Meet

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Capitolo 7

Meet.

“Ecco fatto, un’ultima firma qui signora Tomlinson, e adesso, può considerare il ragazzo un membro della famiglia a tutti gli effetti”

“Oh, ma già lo facevo!”

Il giovane impiegato che sta dietro la scrivania, rivolge un sorriso bianchissimo a me e a Carol, prima di raggruppare l’infinità di documenti che ci ha fatto firmare, per portarli via con sé fuori dall’ufficio a farli protocollare.

“Oh, santo cielo, credevo che non avremmo più finito!” sbuffa Carol, visibilmente stremata dalla moltitudine di tempo che abbiamo impiegato dentro quest’ufficio. Nonostante la chiara stanchezza che leggo nei suoi occhi, non posso fare  ameno di notare quanto sia estremamente più largo e felice il suo sorriso.

È felice, è davvero felice di avermi preso con sé, e nonostante abbia guardato sia me che Louis con sospetto dopo le nostre due risse, non ha cambiato idea su di me, non mi ha rispedito in quel buco di fogna da cui provengo, lasciandomi a marcire come il peggiore dei rifiuti. Ha mantenuto la promessa che mi ha fatto, il giorno in cui con la voce tremante e gli occhi pieni di lacrime, ho corso fino alla piccola drogheria all’angolo tra la Medison e River, implorando il signor Connor di lasciarmi fare una telefonata.

“Pronto, qui parla Carol Tomlinson, dal centro di assistenza sociale di Sephir, mi dica come posso esserle utile?”

“Pronto? C’è qualcuno in linea?”

“Ca-Carol”

“Harry?”

“Harry, tesoro, sei tu?”

La voce di Carol è visibilmente preoccupata.

Non riesco a parlare, non riesco a respirare e nemmeno a pensare.

*

Ero uscito come tutte le mattine, dirigendomi verso la chiesa all’angolo della traversa numero sette, proprio a fianco dell’autofficina di Ted, il vecchio carrozziere del posto, che mandava avanti la baracca sfruttando l’ingenuità dei turisti che mal capitatamente, si ritrovavano a fermarsi da lui a causa di un guasto al motore, o semplicemente a chiedere informazioni sul posto. In un modo o nell’altro, riusciva sempre a spillargli il doppio, o il triplo dei quattrini che avrebbero pagato per il medesimo servizio offerto dal lui, in maniera nettamente inferiore, in un qualsiasi altro carrozziere dello stato.

Questa mattina, al contrario di tutti i venerdì della settimana, la fila che si estendeva quasi fino al marciapiede, era piena di persone, in attesa come me, di racimolare qualche avanzo di cibo, e magari se si era fortunati, anche qualche indumento della propria taglia.

Solitamente il venerdì, non c’era quasi mai nessuno a piantonare il piccolo giardino della parrocchia, visto che purtroppo a fine settimana, non era insolito vedere il cartello che informava i poveracci come me, che non vi erano più razioni di cibo o indumenti da fornire, appeso fuori dai portoni della chiesa, da padre Teodor.

Evidentemente questa settimana, erano riusciti ad ottenere più offerte, e non potevo che esserne grato.

Non mangiavo dal giorno prima, se per mangiare s’intende una barretta alle noci muffita che avevo trovato a casa di Nick dietro il suo divano letto. Sapeva di muffa ed era davvero stantia, ma almeno aveva placato il senso di vuoto che mi stava divorando lo stomaco. Non era durata molto, comunque, visto che alla fine ero dovuto correre in bagno a vomitare tutto. Quella barretta doveva essere lì dietro da mesi.

SCARSWhere stories live. Discover now