Capitolo 4

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Il palazzo dove avrei fatto il colloquio di lavoro era quantomeno curioso. Sembrava un prefabbricato degli anni ottanta, immerso nel traffico cittadino tra le mura Aureliane e un bellissimo quartiere dai grandi palazzi stuccati. L'ingresso era modesto. Da un lato c'era una portineria con dei tornelli che impedivano l'accesso diretto agli uffici. I toni del blu e del rosso davano un tocco di colore agli arredi e ai poster appesi alle pareti. Una musica allegra faceva da sottofondo al chiacchiericcio di numerosi gruppi di persone che sostavano nello spiazzo esterno o nell'androne prima dei tornelli. Un via vai di profumi e persone entravano e uscivano dalle porte scorrevoli e io, un po' spaesata, rimasi per un attimo a guardare accanto all'ingresso. Una hostess mi venne incontro.

"Posso aiutarla?"

"Sono qui per un colloquio di lavoro"

"Bene, è nel posto giusto! Mi segua, la accompagno al piano delle Risorse Umane."

Prima di salire in ascensore, la donna fece un cenno e un gruppetto di ragazzi si avvicinò per ascoltare le sue istruzioni.

Per la prima volta avrei fatto un colloquio attinente ai miei studi. Ero veramente carica! Non potevo assolutamente perdere quell'occasione se non volevo finire a fare la perpetua(2) a zio Antonio o, peggio ancora, la badante a tutte le vecchiette del mio paesino di campagna. No, sarei stata assunta e chissà se avrei sentito la nostalgia del profumo degli agrumi in primavera o se avrei rimpianto il periodo della vendemmia, i piedi sporchi e l'odore del mosto. Ma non avevo studiato ingegneria per fare la contadina. No, avevo dei sogni e se fossi stata attenta, grazie al mio impegno, avrei trovato un lavoro dignitoso. Quello era il mio unico scopo o almeno era quello che mi dicevo.

"Nervosa?"

L'hostess sorrise e un riga di sudore mi scivolò lungo la schiena.

"Oh, sì, parecchio!"

Quando l'ascensore si aprì ci trovammo davanti ad una grande sala con delle sedie di legno, le pareti di vetro e numerose luci artificiali nascoste tra i pannelli del soffitto. Quella stanza era tutto ciò che mi separava dal mio destino. Peccato per l'attesa che sembrava prospettarsi.

"Ci sarà da attendere un po'..." mi disse l'hostess, abbozzando sorriso.

"Aspetterò..."

Poi, notai una sedia vuota e con un salto mi lanciai per afferrarla. Un brusio non troppo contenuto e un denso odore umano si sollevò tutto intorno. Gli ascensori salivano e scendevano. Profumi e parole si accalcavano, occupando ogni spazio. Un po' annoiata adocchiai una macchinetta di vivande, pensando di prendere da bere.

"Mi terresti la sedia?" domandai al ragazzo seduto accanto e lui, sventolandosi con un foglio, mi rispose:

"Per li pescetti, se te la tengo!"

Dopo due ore avevo individuato la stanza dove avvenivano i colloqui e la donna, che di tanto in tanto si affacciava per chiamare le persone, non mi sembrò poi così cattiva come inizialmente avevano detto i primi intervistati. Aveva i ricci scuri, il naso aquilino, un tailleur beige e delle bellissime decoltè tacco dodici. E la voce non era così stridula come diceva il ragazzo di colore che continuava a sudare nella sedia accanto.

Un'altra mezza minerale e, dopo tre ore, l'odore e la calca superavano la mia sopportazione.

"Tu in che cosa sei laureata?" Mi chiese il ragazzo di colore, asciugandosi la fronte.

"Ingegneria, e tu?"

"Sei fortunata, perché stanno cercando dei tecnici."

Sollevai un sopracciglio, ingoiai un altro sorso d'acqua, e gli sorrisi.

ClementinaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora