Capitolo 20. The river walk bridge. Parte seconda.

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Era stata silenziosa più di un gatto, quindi, dubitava che lui l'avesse sentita arrivare e questo minuscolo vantaggio le permise di bearsi di quella vista, sebbene le desse le spalle.

Il cappuccio della felpa, constatò, era ben calato sulla testa, come a voler celare lo sguardo al resto del mondo. Per il resto, Archie aveva scelto un look total grey per quello strano incontro, accompagnando il tutto con ai piedi un paio di Jordan Max Aura nere, dai contorni rossi.

Grace sentì una sorta di déjà-vu, come se, vederlo palleggiare, potesse essere la chiave di volta per entrare nel suo passato, in quel sogno proibito che, intuiva, aveva a che fare più con lo sport in sé e per sé che con il giornalismo sportivo.

Vederlo in tuta, le diede l'impressione di potersi tuffare nel tunnel dei ricordi di Archie.

Senza sapere bene perché, Grace lo immaginò ancora liceale, mentre, canestro contro canestro, cercava di costruire il proprio futuro, bruciando, partita dopo partita, i centimetri che lo dividevano dall'Nba. Proprio come Jacob Wayne le aveva raccontato di voler fare, nella sua intervista d'esordio al Magazine.



Quando la palla volò dritta nel canestro, Grace si riscosse. I suoi occhi, fino a quel momento concentrati a cercare di assorbire un futuro mai divenuto presente, tornarono alla realtà.

Ammirò come quella tuta grigio perla valorizzasse i glutei scolpiti del suo capo, che risplendevano in tutta la loro possanza, come non avevano mai potuto fare, quotidianamente costretti com'erano in abiti eleganti.

Quelle considerazioni nuove, però, la confusero, rimescolandole il sangue. Grace provava così tante sensazioni tutte insieme che sentiva di essere invasa da un'onda di caos. Lì, su quel campetto che aveva visto giorni migliori, sentiva di ondeggiare, come una barca alla deriva.

Ma la cosa che la spaventava di più era che il suo cuore le urlasse di raggiungere Archie. Lui era l'isola su cui approdare. Lui era l'ancora che l'avrebbe riportata a casa, che le avrebbe permesso di raggiungere quella terraferma che era la felicità.



Grace provò a spiegarsi cosa le stesse succedendo, a cosa fosse dovuto quel terremoto di sensazioni che la scuoteva all'improvviso, ma non seppe darsi risposta. Poi, proprio quando provò a convincersi che era tutta colpa di quel posto, che, a suo dire, le stava lanciando qualche incantesimo capace di renderla impotente di fronte a tanta sfacciata bellezza, lui parlò.

«Sai Grace, la gente pensa che sia la ricchezza a fare la felicità. E, per certi versi, non mi sento di negare questa frase fatta. La mia famiglia non ha mai avuto ristrettezze economiche, non ha mai dovute fare sacrifici per crescere i propri figli o per permetterci di coltivare i nostri sogni, le nostre ambizioni.»

Un silenzio greve scese su entrambi. Un nuovo tipo di confusione invase la mente di Grace: possibile che l'avesse fatta venire lì, dopo cena, per parlare della ricchezza della sua famiglia?

Poi, però, come si era interrotto, Archie riprese, parlando senza voltarsi: «Il peso specifico di una bolletta da pagare nessuno di noi sa cosa sia. Perché è vero, la ricchezza ti permette di avere più strade a tua disposizione. Se sei ricco, puoi percorrere la via che più ti aggrada. Se sei ricco, molte porte ti vengono spalancate in faccia prima ancora che tu decida o meno di bussarvi.»

Finalmente, il suo capo si voltò. Gli occhi scuri di Archie, notò Grace, erano straordinariamente espressivi, non gli aveva mai visti così, come una diga pronta a rompere gli argini, lasciando dilagare migliaia di litri d'acqua che, placidamente, avevano seguito il loro corso fino a quel momento.

La fenice spezzataWhere stories live. Discover now