CAPITOLO 12

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"Sta bene, signora?"

Una gentile voce femminile penetrò la nebbia di confusione che avvolgeva Nevaeh, riportandola sulla terra ferma.

"Sì, grazie," rispose alla donna.

Ma dentro di sé stava gridando il contrario.

'No, non sto bene affatto. Aiutatemi, per favore!'

Ma quale aiuto? Doveva arrangiarsi da sola. Non c'era nessun altro che potesse farlo al posto suo.

Posò una mano sul suo ventre piatto. Era spaventata e debole. L'unica cosa che voleva era stare un po' con la prozia Sara e chiederle consiglio. Il solo fatto di pensare a lei l'aiutò a calmare il nervosismo. Sapeva che l'avrebbe capita.

Arrivata a York, Nevaeh toccò la tasca del suo raffinato cappotto di cachemire per controllare che il biglietto del treno per la piccola città in cui viveva la prozia fosse ancora lì.

Aveva sete, per cui comprò una bottiglietta d'acqua. Faceva più freddo rispetto a Londra... o forse il gelo era dentro di lei. Salì sul treno e andò a sedersi. Era sera quando il taxi la lasciò davanti all'entrata della casa di riposo.

Prima di arrivarci, era passata in albergo per depositare la valigia. Si fermò a scambiare qualche parola con la responsabile di turno, spiegandole che era andata a trovare la sua parente.

"Sébastien è terribilmente in ansia per te," furono le parole con cui l'accolse la prozia Sara dopo averla abbracciata. "Vuole che lo chiami immediatamente."

"Ti ha detto del...?"

"Del bambino? Sì, tesoro mio... Mi ha detto cosa sta succedendo."

L'anziana donna le prese la mano e la tenne stretta fra le sue. Malgrado l'età, la sua presa era salda e confortante e le infuse lo stesso calore di quando era piccola.

"Dobbiamo dirgli che sei qui, Neve. È così preoccupato."

Nevaeh avrebbe voluto rifiutare, ma non riuscì ad opporsi. Soltanto sentire pronunciare il nome del marito le fece venire una gran voglia di vederlo e di lasciarsi andare tra le sue braccia.

"Va bene, zia Sara," sospirò, annuendo.

Prese il cellulare dalla borsa, lo accese e il cuore iniziò a batterle a mille alla vista di tutti i messaggi che lui le aveva mandato. Non si sentiva forte abbastanza per parlargli di persona, per cui gli scrisse che si trovava dalla prozia Sara e che lui non doveva preoccuparsi. Dopodiché spense di nuovo il telefono, sperando che a Sébastien non venisse in mente di raggiungerla nello Yorkshire.

Ma, se anche lo avesse fatto, non sarebbe arrivato prima dell'indomani mattina e per allora lei si augurava di avere ritrovato un po' più di calma e di essersi schiarita le idee.

"Sébastien vuole che veda un professore," iniziò poi a raccontare alla prozia. "È un esperto della depressione post partum. Pensa che questo specialista possa darci dei consigli sulle decisioni che dobbiamo prendere, anche se io... Io ormai so cosa fare, zia Sara. Amo già tantissimo il mio bambino..."

Era solidarietà o tristezza quella che vedeva negli occhi della prozia? Aveva intenzione di stare dalla parte di Sébastien?

"Neve, tesoro, c'è qualcosa che ti devo dire," annunciò l'anziana donna. "So benissimo cosa pensi a proposito dell'instabilità mentale di tua madre, cosa provi dopo tutto quello che ti ha fatta passare... dopo quello che ha fatto... Ma questo non significa necessariamente che tu sia uguale a lei. Ho cercato di fartelo capire quando vivevamo insieme, ma gli effetti del trauma che hai subito erano di una tale gravità che ho sempre avuto la sensazione che non mi ascoltassi. La verità, mia cara, è che tu assomigli molto di più alla parte Belmont della famiglia. In te, vedo tantissimi aspetti di mia madre: hai il suo stesso viso, i colori e, soprattutto, il suo coraggio."

PER TUTTA LA VITA (2 LIBRO - "DE MONFORT DYNASTY")Where stories live. Discover now