Nuvole

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Tornati a casa da quella serata non ero più uscito. Avevo promesso ai ragazzi che ci saremmo visti, ma ogni volta venivo bloccato dai sensi di colpa nei confronti del mio ragazzo, dalle sue domande e dalle sue richieste. Mi si attanagliava la gola ogni volta che, prima di mettere piede fuori di casa, mi diceva: “Torna pure da Tancredi, tanto quello sai fare”. Allora chiudevo la porta e  inventavo qualche scusa che motivasse la mia assenza. 

Sapevo che Gian e Tancredi non sarebbero rimasti a lungo a Roma, ma mi bloccavo. Mi bloccavo perchè sapevo che sarebbe scoppiata una lite e non mi andava. Non toccavo nemmeno più il telefono per il timore che lui potesse scattarmi contro. 

Il problema? Sapevo di essere io. Sapevo di star sbagliando, di ferirlo con quelle mie richieste e di infastidirlo con quella mia ansia che sembrava essere tornata. Mi opprimeva e spesso non ero in grado di vivere la mia vita, spendendo intere giornate a letto e alzandomi solo per andare da lui quando rientrava da lavoro.

Lui non la capiva quella cosa, mi diceva sempre che i miei problemi, contro cui avevo lottato a lungo, fossero solo cose che mi erano state inculcate, motivo per cui avevo smesso di prendere quelle poche pastiglie che mi avevano sempre aiutato. All’inizio andava bene, ero comunque sereno e mi ero convinto che avesse ragione, ma in quel momento mi sembrava di avere nuovamente una nuvola grigia sopra alla testa. Avevo lui, però, e questo mi bastava. 

In quel momento ero ancora nel mio letto. Stavo guardando un po’ i social, nella speranza di trovare qualcosa di interessante. Vidi una storia dei ragazzi, tutti e tre assieme con una fan e mi prese la nostalgia: dovevo esserci anche io lì con loro.

Chiusi Instagram e decisi che avrei detto a Davide che quella sera sarei andato da mia madre. Sapevo che non mi avrebbe detto di no e che non si sarebbe fatto troppe domande.  Avviai la chiamata e sperai che mi rispondesse, nonostante il lavoro.

Dopo qualche squillo rispose.

D: “Amore dimmi, tutto okay? Successo qualcosa?”

L: “No tutto okay, volevo solo dirti che stasera vado da mamma. Mi ha chiesto di passare e sai che non posso dirle di no”

D: “Mi stai mentendo, vero? Vai con loro”

L: “Te lo giuro no,ho solo bisogno di vedere un po’ mia mamma”

D: “Sei sempre il solito mammone, comunque va bene, fai bene ad andare un po’ da lei.”

L: “Grazie, ora ti lascio lavorare”

D: “A domani amore”

Chiusi la chiamata con il fiato corto. In realtà volevo vedere i ragazzi, ma gli avrei chiesto di venire da me. Non mi andava di uscire, ma ormai si era capito. Era come se la mia vitalità si stesse affievolendo di nuovo e lentamente, costringendomi costantemente alle lenzuola.

A: Q4

Ehi, stase da mamma per le 21, non aggiungo altro. A dopo.

Vi amo.

Aspettai che tutti e tre leggessero il messaggio per poi eliminarlo velocemente avendo paura delle conseguenze che quel “vi amo” avrebbe potuto avere. 

Me ne uscii da casa sua e, il tragitto per tornare da me, mi sembrò eterno: quelle cazzo di fermate non finivano mai. Quando arrivai, mi fiondai dentro, parlai un pochetto con mamma, per poi ritirarmi in camera mia. Quella strada mi aveva stancato  da morire e, come un bambino, mi addormentai non appena toccato il letto.

Ogni cosa mi stancava da morire, anche solo un breve tratto come quello, ma ormai mi ero abituato. Se non fossi stato certo di stare bene, avrei collegato quei sintomi a ciò che avevo già vissuto, ma non era così. Io non ero depresso, era solo stata la gente a convincermi che lo fossi.

Futuro per i Tankele//Part ThreeWhere stories live. Discover now