Capitolo 9. Vendetta.

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Cooper.


Stronzo. Quel cazzo di Archibald del cavolo era un fottuto presuntuoso, come non aveva fatto ad accorgersene prima? Cooper non seppe darsi una risposta. Prima, quando al comando di quel giornale c'era Catherine Sparks, pareva proprio uno di loro e non il maledettissimo nipote del capo.

Come redattore sportivo, era spesso fuori sede a seguire le partite o le vicende legate alla scarsa manutenzione degli impianti. Ma, quando c'era, dimostrava di essere sulla loro stessa lunghezza d'onda: rideva, scherzava, parlava di donne. Certo, più che altro, lo faceva con lui, Brendon e Noah, considerando il silenzio assordante di Christine, la tediosità di Clemence e il fantasma che occupava quasi sempre le sedie di Taylor e Scott.

Quello che Cooper proprio non capiva era se avesse finto per tutto quel tempo o se, questa cosa della promozione, lo stesse davvero mettendo sotto pressione.

Sapeva che, come lui aveva dovuto rinunciare a una vera e propria carriera musicale, Archie aveva "ripiegato" sul giornalismo sportivo quasi per la medesima ragione.

Mancanza di talento. O, meglio, mancanza di un talento straordinario. Testardi e orgogliosi come erano, da loro stessi non avrebbero accettato niente di meno che il massimo, una carriera stellare nell'ambito che più amavano, che li faceva vibrare dentro come nessun'altra cosa al mondo.

La scrittura, almeno per lui, era stata una diretta conseguenza di quella consapevolezza: non poteva vivere facendo musica, non poteva vivere senza musica.

Prima ancora di pensare a una carriera vera e propria nella critica musicale, da ragazzino, aveva cominciato a girare per i vari locali della Carolina, a volte spingendosi anche molto lontano da casa, per seguire quelle che, secondo il suo fiuto, erano band o voci promettenti.

Poi aveva creato uno spazio online tutto suo e, piano piano, aveva iniziato a trovare il coraggio per fare i vari podcast e caricarli sul sito. Era cresciuto così lui: zero tecnica, ma tanta esperienza sul campo.

Non si era neppure laureato in giornalismo (anche se, per un periodo, aveva lavorato all'High Point University, dove aveva conosciuto Owen e respirato quel tipo di atmosfera studentesca), lui quel mestiere l'aveva imparato provando e sbagliando talvolta, fidandosi del suo istinto e, qualche volta, di quella rara fortuna che bacia i principianti.

Quando aveva esordito, proprio al Magazine, sia il vecchio Evans che la Sparks, lo avevano definito "interessante." Aveva iniziato lì e, da quattro anni a quella parte, non aveva mai pensato di andarsene.

Gli era parso di avere tutto. Ragazze come se piovesse. Il lavoro che amava. La musica. E gli amici, tra cui, prima di quella che gli pareva una meschina messinscena atta solo a umiliarlo, annoverava anche Archie.

Adesso non lo sapeva più, se quello fosse il posto giusto per lui. Improvvisamente, quella redazione gli apparve come una gabbia, dorata certo, ma pur sempre una gabbia.

Negli anni, aveva accantonato il sogno di scrivere su riviste conosciute e vendute a livello nazionale. Ora si chiese se la sua pigrizia non l'avrebbe pagata cara, con Archie pronto a fare il dittatore.

L'unica cosa che parve consolarlo, fu il conforto, seppur nascosto dietro a un piccolo gesto, che gli arrivò da quella nuova collega. Grace, infatti, subito dopo quella conversazione, con passo felpato, si era procurata per lui un mocaccino consolatorio, che, pur con il suo solito sapore di macchinetta e bruciato, a lui parve un'oasi nel deserto.

Quando, poi, quasi inconsapevolmente, lei gli aveva poggiato una mano sulla spalla destra, parve riprendersi e tornare in sé. Era pur sempre Cooper Dwight Jones, gli avrebbe detto suo padre.

Raddrizzò la schiena e si concentrò sugli occhi scuri della sua compagna di scrivania. La sera precedente era stata fantastica per lui, ma quando l'aveva riaccompagnata a casa non aveva avuto il coraggio di baciarla.

Avrebbe voluto farlo? Certo. Ma aveva percepito che non era il momento giusto, che c'era qualcosa di sbagliato nel farlo lì, mentre lei gli restituiva il casco, o, mentre lo ringraziava per la bella serata.

Non sapeva spiegarselo razionalmente, ma miss Brown, a differenza delle altre, gli piaceva davvero. Aveva temuto che, presto o tardi, sarebbe caduta nella rete di Archie, bello e tenebroso com'era, ma lei non pareva interessata al tipo, si era detto, e poi, lui, ormai lo sapevano tutti, si faceva la segretaria.

La guardò di nuovo, ma stavolta più in basso, concentrandosi sulle sue labbra, piccole e carnose. Avrebbe voluto baciarla, proprio lì, davanti a quei colleghi apparentemente distratti, invece, le chiese: «Hai impegni per questa sera?»

Perché, lo sapeva, non c'è miglior vendetta che la felicità.

La fenice spezzataDove le storie prendono vita. Scoprilo ora