È il 1984. Biagio Bo, per qualcuno Bibo, ventitré anni, vive in una cittadina del Piemonte orientale (Daibella Piemonte, per tutti Dai) al limitare della Lombardia. Il nome abbreviato della città ben si attaglia al carattere pratico e positivo degli abitanti e delle imprese di quel territorio.
Pochi mesi prima della laurea, un anno dopo aver detto "ora basta" a una quadriennale esperienza come educatore in una comunità per bambini che, protraendosi, gli avrebbe rallentato il cammino verso laurea, mestiere e matrimonio, Biagio trova un lavoro. Stabile. Il sogno di tutti. Viene assunto per la sede direzionale dell'azienda alimentare Giordano Dolciaria a Busto Rovella, vicino a Milano e a un'ora d'auto da Dai, che ne ospita il principale stabilimento produttivo.
Giordano Dolciaria è azienda di respiro internazionale, ambiziosa, agguerrita e votata all'innovazione quasi quanto la Ferrero di Alba, di cui si affanna a ripercorrere tracce imitandone i prodotti, inarrivabili. Di Alba sono i genitori di Biagio, da lì trasferitisi a Dai, la cittadina ai confini della Lombardia, per non partire verso una più lontana Germania, offerta al papà di Biagio dalla Presidente della Ferrero, azienda agli albori, all'epoca, poi diventata modello mondiale cui si riferisce la Giordano senza ammettere di volgervi lo sguardo: stella vicina, paradigma cui rapportarsi ma irraggiungibile, in quel formidabile Piemonte capace di partorire ben due imprese di tale portata.
Felice di non essere stato risucchiato in un incubo orwelliano in quell'anno iniziato male nel mondo, Biagio rileva nell'universo mai visto dell'organizzazione d'impresa, su quel palcoscenico popoloso di personaggi (taluni ordinari, altri caricaturali, qualcuno comico, tutti amabili) prospettive per lui inimmaginabili e, nel suo mondo di dubbi (lui che di cognome fa Bo), le certezze che andava cercando: terminare la tesi su Orwell, lavorare, sposarsi, maturare esperienza, dare una direzione alla vita.All Rights Reserved