Mi allontano dalla sedia per guardali meglio, e lascio scendere le braccia lungo i fianchi, le labbra dischiuse e un'espressione priva di emozioni. Ho aspettato così tanto questo momento che adesso che è arrivato non so neppure come reagire o cosa dire. Così rimango in silenzio, mentre vedo Cornelius trascinare con estrema facilità il ragazzo di fronte al suo patibolo personale e gettarlo come se fosse composto di sole piume sopra la seduta di legno.

«Legalo, Russell. Anche se sono convinto che non servirà affatto, stavolta. È stordito dal Loto, ma meglio non rischiare.» Cornelius si volta verso di me e si avvicina per abbracciarmi. «Abby, figlia mia... Finalmente ci siamo. Ho aspettato questo momento quasi quanto quello di averti incontrata dopo anni di ricerche. Sei felice di metterti finalmente alla prova?»

Faccio cenno di sì con la testa due volte e mi allontano con educazione dal suo tocco freddo e impersonale. Sono diventata fredda e impersonale anche io, e quel genere di contatto così spassionato mi crea soltanto una strana forma di repellenza.

Il ragazzo accasciato sulla sedia geme piano mentre Russell finisce di bloccargli i polsi con le catene, e ciancica delle parole incomprensibili. Chissà se sta percependo cosa sta per accadergli.

«Chi è lui?»

«Devi considerare la persona che hai davanti come un regalo speciale, Abby. Non è stato per niente facile trovarne una con le caratteristiche compatibili con quelle che stavo cercando, ma alla fine i Sottomessi che ho mandato per la città hanno fatto un lavoro encomiabile.»

«Così mette curiosità anche a me, signore», commenta Russell, sfregandosi i palmi delle mani tra loro.

Cornelius guarda di nuovo me, stavolta così intensamente da farmi quasi indietreggiare. «Sai già cosa dovrai fare, vero?»

«Sì.»

«Togli il sacco dalla testa del nostro ospite, Russell.»

Russell annuisce e si sfrega le mani con estrema eccitazione. Si avvicina al ragazzo accasciato sulla sedia e gli si piazza davanti, con le gambe appena un po' divaricate e la schiena ben eretta. Poi con una mano gli sfila velocemente il sacco dalla testa, gettandolo con poca attenzione ai suoi piedi. La stoffa ruvida atterra sulle mattonelle e provoca un fruscio che risuona nella stanza priva di rumori.

Io faccio due passi avanti per vedere meglio e a ogni piccolo spostamento che compio, sento il respiro farsi più opprimente, come se quel ragazzo prosciugasse tutte le riserve di ossigeno disponibili.

Mentre mi avvicino, Russell inizia a pungolare il braccio e il volto del povero malcapitato, assestandogli delle pacche leggere. «Ehi, amico, è ora di svegliarsi.»

Non appena arrivo di fronte al misterioso ragazzo, realizzo al contempo due cose: la prima è che quasi completamente privo di sensi, se non fosse per le sopracciglia che ogni tanto prova ad aggrottare.

La seconda è che è la copia pressoché identica di Jared Evans.

D'istinto faccio un passo indietro e mi porto una mano sulla bocca, come a volerla tappare prima di far uscire un urlo, o forse anche solo l'aria bloccata nel petto.

Non può essere lui. Non proprio lui.

Una fitta alla testa mi fa stringere i denti nello stesso momento in cui penso a Jared – il vero Jared – e provo in tutti i modi a cancellare i piccolo flash di immagini che tentano di invadere la mia testa. Li scaccio, gettandoli fuori, chiudendo loro ogni accesso a quella che me che ormai, di lui, non ne vuole più sapere niente.

Gemo piano, a bassa voce, per non farmi sentire da mio padre. Chissà cosa penserebbe se sapesse che l'effetto che mi fa il pensiero di Jared è ancora questo... Dopo tutto questo tempo.

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