I - FUCINA DI GOTHAR

66 8 5
                                    

Esisteva un momento in cui Erwan pensava che il fuoco potesse fondersi con il metallo che lui stesso, poco prima, aveva spinto verso l'abbraccio delle fiamme vive, custodite oltre la soglia di pietra della forgia di Gothar.

Lo pensava tutte le volte in cui il calore riusciva a tingere l'acciaio di un arancione pallido e rovente, nella morsa delle tenaglie tiepide in cui lo costringeva.
Quel giorno, colto dall'ispirazione, le manteneva ferme sotto la stretta delle proprie dita macchiate di fuliggine, osservandole con un'espressione corrucciata a causa del sudore che gli inumidiva la fronte – e sì, anche per l'evidente concentrazione.

Gli piaceva quel lavoro.
Nonostante questo, Tordek aveva dovuto rassicurarlo sin dai primi giorni sul fatto che la fucina avrebbe dato lui "le giuste soddisfazioni, la giusta grana e le giuste rosse", perché inizialmente Erwan non si sentiva affatto sicuro di aver scelto la strada più adatta a sé.

Erano però incoraggiamenti che non definiva propriamente confortanti, perché gli facevano temere che quelle stesse parole potessero perdere, nel tempo, la loro attendibilità: si sentiva giustificato a pensarlo, dato che venivano pronunciate da colui che era il suo mentore, un nano che portava sulle proprie spalle oltre centocinquant'anni d'esperienza e vita.

Fortunatamente Tordek ebbe ragione, anche se poi le "giuste rosse" di cui parlava sempre si dimostrarono essere "birre" e non "donne": c'era da dire che però, anche queste ultime, a Erwan non mancavano.

Vicino alla soglia dei trent'anni, Erwan era infatti il classico uomo per cui le adolescenti perdevano spesso la testa: non gli era affatto difficile conquistare le lenzuola di ragazze della sua età, ma spesso era consapevole del fatto che molte di loro erano invece in cerca del vero amore e altre stronzate simili che probabilmente leggevano su qualche romanzo, pensava. Per non parlare del fatto che avevano già superato abbondantemente l'età da marito.
La sua filosofia era molto comune ad altri suoi coetanei, e non si sentiva per nulla in colpa nel voler semplicemente soddisfare qualche impulso sessuale: lo rendeva chiaro fin dall'inizio però, questo sì, e certamente era anche il motivo per il quale non si faceva affliggere da nessun ripensamento.

Erwan, poi, non aveva né l'aspetto dei cavalieri bellocci dai capelli biondi e occhi azzurri – che solitamente andavano in giro a donare rose alle fanciulle – né quello cupo dei ragazzi misteriosi su cui le dame di corte erano solite a costruire chissà quali fantasticherie. Lui era semplice e complicato al tempo stesso: limpido per certi versi, un libro chiuso per altri.
Di lui, dicevano, piaceva soprattutto il sorriso; era infatti la classica persona che decideva di non farlo mai mancare durante una conversazione, ma riusciva a far avvertire agli altri che non era solo per un atto di cortesia o per mero gesto di galateo.
Erwan sorrideva davvero.

Alto poco più del metro e ottanta, aveva le spalle forti e il fisico plasmato dalle ore trascorse vicino la forgia, con i capelli corti e castani come la barba – tenuta costantemente vecchia di tre o quattro giorni per un'affatto insolita pigrizia – e le mani tipiche dei lavoratori.
Eppure, non era stato facile per Erwan accedere a una cultura tipica di altre razze e altri popoli. In verità, non lo era quasi mai per gli umani in generale. Lui, però, era arrivato a sfiorare i più nobili risultati della forgiatura, finendo anche per ricevere notevoli riconoscimenti famosi in tutto il mondo.

Certo, non è come quei posti che possono permettersi i ricconi, rimuginò fra sé e sé il primo giorno che entrò nella fucina di Gothar.
In effetti, la fucina non vantava la stessa cura delle costruzioni nel quartiere nobile, ma non era nemmeno il retro di una semplice bottega da quattro soldi.
Sorgeva a ovest della cittadella, nella zona periferica e commerciale che, contrariamente agli altri edifici, si levava dalla parte più alta della roccaforte. Addossata direttamente alle pendici delle montagne Rinai, era accessibile solamente grazie all'ampia scalinata percorribile dal lato est, e raccoglieva fra le sue mura di cinta anche un ampio giardino; quest'ultimo si mischiava, più a nord, con parte della boscaglia che si estendeva per parecchi ettari, rendendo i sentieri poco percorribili a causa dei numerosi precipizi.
È da quelle parti che il mulino – motore principale del maglio idraulico – si tuffava nelle acque del piccolo fiume: sfruttava le correnti che, a loro volta, venivano spinte e create dalle cascate a nord-ovest, dimostrandosi anche fonti d'acqua potabile non lontane dalla sorgente principale.

Atalaxia - Le origini del maleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora