Capitolo 8

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La pioggia cadeva prepotentemente sul terreno, crepitando sul vetro delle finestre e sulle tegole dei tetti delle abitazioni di Myrtle Point. Talvolta, alcuni lampi squarciavano il cielo, mentre dei rumorosi tuoni rimbombavano in tutta la città. Il meteo non era clemente, ma era perfetto rispetto all'umore di Jackson. L'uomo si era svegliato da poco, ma sin da subito sapeva che quella sarebbe stata una giornata pessima. Come aveva aperto gli occhi, spegnendo la sveglia, aveva osservato lo schermo ed era tornato sotto le coperte. Era tutta la settimana che pensava a quel giorno, sapeva che sarebbe stata dura, ma non immaginava così tanto. Il suo corpo non aveva la forza di alzarsi dal letto e il suo cuore era talmente pesante e doloroso da fargli venire voglia di aprirsi in due il petto per estrarlo. Sì, perché il due aprile non era una giornata normale. Sentì bussare alla porta della stanza, così fece un verso non ben definito e questa si aprì.
«Buongiorno. Oggi il tempo è terribile, non è che potresti portarmi a scuola in auto?» domandò Thomas, sorridendogli. Jackson lo guardò negli occhi e si sentì mancare.
«Oggi non... non è giornata» gli rispose a fatica. «Se vuoi, puoi non andare a scuola.»
«Va tutto bene?» si sincerò il più giovane, non capendo quale fosse il problema. Jackson scosse il capo.
«È una cosa stupida» tagliò corto il più grande, cercando di alzarsi dal letto. Thomas gli strinse una spalla e lo guardò ancora negli occhi.
«Non mi sembra che lo sia» fece notare, riferendosi all'atteggiamento negativo dell'altro. Jackson sorrise amaramente, riuscendo a mettersi in piedi.
«Oggi è il due aprile» disse, superandolo e uscendo dalla stanza. Forse con un caffè sarebbe stato meglio, così si recò in cucina per prepararselo. In stanza, invece, Thomas rimase immobile qualche secondo. Non capiva cosa succedesse il due aprile, non si ricordava che valenza potesse avere quella data, poi spalancò gli occhi e imprecò a bassa voce, correndo dietro a Jackson.
«Cazzo, non mi ricordavo nemmeno. Cioè, volevo dire che mi era passato di mente. Sai, non festeggiavamo spesso in famiglia il compleanno di Sam» rispose, incerto sul da farsi. Doveva consolarlo, stare con lui e parlargli d'altro, o andarsene e lasciarlo solo? Lo conosceva troppo poco per poter dire quale fosse la cosa migliore, e non poteva certo chiederglielo.
«Questo giorno era tutto» specificò poi Jackson, guardando il soffitto. I ricordi gli invadevano la mente, togliendogli quasi il respiro da quanto prepotentemente arrivavano agli occhi dell'uomo. «Sai, quando abbiamo deciso di sposarci, è stata una cerimonia intima. Non volevamo le famiglie, non volevamo nessuno. Era solo... una cosa nostra. Volevamo solo firmare un pezzo di carta e dichiararci a vicenda quanto fossimo importanti l'uno per l'altro.»
«È bellissimo. Cioè, penso che siate stati veramente una bella coppia» cercò di rincuorarlo il giovane. Jackson annuì, sorridendo.
«Quando ci siamo informati per il matrimonio, ci è stato detto che non c'era posto. Pensa, per fare una banale firma abbiamo dovuto aspettare tre mesi. La prima data disponibile era il ventinove marzo, così abbiamo deciso di fare una pazzia: sposarci il due aprile, il giorno del compleanno di Sam. Così avremmo festeggiato due cose in una» terminò di raccontare Jackson. Thomas spalancò gli occhi e versò il caffè in due tazze.
«Non lo sapevo. In realtà è una cosa intelligente: meno costi per le due feste e per te regalo unico da dover fare. E poi, vuoi mettere quanto è bello scambiarsi reciprocamente gli auguri?» commentò quindi il più giovane.
«Ma non voglio annoiarti con queste storie. Sembrerò ridicolo ai tuoi occhi» suppose Jackson.
«Assolutamente no. So che oggi è una giornata complicata, ma devi cercare di farti forza. Non solo perché Sam non vorrebbe che tu stessi così, ma anche e soprattutto perché devi pensare a quanto sei stato fortunato ad averlo amato, ad essere stato con lui e aver condiviso un sentimento così forte che molte persone nella loro vita non provano mai» tentò di spiegargli quindi Thomas. Jackson annuì. Aveva ragione, e lui lo sapeva. Il problema era che il suo cuore non voleva capirlo.
«Hai ragione. Se vuoi ti porto a scuola, ma puoi anche rimanere a casa oggi se preferisci» ripeté poi. Thomas sorrise.
«Beh, perché andare a scuola quando si può evitare di farlo?» rispose, dandogli una pacca sulla spalla e sedendosi sul divano. Jackson scosse il capo, sorridendo, quindi bevve il caffè tutto d'un sorso e lo guardò.
«Io starò un po' per conto mio, se non ti dispiace» lo informò, entrando in stanza e chiudendosi la porta alle spalle. Thomas era molto preoccupato. Vedeva Jackson che non riusciva a superare quanto era accaduto a Sam diversi mesi prima, e non sapeva come poterlo aiutare. Jackson aveva fatto tanto per Thomas, in più di un'occasione, e lui avrebbe voluto ricambiare, ma non era semplice. Doveva superare il lutto andando avanti, conoscendo altre persone, archiviando il passato in un cassetto della sua memoria da aprire quando necessario, non viverlo giornalmente, sentendo la mancanza del marito. In quel modo si sarebbe autodistrutto ben presto, senza che Thomas potesse aiutarlo. Il ragazzo decise che avrebbe fatto il possibile per fargli voltare pagina, quindi il primo passo era fargli conoscere qualcuno con cui uscire. Passò le due ore successive a guardare la televisione, domandandosi come stesse Jackson e se potesse o meno disturbarlo. Non sentiva rumori provenienti dalla sua stanza, quindi era parzialmente preoccupato, ma voleva lasciargli la privacy che aveva chiesto. Era circa mezzogiorno quando qualcuno suonò il campanello della porta di casa. Thomas si alzò dal divano, guardandosi allo specchio. Non era molto ben presentabile: indossava un vecchio pantalone di tuta dell'Adidas e una maglietta anonima grigia, inoltre aveva i capelli scompigliati e delle occhiaie marcate, che rovinavano il grigio delle sue pupille distogliendone l'attenzione. Sospirò e aprì la porta, sorridendo all'uomo che gli si parò di fronte.
«Ciao. Io... scusa, credo di aver sbagliato appartamento. Eppure, avevo capito fosse questo, la gentile signora Sardle mi aveva segnalato questo interno» disse il nuovo arrivato. Thomas lo squadrò da testa a piedi: era notevolmente alto e decisamente ben piazzato. Dimostrava circa una ventina d'anni e indossava un completo militare, con tanto di cappellino mimetico a coprire i capelli castani rasati quasi a zero.
«Io... non saprei, non so chi tu sia» gli rispose Thomas, sempre sorridendogli. L'altro annuì, guardandosi attorno. Posò le sue pupille scure sulla casa alle spalle del più giovane, analizzando l'interno rapidamente.
«Hai ragione. Sto cercando Jackson Hunt, per caso sai a quale interno posso trovarlo?» domandò, chiarendo i suoi intenti. Thomas annuì, scostandosi dall'uscio per lasciarlo passare.
«Esattamente in quella stanza» spiegò, facendolo entrare. L'altro raccolse il borsone che aveva e varcò la soglia di casa, quindi Thomas chiuse la porta alle sue spalle.
«Ah allora era giusto. Cavolo, che maleducato, non mi sono nemmeno presentato: mi chiamo Rudy, piacere» si presentò quindi, tendendo una mano all'altro.
«Piacere mio, Thomas. Posso chiederti come conosci Jackson?» chiese, stringendo la mano al nuovo arrivato. Lui alzò le spalle.
«È mio fratello. Tu sei... il suo ragazzo?» confessò Rudy. Thomas spalancò gli occhi poi scosse il capo, scoppiando a ridere.
«No io... Dio, no! Cioè, ho sedici anni e non... insomma, sono il suo figlio adottivo, potremmo dire così» tentò di chiarire, arrossendo visibilmente. L'altro sorrise, sospirando.
«Caspita menomale, mi ero preoccupato. Anche se dimostri almeno due o tre anni in più, sarebbe stato strano» convenne quindi. Thomas lo guardò bene, notando che non somigliava per nulla a Jackson. Non sapeva nemmeno che avesse un fratello, e quel pensiero gli fece scomparire il sorriso dal volto. Si conoscevano così poco che non sapeva praticamente nulla di lui.
«Io credo che tu possa andare da lui. Oggi è un po' di malumore» lo mise in guardia. Rudy corrugò la fronte, poi sembrò osservare meglio Thomas e spalancò gli occhi.
«Oddio, tu sei il fratellino di Sam?» domandò quindi. L'altro annuì. «Cazzo, come sei cresciuto. Non ti ricordi di me? Credo tu avessi dieci anni quando ci siamo visti.»
«Onestamente no» confessò Thomas, ragionando a fondo sulle sue parole. A quel punto, il vago ricordo del suo volto ad una delle poche feste di compleanno che Sam aveva trascorso a casa gli apparve nella mente.
«Posso?» si assicurò quindi, indicando la porta della stanza di Jackson. Thomas annuì, allontanandosi di qualche passo per lasciare la giusta privacy ai due. Rudy bussò e non ottenne alcuna risposta, quindi abbassò la maniglia ed entrò in camera. Vide subito Jackson disteso a letto e voltato dall'altra parte, quindi si schiarì la gola. «È permesso?»
«Che diavolo...» commentò Jackson, voltandosi repentinamente nell'udire la voce del fratello. Spalancò gli occhi, non credendo a ciò che stava vedendo, quindi saltò in piedi e corse verso di lui, abbracciandolo con tutte le sue forze.
«Ciao, fratellone» gli disse Rudy, ricambiando il gesto. Jackson sentì una lacrima bagnargli la guancia. Rudy era suo fratello, anche se la biologia non era d'accordo. Era la parte migliore della famiglia che l'aveva adottato da piccolo, l'unico con il quale lui avesse mai parlato. Aveva un anno in meno di lui e, appena diciottenne, si era arruolato nei Marines. Da quel momento, l'aveva sempre visto col contagocce.
«Rudy. Dio, sei veramente qui?» chiese, non credendo realmente a quello che stava accadendo. Erano passati due anni dall'ultima volta che l'aveva visto.
«Sì, sono qui Jacky» lo rassicurò, svincolandosi poi dall'abbraccio. Lo guardò negli occhi e sorrise. «Un uccellino mi ha detto che avevi bisogno di un volto famigliare.»
«Paige?» cercò di capire. Lei e Rudy avevano avuto una storia ai tempi delle superiori, prima che lui si arruolasse.
«Certo. Quell'impicciona mette sempre il naso ovunque può. Come stai?» si sincerò il nuovo arrivato. Jackson gli aveva scritto diverse mail, raccontandogli della morte di Sam e di essersi trasferito a Myrtle Point. Rudy aveva provato a ottenere un congedo per il funerale del marito del fratello, ma non era stato possibile.
«Mi manca tantissimo» confessò con un filo di voce Jackson. L'altro annuì, stringendogli una spalla e guardandolo negli occhi. «Oggi è il due aprile.»
«Sì, me ne sono reso conto quando Thomas mi ha detto che eri di malumore. Ha i suoi stessi occhi...» disse poi. Jackson deglutì, guardando a terra.
«Ho paura di non essere abbastanza per lui. Lo guardo e mi ricorda Sam. Cristo, io... non ce la faccio. Non so come andare avanti» rispose. Rudy scosse il capo.
«Sbagli. Il fatto che lui sia molto simile a Sam è positivo, non negativo. Ti impedisce di dimenticarlo, ti assicuri che lui rimanga sempre nel tuo cuore. Però, dimenticare e andare avanti sono due cose ben distinte. La prima è sbagliata, la seconda è necessaria. Come mai hai deciso di prendere in custodia Thomas?» tentò di aiutarlo.
«Aveva bisogno di qualcuno. Non volevo che finisse nel sistema, come me. E non poteva rimanere con quella fascista di sua zia. Era solo e... Sam l'avrebbe fatto. Per chiunque. Lo dovevo a lui, e anche a me stesso» spiegò.
«Ed è stata la scelta giusta. Ora, devi fare un altro passo. Sam non avrebbe voluto questo» gli fece notare.
«Lo so anche io. Però... è facile dirlo da fuori. Cazzo, è facile così. Sam ha avuto la parte più semplice: è morto. Io, invece, sono qui a gestire le conseguenze, e fa fottutamente male. Soprattutto oggi» si sfogò quindi Jackson.
«È proprio oggi che farai il primo passo per andare avanti. Sai come?» domandò Rudy. L'altro sorrise.
«Ti prego, dimmelo» lo invitò. Il militare sospirò, poi indicò la porta.
«Occupandoti di lui. Lui ha bisogno di te, e tu di lui. È una cosa a doppio senso, capisci? Tu ti occupi di lui, così facendo conservi il ricordo di Sam. E, allo stesso modo, vai avanti» chiarì. Jackson scosse il capo.
«Non è la ricetta segreta che mi aspettavo» rispose deluso.
«Non esiste una ricetta segreta, è solo semplicemente questo: ti circondi di persone che ami. E, ora, Thomas fa parte di esse. Perché è un adolescente che fa totalmente affidamento su di te. Ti tieni impegnato, ti occupi di lui. Non ti permetterò di fare come nostro padre. Sarai un genitore, un fratello e un amico. Perché tu hai ancora una vita, hai te stesso, hai i tuoi ricordi, me, Paige e sicuramente avrai altro, conoscerai persone delle quali ti innamorerai proprio come hai fatto con Sam. Lui, invece, ha solo te» gli ricordò Rudy.
«Ma io... come faccio? Cioè, ogni volta che guardo un uomo penso a Sam. Ogni cosa che accade nella mia vita me lo ricorda. Io... non voglio dimenticarlo» protestò Jackson.
«Non lo farai. Te l'ho detto: una cosa è dimenticare, un'altra è andare avanti. Ovunque lui sia, Sam sa che lo ami da morire, e che lo amerai per sempre. Ma, sempre ovunque lui sia, sai benissimo ciò che ti direbbe» sostenne il militare. L'altro sorrise.
«Mi direbbe che la vita è una partita di football, e io ho il ruolo più facile. Prima alzo il culo e corro, prima mi arriverà la palla. Poi, non devo fare altro che portarla oltre la linea e fare touchdown» ricordò quindi. Era una frase che Sam usava spesso, un'analogia che lo contraddistingueva. Per lui, tutto poteva essere trasformato in una partita di football, e lui cercava di fare capire a Jackson che soprattutto la vita lo era. Siamo tutti wide receiver: dobbiamo solo ricevere il pallone e fare touchdown, nulla di più semplice. Ma non possiamo farlo se non iniziamo, prima, a correre senza palla. Quando lo farai, sii sicuro che il miglior quarterback del mondo ti farà un lancio talmente preciso che non dovrai fare altro che afferrare la palla e andare avanti, diceva sempre.
«Allora alza il culo e corri, Jackson Hunt» lo incitò il fratello. Lui lo guardò negli occhi e sentì il cuore alleggerirsi di un masso enorme. Il destino lo stava aiutando: Rudy era lì, proprio in quella data, proprio quando Jackson ne aveva più bisogno in assoluto. Lui l'avrebbe protetto, l'avrebbe aiutato. Così, anche un compito stupido come correre sarebbe stato enormemente più semplice. Quindi, lui promise a sé stesso che avrebbe fatto tutto ciò che era in suo potere per superare la cosa. Si sarebbe occupato di Thomas, avrebbe cercato di voltare pagina conoscendo altre persone, avrebbe accolto i ricordi di Sam con un sorriso, facendo sì che gli scaldassero il cuore anziché appesantirlo. Avrebbe fatto tutto quello per Sam, per Thomas, ma soprattutto per sé stesso, perché Jackson Hunt meritava di essere felice, e solo allora se ne rese conto.

Angolo autore:

Eccoci con un altro capitolo. Come sta procedendo la storia? Vi sta piacendo? Cosa succederà secondo voi al nostro protagonista? Ma, soprattutto, lo volete un altro capitolo questa settimana?

L.D.

Un Nuovo InizioWhere stories live. Discover now