciglia che si chiudevano quando gli accarezzava la pelle sensibile dietro le ginocchia.
Forse era cominciato il giorno in cui era corso sulle scale da lei e le aveva baciato la mano. Mizpah. Possa il Signore vegliare su di noi mentre siamo separati. Era stata quella la prima volta in cui aveva pensato che ci potesse essere qualcosa in più nei suoi riguardi rispetto all'ordinario sentimento per tutte le altre ragazze graziose che non poteva avere; che avesse l'aspetto di qualcosa di sacro.
I bottoni perlati della camicia da notte di Tessa erano lisci sotto le sue dita. Il corpo di lei si inarcò all'indietro, il corvo incurvato, mentre la stoffa scivolava via, lasciandole le spalle scoperte. Il respiro di Tessa era accelerato nella sua gola, i riccioli appiccicati alle sue guance arrossate e alla fronte, l'abito schiacciato tra loro. Jem tremò mentre si chinava per baciarle la pelle nuda, quella pelle che molto probabilmente nessuno eccetto lei stessa e forse Sophie aveva mai visto, e Tessa gli posò una mano sul viso, facendogliela scorrere tra i capelli fino alla base del collo...
Si sentì il rumore di qualcosa che si rompeva. E una soffocante nebbia di yin fen riempì la stanza.
Jem si sentì come se stesse respirando del fuoco; si tirò indietro, lontano da Tessa, con così tanta forza da far quasi perdere l'equilibrio a entrambi. Anche Tessa si sedette, richiudendosi la camicia da notte, l'espressione improvvisamente impacciata. Tutto il calore in Jem sparì; la sua pelle cominciò improvvisamente a gelare – per la vergogna, e di paura per Terra – non aveva mai pensato che lei si sarebbe trovata così vicino a quella roba velenosa che gli aveva distrutto la vita. Ma la scatola laccata si era rotta: un sottile strato di polvere luminosa si era sparso sul pavimento; e anche se Jem aveva preso un respiro per dirle di andarsene, di lasciarlo per mettersi al sicuro, non fu alla perdita della preziosa droga che pensò, o al pericolo che avrebbe corso se non fosse riuscito a recuperarla. Pensò solo: mai più.
Lo yin fen mi ha già tolto così tanto: la mia famiglia, anni della mia vita, la forza del mio corpo, il respiro dai polmoni. Non mi porterà via anche questo: la cosa più preziosa che l'Angelo ci ha dato. La capacità di amare. Amo Tessa Gray.
E farò tutto il possibile perché lei lo sappia.

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