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Alexandra

Mi domando se è giusto il desiderio che provo di scomparire per sempre o se è sbagliato perché significa che sto ricadendo di nuovo nella mia fossa, che avevo chiuso con della terra qualche mese fa. Sono scossa da brividi forti in tutto il corpo che mi costringono a rimanere qui seduta per terra con le ginocchia al petto. Guardo un punto fisso della camera senza mai distogliere gli occhi: magari mi farà dimenticare di essere qui in questo posto, di essere circondata da cose brutte che sono come coltelli affilati.

Forse me lo merito. Forse mi merito di essere portata sotto un albero ed essere violentata senza ritegno. Forse mi merito di subire quello che è successo perché non sono niente in fondo. Sono solo una stupida che viene trattata dalle persone come fossi un oggetto. Un oggetto per soddisfare i propri bisogni e i propri piaceri. Mi sento usata.

Questo è quello che penso nella mia mente da ormai quattro giorni. A lezione, a mensa, in caffetteria e a casa. Penso solo a quanto io sia inutile. Forse è per questo che mi taglio sul dito mentre cerco di tagliare i pomodori. «Ahia» faccio una smorfia di dolore interrotta dal suono del campanello. Metto la mano sotto il getto dell'acqua, sanguina molto essendo un taglio profondo.

Controllo l'orario per capire chi possa suonare alle dieci e mezzo di sera. Impossibile che siano i miei genitori. Sono invitati da colleghi per una cena a Portland, e si fermeranno per la notte. Aspetto un po' nella speranza che chiunque suoni se ne vada, ma insiste e dopo cinque minuti è ancora qui. Alzo gli occhi al cielo e sistemo della carta intorno al dito per evitare che sanguini ancora. Mi faccio coraggio andando ad aprire e dopo la ventesima volta che suonano al citofono, iniziano a bussare alla porta. La apro e la richiudo subito dopo aver visto il suo viso, ma lui è troppo veloce e incastra un piede prima che si possa chiudere. La riapre giusto lo spazio per riuscire a passare ed entra in casa. Guardo il moro poggiato sulla porta senza nessuna emozione. E ora che vuole? «Vuoi rimanere lì a fissarmi o cosa?» lo incalzo incrociando le braccia al petto. «Vedo che sei sempre perfida eh?» «E io vedo che tu sei sempre stronzo» ribatto. «Alexandra» mi richiama. Quel suo modo di dire il mio nome mi fa crescere qualcosa nello stomaco. Non so che mi prende, ma so che lui sta aspettando una mia risposta mentre si prende sempre più gioco di me. «Si può sapere cosa vuoi?» «Voglio scusarmi.» «Non voglio le tue cazzo di scuse e ora se te ne vai mi fai un grande favore.» «Cazzo ma lo vedi come fai? Sono venuto per scusarmi ma tu non mi lasci parlare» alza le mani al cielo e di colpo faccio un passo indietro impaurita. «Sei così testarda» sbuffa e inizia a camminare avanti e indietro nella stanza.

«Non vorrai darmi la colpa. Dopo quello che mi hai detto è il minimo che non ti voglia parlare cazzo. Sono cosi testarda che merito di essere usata dalle persone vero?» grido per la rabbia.

Si blocca come per pensare alle mie parole facendo un passo avanti verso di me. Noto i suoi bei occhi scuri, di un marrone profondo, ma questa sera lo sono ancora di più. La mascella serrata, i capelli un po' scompigliati, i muscoli in risalto sotto la felpa abbastanza attillata. «Non avrei dovuto dire quelle cose e me ne sono reso subito conto. Mi dispiace» abbassa il tono di voce.  «Non mi importa» sbotto senza un filo di emozione, per fargli capire che non voglio proseguire la conversazione. Voglio solo che vada via ma allo stesso tempo vorrei che rimanesse perché so che farei qualche cazzata rimanendo sola in casa. Questa non è serata e i pensieri persistenti mi porteranno a non riflettere su ciò che faccio. «Si che importa. Non avrei dovuto parlare così senza riflettere su quello che mi usciva dalla bocca. Ma tu mi fai arrabbiare.» «Va bene, se ti fa stare meglio accetto le tue scuse. Ora puoi anche andare» gli indico la porta. «Hai pianto?» si avvicina a me come per toccarmi ma scatto indietro come una molla. «Non toccarmi» dico. Riporta la mano lungo il fianco e mi guarda dispiaciuto. «Hai paura di me?» mi chiede. Lo guardo in volto e per un attimo incrocio il suo sguardo. Nei suoi occhi non vedo cattiveria, ma solo un po' di paura, forse nel pensare che io abbia timore di lui. «Non ho paura di te» rispondo. «Non devi, so di non starti simpatico ma il sentimento è reciproco» si avvicina ancora, posa la mano sulla mia guancia, passando il pollice sotto i miei occhi. Gli chiudo per quel gesto inaspettato e per il contatto della mia guancia calda con la sua mano fredda. Cerco di calmarmi ma proprio non posso non pensare a quella notte. Mi sposto di lato e abbasso lo sguardo per un po'. Ritira la mano in fretta e mi squadra attentamente. Nel salotto illuminato solo da una piccola luce, la cosa che meglio vedo sono i suoi occhi.

Resta qui un secondoWhere stories live. Discover now