Incontro

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Incontro.

Stavano diventando prevedibili. Mi davano la caccia, per l'ennesima volta. Non solo avevo violato il coprifuoco, ma avevo anche disertato la convocazione per la seconda volta. Non volevo conoscere nessuna ragazza, non mi interessava, a dirla tutta volevo solo farmi ammazzare e portarne parecchi con me per farla finita. Che senso aveva una vita del genere?

Ethan continuava a dirmi di essere cauto - di trovarlo io un senso - come aveva fatto lui, ma ormai ogni secondo della mia vita era intollerabile. Desideravo ucciderli tutti e non riuscivo a spiegarmi del tutto il perché. Cosa volevo? E soprattutto perché lo volevo? Come potevo desiderare qualcosa che non avrei saputo descrivere?

Domanda ancora più fondamentale: perché ero ancora vivo? No che non aveva senso.

Imboccai il Golden Gate a una velocità pericolosa, ma 153 procedeva assecondando il mio desiderio di autodistruzione, anzi sembrava accelerare ulteriormente senza alcun comando. Mi promisi di controllare il suo processore, se ne fossi uscito vivo.

Chiusi gli occhi e lasciai che una strana sensazione di benessere mi calamitasse, liberai la mente e la moto proseguì la sua folle corsa, verso cosa? Il mio mezzo sembrava avere le idee piuttosto chiare su dove fossimo diretti - lasciai fare - tanto aveva poca importanza.

Sentii che i guardiani alle nostre spalle perdevano terreno e sorrisi riaprendo gli occhi. Così andava decisamente meglio.

La percepii ancor prima di vederla con i miei occhi. Una figura solitaria, ferma in mezzo al ponte. I miei sensi si misero all'erta: metro e sessantacinque, cinquantatré chili circa, capelli castani. Perché non indossava le scarpe? Qual era la funzione del suo particolare abbigliamento?

Minaccia.

Non poteva essere che una loro trappola. Strinsi gli occhi e spronai 153. Dunque avevano trovato una nuova arma da scagliarmi contro. Mi chiedevo quale fosse la sua abilità, ma tanto sarebbe durata poco. Sorrisi malvagiamente, l'avrei asfaltata.

O per lo meno era ciò che avrei voluto fare, perché 153 la pensò diversamente. Giunto a pochi metri da lei scartò di lato contravvenendo a ogni mio ordine.

Non mi sarei fatto fregare da uno stupido guasto. Saltai dalla moto prima che si fermasse e ruotai per riuscire a lanciarmi con sufficiente forza verso l'essere. Nel contempo mi ricoprii di pelle, non avevo idea se il suo strano completo a righe bianco e azzurro potesse essere un qualche tipo di armamento tattico, non mi avrebbe colto alla sprovvista.

Quanto mi sbagliavo. La ragazza spalancò gli occhi e crollò sulle ginocchia. Non avevo mai visto un'espressione così comicamente terrorizzata. Eppure mi appariva incredibilmente... bella. Strana scelta di parole- pensai tra me- la bellezza era un qualcosa di astratto e quindi poco rilevante. Puntavano sul confondermi? Poco senso, dunque variabile da ignorare. Attaccare per primi.

Occhi verdi. Familiari. No, non la conoscevo. Allora perché mi sembrava di sì...

Domande superflue. Variabile da ignorare, ancora. Il mio salto giunse a conclusione e nel momento in cui le mie dita sfiorarono il tessuto incredibilmente leggero dei suoi abiti, fummo entrambi catapultati via in un turbine di luce accecante... e mi ritrovai su una spiaggia.

Baker beach. La possibilità che mi trovassi lì in seguito a un qualsiasi fenomeno spiegabile dalle regole della fisica erano pari a zero. Rimasi immobile per una frazione di secondo, dopodiché ruotai su me stesso, cercando di percepire la minaccia. Il mio istinto mi diceva che non c'era pericolo, ed era l'ennesima maledetta cosa che non aveva senso; e quando troppe cose non hanno senso vuol dire che c'è qualcosa che ancora non capisco, ma che esiste e necessita una decodifica.

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