L'Unica Figlia Di Artemide...

By reginadispine

49.5K 2.7K 523

Tre anni. Sono passati tre anni dalla battaglia contro la dea della terra, Gea. I nostri eroi sono cresciuti... More

1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
13
14
15
16
17
18
19
20
22
23
24
25
26
27
28

21

491 21 11
By reginadispine


SUSAN

La mattina seguente al ritrovamento del biglietto e al ricovero dopo l'attacco di Medusa (di cui aveva ancora i brividi), Susan decise di lasciare l'ospedale. Era rischioso stare in un posto più di qualche ora, inoltre non voleva perdere altro tempo. Doveva trovare un modo per raggiungere Los Angeles, ma prima avrebbe dovuto arrivare a Chicago, senza passare per Toronto. Non poteva permettersi di attraversare ogni singola tappa che c'era sulla mappa che Apollo le aveva messo nello zaino - insieme a tanti altri oggetti utili - perciò avrebbe raggiunto direttamente Chicago.

Era tardo pomeriggio, non sapeva se sarebbe stata così fortunata da trovare uno di quei bus per turisti. Sua madre, quando era più giovane, aveva l'abitudine di spostarsi da un posto all'altro proprio grazie a quei bus, almeno quando praticava tiro con l'arco. Lei, avendo solo dodici anni, non aveva mai sperimentato un viaggio simile e non sapeva come gestire la cosa. Ma l'avrebbe fatto comunque. Posò la mappa dentro il suo zaino e, nonostante i dolori causati dalla violenza di Medusa, si diede una veloce lavata e si cambiò. Stessi jeans, stessa maglia e stesso giacchetto, in jeans anche quello, che non indossò per il troppo caldo.

Le scarpe lillà erano l'unica cosa carina del suo abbigliamento, peccato che si erano rovinate. Quel viaggio non era neanche iniziato e lei era già distrutta. Non perse altro tempo e uscì dalla sua stanza di ospedale, cercando di farsi notare il meno possibile. Nessuno si accorse di lei. Le avevano detto che sarebbe dovuta rimanere ancora qualche giorno in ospedale, ma lei non aveva tempo. Oltretutto aveva mangiato qualche cubetto di Ambrosia e si sentiva già meglio di ieri.

Passò quasi un ora e mezza quando riuscì a raggiungere la biglietteria che si occupava del tipo di spostamento di cui lei aveva bisogno - dovette raggiungere la meta a piedi, non voleva usare il denaro che aveva per un taxi. C'erano tantissimi turisti. Quando venne il suo turno il bigliettaio la guardò stranito; probabilmente era poco sicuro di voler vendere un biglietto ad una ragazzina, poi non si trattava del New Jersey che, bene o male, era vicino New York, ma di Chicago. Era una distanza enorme, ci sarebbero volute circa dieci ore di viaggio.

- Ci sono bus che portano a Chicago? - Ebbe il coraggio di chiedere, forse un po' nervosamente.

- Ne è rimasto solamente uno, che però partirà tra due ore. Ma non andrà direttamente a Chicago perciò a meta strada dovresti prenderne un altro. -

Il bigliettaio sembrò non voler fare domande a Susan, sicuramente perché avrebbe perso tempo e dietro di lei c'era altra gente che aspettava il suo turno e che non sembrava neanche fare caso all'indifferenza del l'uomo, che stava vendendo ad una dodicenne un biglietto di sola andata per un altra città. Acquistò il biglietto e due ore dopo riuscì a salire sul veicolo, aspettando, ma anche all'ombra c'erano quaranta gradi, perciò non fu meno piacevole.

Si sentì fortunata, era riuscita a trovare un bus libero, anche se aveva aspettato due ore. Per raggiungere Chicago avrebbe dovuto prenderne un altro a metà strada, ma quel viaggio sarebbe durato comunque quattordici ore circa secondo quello che le aveva dettol'autista, anche lui indifferente al fatto che avesse solo dodici anni. Susan viveva con l'ansia costante di venire attaccata da qualcosa o qualcuno, e non si riferiva solo ai mostri.

New York era enorme, ma niente in confronto a dover attraversare lo stato per raggiungere Los Angeles e recuperare uno stupido arco. Un arco di cui non conosceva l'esatta funzione, perché supponeva non servisse solo a scagliare delle frecce.

Vide una ragazza correre verso il bus e chiedere all'autista di fermarsi. Questa salì e si sedette due file dietro Susan. A parte la ragazza, nel bus c'era un uomo corpulento, due donne di mezza età di colore proprio all'ultima fila e un ragazzo che poteva avere circa venticinque anni.

Credeva che durante il periodo estivo la gente avrebbe fatto a botte per trovare un posto su un bus come quello. Ma qualche istante dopo salì una famiglia di quattro membri, che prese posto nelle prime due file a sinistra, e altre sei persone.

Ad un tratto venne presa da una di quelle ansie insensate, quelle che si avevano anche quando sapevi di aver fatto la scelta giusta. Aveva preso il bus giusto? E se fosse salita in quello sbagliato? Ma mentre si faceva queste domande, il veicolo entrò in strada. Vedeva la città di New York, una città che sentiva di non aver mai vissuto appieno, scorrergli davanti il viso. Gli altissimi grattacieli, la prima cosa che si notava di quella città, persone travestite da supereroi o altri personaggi di fantasia, che per una foto chiedevano di essere pagati.

Si strofinò gli occhi quando la luce cominciò a darle fastidio e il paesaggio divenne indecifrabile a causa della velocità, e prese il biglietto che qualcuno le aveva lasciato all'ospedale la notte prima. Certo, oltre che dei pericoli del mondo degli dei, si sarebbe dovuta anche preoccupare di un presunto stalker.

Certo che non riesci a tenerti in piedi neanche un secondo, eh?

E aveva anche ragione questo stalker. Susan aveva sempre sofferto di cali di zucchero, ma mai in quella maniera. Anche perché i cali di zucchero raramente si presentano con degli svenimenti. La maggior parte delle volte si ha debolezza e giramenti di testa.

Strinse a se lo zaino e cercò di riposare gli occhi. Sapeva che non avrebbe dormito, non voleva farlo in un autobus con degli sconosciuti che forse avrebbero potuto rubarle qualcosa.

Passarono le prime sette ore abbastanza velocemente: mangiò qualcosa quasi ad ogni fermata perché la fame aveva cominciato a crescere. Non parlò a nessuno. Partì verso le cinque e arrivò all'ultima fermata del bus alle undici e mezza di sera. Adesso ne avrebbe dovuto prendere un altro e sarebbe così arrivata a Chicago, altre otto ore dopo. Ancora non aveva sonno, troppo agitata e spaventata dal fatto che stesse viaggiando da sola. Era in allerta, costantemente con le orecchie aperte, come Marlene le aveva sempre insegnato. Non si doveva mai fidare al cento per cento, neanche dei più cari amici.

Non comprò nulla, voleva tenersi ogni singolo centesimo per le cose importanti. Ne aveva ancora di provviste e denaro - Apollo era stato davvero molto utile - quindi non sentì il bisogno di acquistare nulla. Quando salì sul bus dopo essere uscita dai bagni notò la ragazza dai capelli corti e l'aria misteriosa ancora seduta due file dietro di lei. Non riuscì a distinguerle bene il viso. Si sedette all'ultima fila. Lanciò un occhiata sospettosa alla ragazza, ma era troppo presa da un libro tascabile. Si rendeva conto di stare diventando tanto paranoica.

Ma meglio troppo che troppo poco. Aprì lo zaino per bere dell'acqua - un po' calda ma ancora bevibile - e trovò un altro biglietto, questa volta scritto in... Greco? Susan riuscì a capire comunque quello che c'era scritto.
Probabilmente la sua dislessia stava peggiorando ecco perché le fu così facile leggere quella lingua a lei quasi del tutto estranea fino a qualche mese fa.

Continua a tenere gli occhi aperti e a non fidarti di nessuno. Ti stanno cercando in molti.

Si, Medusa le aveva detto una cosa del genere mentre cercava di catturarla. Avrebbe voluto sapere il perché, un dannato perché. Poi, ricordando quell'avvenimento, aggiunse alla sua lista dei perché un altro quesito: "come mai Medusa non è riuscita a pietrificarmi?"

Prese in considerazione di scrivere davvero tutte le domande a cui voleva dare una risposta, cominciando da quella. Cercò di fare in fretta, prima che il bus partisse e la sua scrittura si trasformasse in qualcosa di illegibile. Accese la torcia e cominciò.

1) Come mai Medusa non è riuscita a pietrificarmi?
2) Cosa è successo quando ho "ucciso" quel mostro all'arrivo al Campo?
3) Perché il mio colore di occhi è cambiato?
4) Perché hanno rapito mia madre?
5) Perché...

Ma qua si fermò. Ora non le veniva più niente in mente e la cosa la infastidì; quando ti serviva qualcosa non l'avevi mai. I motori si erano accesi e decise di chiudere la torcia, posare penna e taccuino (che si portava sempre ovunque, senza una ragione precisa) e godersi il viaggio che sarebbe durato altre sette ore, sette ore in cui non avrebbe dormito affatto.

Fortunatamente l'acquisto del secondo biglietto riuscì a farlo già a New York. Non poteva ancora credere di essere uscita da quella città... Guardò nuovamente il foglietto, chiedendosi come questa persona fosse riuscita a metterglielo dentro lo zaino se l'aveva avuto sempre con se. Fece un profondo e lento respiro.

Appoggiò la nuca al sedile, tagliuzzato in alcuni punti e abbastanza logoro, e guardò fuori dal finestrino mentre il secondo bus della giornata partiva. Credeva che il veicolo sarebbe rimasto vuoto, ma non fu così. Proprio in quel momento salirono altre persone, circa una decina, che erano rimaste ad aspettare la partenza dell'autobus, distanti dal parcheggio, dopo essersi rifocillati in un negozietto poco lontano da li, dove Susan era andata a svuotarsi la vescica e aveva comprato un pacchetto di gomme e una bottiglia d'acqua, per cercare di gestire i suoi cali di zucchero, in caso ne avesse avuti alcuni. Fortunatamente l'autobus non si fece aspettare.

Erano da poco usciti dal parcheggio e oramai avevano preso velocità, la strada era deserta e qualsiasi cosa intorno prendeva il colore della notte. Il cielo era colmo di stelle, più visibili grazie al fatto che c'era poca luce da quelle parti. Il leggero chiacchericio di alcuni dei passeggeri tranquillizzò Susan e quando l'autista chiese se potesse mettere della musica, che non avrebbe disturbato il loro sonno, quella sensazione di sicurezza aumentò, anche se leggermente.

Partì della musica Jazz che a lei non dispiaceva. Marlene aveva spesso sostenuto di avere una figlia dall'animo annoso, a cui piacevano gli oggetti vintage e anche la musica di decenni fa. Ad esempio, Susan aveva sempre amato l'orologio che sua madre le aveva regalato e che era appartenuto a suo padre prima di lei.

Non aveva mai conosciuto i suoi nonni, Marlene le aveva detto che erano morti, la madre di malattia, il padre in un incidente, quando lei aveva solo ventitre anni. Non l'aveva mai portata a visitare le loro tombe, e non aveva mai parlato di loro. Susan non aveva insistito più di tanto, probabilmente c'erano cose di cui Marlene non voleva ancora parlarle. Effettivamente non sapeva molte cose di lei. Avrebbe sicuramente dovuto rimediare e sperava di riuscire a farlo presto...

Quando Susan alzò lo sguardo davanti a se notò un veicolo venire verso la loro direzione; Aveva i fari accesi, simili a due enormi occhi, e zigzagava. L'autista imprecò, maledicendo gli ubriaconi alla guida. Ma poi Susan capì che non era un auto la cosa davanti a loro. Si ingrossava e si innalzava sempre di più fino a che non aprì le fauci e con il suo enorme corpo si scontrò contro l'autobus, facendolo uscire fuori strada.

A mala pena Susan percepì le urla dei passeggeri, ma fu comunque terribile. Sentiva il suo corpo venire colpito ogni secondo, la pelle si sfregava contro ogni singola superifice. Sì coprì la testa il più possibile.

Fortunatamente aveva indosso la cintura. Il bus fece due giri e poi si fermò strisciando, in mezzo al buio. Fuori dalla strada sembrava esserci il deserto, c'erano poche abitazioni ed era quasi del tutto vuoto. Nessuno venne in loro soccorso per più di venti minuti.

In quei venti minuti Susan soffrì molto cercando di liberarsi. Del sangue le colava dalla fronte e ci vedeva davvero poco, non solo a causa del buio. Sentiva qualche lamento: menomale, alcuni sembravano essere ancora vivi. Sperò dal profondo del suo cuore che non ne fosse morto nessuno.

Lei era viva per miracolo o per protezione divina. Riuscì a liberarsi dalla cintura che la stava stringendo quasi a volerla soffocare e cercò di farsi strada. Il bus era capovolto verso la fiancata destra. Chiamò a gran voce i passeggeri e solo pochi risposero con un mugolìo davvero molto debole. Prese il cellulare di un uomo che era la a fianco e aveva perso i sensi e chiamò l'ambulanza mentre a malapena riusciva a reggersi in piedi.

Il suo zaino. Doveva prendere il suo zaino e mangiare dell'Ambrosia. Ripose il telefono al suo posto e afferrò lo zaino, cominciando a mangiare i deliziosi cubetti che cominciarono a rigenerarla piano piano. Molto piano, perché ebbe un capogiro e perse quasi l'equilibrio. La fronte le sanguinava ancora, ma ce la poteva fare.

Oltre lei solo altre tre persone ripresero i sensi. Fece una fatica enorme ad uscire, ma in qualche modo doveva liberare il passaggio per aiutare chi poteva essere aiutato. Temeva che se qualcuno si fosse fatto troppo male e lei avesse tentato di tirarlo fuori dal sedile quest'ultimo si sarebbe potuto fare molto male. In certe situazioni era meglio non toccare niente e nessuno.

- State tutti bene? - Ripeté. Lei aveva ancora dei terribili capogiri, ma cominciò a riprendere le forze sempre più velocemente. Quei cubetti erano miracolosi. Sì pulì il sangue con la sua maglia.

- Signorina... - Chiamò qualcuno dai posti centrali del bus. Susan fece tutto il possibile per raggiungere la signora che la stava chiamando, ma non era facile spostarsi quando il bus era capovolto. Doveva stare attenta a non prestare la testa di qualcuno.

- L'autista? Come sta? -

- Ha perso i sensi, signora. Vuole che la aiuti? -

- Si, la cintura mi sta soffocando... -

Susan fece tutto il possibile per tirarla fuori. La prese tra le braccia, adesso più forti e robuste rispetto a prima che le sembravano dei ramoscelli a confronto e, anche se con estrema difficoltà, riuscì a portarla vicino all'uscita.

- Ora dovrebbe farsi forza con le braccia. Io la aiuterò. Metta i piedi sulle mie mani... -

E così fece la vecchia donna, che poteva avere si e no cinquant'anni. Aveva le gambe tremanti, fu difficile per Susan issarla, soprattutto a causa di un altro capogiro e della sua vista annebbiata, ma ce la fece. La donna riuscì ad uscire.

- Ora dovremmo aiutare tutti gli altri. - Disse lei con la sua voce rauca, probabilmente per via delle sigarette. La puzza si sentiva fino a al fondo del bus, dove stava Susan.

- Tra poco arriveranno i soccorsi, vado a controllare se sono tutti vivi. Lei rimanga qua e non si muova. Arrivo subito. -

Quando si introdusse di nuovo dentro il bus semibuio cominciò a passare da sedile a sedile. Alcuni battiti non li sentì. Fortunatamente indossavano tutti le cinture perciò nessuno fini fuori dal veicolo. Sperò che i rinforzi arrivassero presto.

Poi qualcosa si abbatté di nuovo e molto violentemente contro l'autobus, facendolo capovolgere su tutte e due le ruote, le altre due erano saltate via. Questa volta Susan reagì d'istinto e riuscì a mantenersi un certo equilibrio con un solo salto. Uscì immediatamente fuori e non vide la signora. Andò in panico. E se fosse finita sotto il bus? Qualche istante dopo la vide accasciata a terra. La raggiunse molto velocemente.

- Che cosa le è successo? -

- Sono caduta quando scappata per evitare di essere schiacciata da quel bus. Mi sono presa un colpo al cuore. -

Susan annuì, sollevata. Ma quanto ci metteva l'ambulanza ad arrivare? Si guardò intorno cercando di scorgere qualcosa in mezzo al buio. Appena avrebbe visto quel mostro... Lo avrebbe voluto uccidere, ma non sapeva bene come. Tornò dentro l'autobus e vide un ragazzo di probabilmente venticinque anni che cercava di liberarsi. La sua faccia era coperta di sangue per via del profondo taglio al centro della fronte, molto simile al suo. Oltretutto aveva un labbro spaccato e un occhio socchiuso.

Ringraziò ancora il cielo che i passeggeri avessero deciso di mettere le cinture.

- Come ti senti? - Chiese Susan.

- Liberami, liberami, presto! - Rispose lui con ansia, farneticando qualcosa e agitando le mani sopra quelle di Susan che tentavano di liberarlo dalla morsa di quella stupida cintura. Maledizione.

- Non ci riesco! -

Lui sembrava non riuscire a respirare. Poi le venne un idea. Prese uno dei coltelli ricevuti in dono da Apollo: in mano le capitò quello argento, con scolpita la luna sulla lama. Ricordava fosse sull'elsa. Con un colpo ruppe in due la cintura e liberò il ragazzo che si alzò con così tanta euforia che cadde per terra.

- Calmati adesso, ti aiuto ad uscire... - Susan era quasi del tutto in forze. Afferrò per le spalle il ragazzo e lo portò fuori, vicino l'anziana donna.

- State qua, vado a vedere come stanno... -

- C'è qualcosa laggiù! - Urlò il ragazzo, ancora sotto shock per l'incidente, indicando una piccola collina più avanti, quasi del tutto immersa nell'oscurità. Susan si girò di scatto, e non fu un bel gesto dato che si beccò una brutta fitta alla testa. Ma non ci badò quando vide due occhi simili a fari di un auto guardare verso la loro direzione.

- Rientrate sul bus. - Ordinò loro la dodicenne.

- Cosa? - Chieserò entrambi, in tempi diversi.

- Cos'è quella cosa? -

- Ho detto di salire! - Susan non aveva mai alzato la voce come fece in quel momento. Solitamente era dotata di molta pazienza. Indicò il bus. - Occupatevi degli altri. -

Sia la donna che il ragazzo non fecero domande e obbedirono a Susan, spaventati dalla situazione. Poi lei corse dalla parte opposta, immergendosi nell'oscurità e tornando vicino la strada. Il mostro che sembrava molto simile ad un serpente per il modo in cui si trascinava la inseguì. E sembrava furioso.

Girò verso destra una volta arrivata fuoristrada e si nascose dietro una roccia. Sembrava un deserto quel posto. La terra era piena di sassolini e si estendeva fino a molto lontano. Era quasi priva di alberi, rocce e abitazioni, ma lei riuscì a trovare un piccolo nascondiglio. In questo modo avrebbe avuto il tempo di ragionare sulla sua situazione.

Aveva dedotto che quel mostro era un serpente, un serpente molto violento che ovviamente cercava lei per riscattare il premio dagli dei. Si sporse da sopra la rocca dopo aver afferrato Dokos e Aster, ma non riuscì a vedere niente. Quella poca luce della luna adesso era offuscata per via delle nuvole. Poi sentì un leggero ma minaccioso sibilo e, con estremo terrore, notò il corpo enorme di un serpente passare molto vicino alla roccia dietro la quale si era nascosta.

Lui l'aveva trovata. Afferrò entrambi i pugnali, facendoli roteare come faceva quando usava la spada (sebbene fosse successo poche volte). La luna tornò a brillare e vide il serpente innalzarsi, alto più di quattro metri e incredibilmente enorme. Vide gli occhi brillare come fari, gli stessi fari che aveva visto prima di quell'orribile incidente.

Quando il serpente si scagliò su di lei Susan riuscì a ferirlo proprio dove voleva lei, ovvero vicino l'occhio, e poi si scansò quando la sua coda, o meglio la sua testa, tentò di colpirla di nuovo. Perfetto, aveva una seconda testa al posto della coda. Oltretutto, notò una cosa straordinaria. La piccola ferita che aveva provocato al serpente continuava a brillare, come una crepa dalla quale venivano fuori alcuni raggi del sole.

Non avrebbe dovuto portare il mostro in un luogo illuminato come aveva pensato di fare, bastava solo che lo ferisse il più possibile. Questo sarebbe stato molto difficile anche perché al secondo attacco quel serpente mitologico riuscì quasi ad afferrarla con le sue lunghe zanne. Difficile, però avrebbe preso due piccioni con una fava, perché più ferite aveva più era vicino a tornare nel Tartaro.

Le auto delle ambulanze, più quelle della polizia, arrivarono finalmente. Avril e David riuscirono ad aiutare alcune persone ad uscire dal bus distrutto, ma alcune erano talmente ferite che non osarono toccarle. Altri avevano perso i sensi, due erano invece morti con assoluta certezza e la consapevolezza di ciò fece piangere disperatamente il ragazzo che non aveva fatto che trattenere le lacrime per tutto il tempo. Anche altri sarebbero morti se non fosse stato per i dottori che soccorsero immediatamente ogni singolo passeggero, tra cui anche lei e David, che ricevettero qualche complimento da alcuni infermieri per aver mantenuto il sangue freddo. Ma Avril, che in tutti i suoi sessant'anni di vita poche volte aveva mancato al rispetto, poiché lei era una donna che aveva sempre vissuto per le cose giuste, replicò dicendo che se non fosse stato per una ragazzina grande quanto il suo terzo nipote lei sarebbe ancora dentro quell'autobus, probabilmente morta dato i suoi problemi a respirare.

Il ragazzo di ventisei anni, David, non aprì bocca al riguardo. Era ancora molto spaventato e i medici stavano facendo di tutto per calmarlo. Essendo un posto sperduto, nessun curioso venne allontanato. Avril sentì chiaramente cosa dissero alcuni medici ad un poliziotto.

- Sono tutti feriti, ma purtroppo due non ce l'hanno fatta. Un uomo e una donna, il primo adulto e dal fisico molto corpulento. La seconda poteva avere quarantasei anni. Il primo ha preso una brutta botta alla testa, la seconda è morta per via di alcune schegge che le hanno trafitto il viso e la gola. -

Avril ne aveva passate tante nella sua vita. Quando era giovane, tendeva a farsi molti danni quando guidava il motorino. Una volta aveva rischiato grosso e, rispetto quel giorno, oggi era stata molto fortunata. Grazie a quelle esperienze si era promessa di stare sempre molto attenta per strada e così non mancava mai di indossare la cintura, perciò, grazie a Dio e se stessa, se l'era cavata con una botta alla nuca e qualche lesione al braccio destro e al piede sinistro.

Non si era rotta niente, ma probabilmente sarebbe, presto o tardi, morta soffocata se non fosse stato per quella ragazza. Si avvicinò a quel gruppetto di medici e poliziotti e attirò l'attenzione verso di sé.

- Scusate se vi interrompo, ma ho una cosa molto importante da dirvi. Non siamo presenti tutti, manca un passeggero. Una ragazzina che ho visto correre verso di la - E indicò esattamente il punto in cui era corsa via, da qualcosa che Avril non era riuscita minimamente a vedere. - Ha salvato sia me che quel ragazzo. Probabilmente saremmo morti anche noi senza di lei dato i miei problemi respiratori. -

- E lei sa perché è scappata via? - Le chiese un altro poliziotto, mentre quello di fianco a lui richiamava a sé una piccola pattuglia.

- No - Rispose Avril, mettendosi una mano al petto. Un improvvisa sensazione di ansia la colse. - Non ho visto assolutamente niente. Oltretutto, quel ragazzo, David, era svenuto poco dopo che se ne era andata e ho cercato di soccorrerlo. -

- La ringrazio signora. Adesso si riposi, ha fatto un ottimo lavoro. -

Avril salutò facendo un cenno educato del capo e poi si fece il segno della croce, sentendo l'effetto dell'adrenalina sparire, e tornare dai medici con la consapevolezza dell'orribile giorno che era diventato quello.

Quando Susan tentò di colpire una delle teste l'altra scattava per difenderla e lei per poco non ci rimetteva le penne. Ma quanto la seconda testa si avvicinò abbastanza, Susan colse l'occasione e con una mossa goffa ma potente, conficcò un pugnale nell'occhio di una delle teste. Trattenne un conato di vomito. Il serpente si agitò e, arrabbiata, l'altra testa le si scagliò contro con doppia ferocia rispetto a prima.

Non la morse, ma la scagliò via e fu come se fosse tornata sulla metro insieme a Medusa, che quel giorno la stava distruggendo. Sentì ogni ferita riaprirsi e ogni livido tornare a farle male. Ma si rialzò, anche se non subito. Ora doveva recuperare il pugnale che aveva lasciato dentro l'occhio del serpente. Sentì qualcosa colare dalla fronte e quando si toccò sentì l'odore del sangue. La ferita sulla fronte aveva ripreso a sanguinare e si era anche aperta di più.

- Perfetto... Se gli dei non riusciranno a prendermi da viva, quanto meno lo faranno da morta. - Scherzare tra sé e sé su certe cose la aiutava a mantenere un certo controllo. Si guardò intorno, annullando poi la poca sicurezza che il suo scarso sarcasmo riusciva a farle ottenete. Il serpente era sparito. Si guardò intorno allarmatissima, il sudore le stava inzuppando sia la pelle che i vestiti, aggiungendosi al sangue. Per quanto riuscisse a negarlo a se stessa, l'effetto dell'Ambrosia stava sparendo e lei cominciava a sentire nuovi dolori, probabilmente causati dall'incidente.

Ma corse via, nascondendosi dietro un altra roccia. Quando la luna spuntò da dietro le nuvole, la sua luce riuscì a darle una buona visione dell'intorno quasi deserto. C'era un abitazione poco lontano da la, e di fianco ad essa un enorme camion. Se fosse sopravvissuta avrebbe potuto chiedere un passaggio...

Poggiò la nuca alla roccia, chiudendo gli occhi, e lasciandosi cullare dalla luce della luna, che piano piano la stava avvolgendo... Per qualche ragione, cominciò a sentirsi in pace e stupidamente dimenticò di dover uccidere un mostro, prima che la uccidesse e che combinasse molti altri danni. Poi alzò la testa di scatto quando se ne rese conto. Poi si toccò la nuca con altrettanto nervosismo e, esattamente come aveva sentito, la ferita sulla fronte si stava richiudendo.

Non posso crederci. I raggi della luna mi hanno curato oppure sto delirando?

Ma sapeva di non stare delirando. La luna era piena e nonostante illuminasse tutto intorno sembrava stare riservando un po' della sua luce per lei. Improvvisamente si sentì al sicuro e allungò la mano piena di graffi proprio sotto la luce. E quest'ultima fece davvero sparire i suoi graffi. Avrebbe voluto immergere l'intero corpo dentro quel cerchio lunare che si era proiettato per terra, ma questo scomparì. Le nuvole si immischiarono in quella che per Susan era la scoperta migliore della sua vita... Cosa stava succedendo? Non aveva mai avuto questa capacità dopo aver scoperto dei suoi poteri, e neanche prima. Era come se si stessero risvegliando piano piano, dopo un lungo sonno.

Afferrò il suo pugnale, che per quanto fosse bello e affilato, non era letale quanto una spada. Istanti dopo, riuscì ad identificare una piccola serie di graffi dorati poco lontano da la. Susan, che in quel momento si sentiva non solo più forte fisicamente, ma anche più vigorosa nell'animo per la bella scoperta, si diresse proprio verso il serpente, che non ci mise tanto ad accorgersi della sua minuscola figura. Entrambi si scagliarono l'uno verso l'altra, ma Susan non lo attaccò. Il suo obiettivo era quello di avvicinarsi il più possibile a lui, perciò quando una delle teste la attaccò, lei girò verso sinistra e salì proprio sul collo della creatura.

Quella testa cominciò a scuotersi talmente veloce che la seconda testa non reagì, anche perché la prima testa innalzò il corpo talmente tanto che il peso si scaraventò sulla seconda, incapace di muovere il corpo. Proprio in quel momento, a Susan venne l'idea di intrecciare il corpo del mostro, così da poter limitare i suoi movimenti. Anche se il vero problema non era il corpo, ma le teste.

Infatti, ad un certo punto la testa su cui si trovava Susan, che era spaventosamente in alto, si fermò, come se avesse compreso che non era il modo più intelligente di reagire e così le teste sorelle ripresero a fare squadra. Susan fece in fretta, e staccò il pugnale dall'occhio del mostro e fu costretta a fare un salto di qualche metro per toccare terra.

Toccò il suolo con agilità, atterrando in piedi come un gatto.

Dannazione, non l'aveva ferito come avrebbe voluto, ovvero colpendolo agli altri tre occhi. Ma almeno aveva recuperato entrambi i pugnali. Non si accorse di quanto veloce fu il serpente, forse davvero troppo veloce: aprì le fauci e la morse. Strinse così forte che tentò di strapparle il braccio, ma Susan colse l'occasione: prese Aster, il coltello d'argento, e lo ficcò proprio dentro l'occhio del mostro con un urlo agguerrito e dolorante. Questo strillò disperato e arrabbiato.

Ma forse non arrabbiato quanto Susan. Il braccio le stava esplodendo dal dolore, oltretutto era arrabbiata perché probabilmente era avvelenato. In lontananza, sentì rumori di sirene della polizia e voci, ma non ci badò più di tanto. Ebbe un idea grandiosa che l'avrebbe aiutata a vincere sfruttando non solo la propria rabbia, ma anche quella del mostro. Era molto, molto furiosa, e il dolore la stava alimentando.

- Stupido mostro, mi hai fatto male! - Urlò lei con forte rancore. Entrambe le teste sibilarono maligne.

Ad un certo punto, fece un salto, un salto degno di un personaggio soprannaturale dei fumetti. Aveva sentito un improvvisa forza nelle gambe, tale che avrebbe potuto spingerla ancora più in alto, e anche se le sembrava impossibile anche solo pensare di averlo fatto, raggiunse il collo della testa di serpente senza occhi, quella che aveva preso più mira. La seconda testa si era decisamente vendicata con quel morso.

Susan si strinse forte intorno al collo della creatura, che stava cominciando ad agitarsi violentemente, forse perché aveva capito che lei era un pericolo. Susan lo sperava davvero, perché poche volte si era sentita così adirata. Odiava quei mostri che la stavano letteralmente distruggendo. Non sentiva più il braccio, avrebbe dovuto fare in fretta, ma quella cosa si muoveva troppo velocemente, cercando di scrollarsela di dosso.

- BASTA! - Urlò istericamente Susan, da una parte anche molto impaurita. Conficcò uno dei pugnali alla nuca del serpente, più e più volte, con violenza, procurandogli altri tagli lucenti, questa volta argentei e non dorati. La testa cieca urlò, ma Susan non ebbe il tempo di tapparsi le orecchie.

Sì lasciò cadere per terra cercando di non sbattere con le ginocchia, ma così furono le sue mani ad avere la peggio. Alzò lo sguardo e vide che la sua idea aveva funzionato: la seconda testa si era scagliata verso di lei, meno velocemente rispetto a prima dato che anche lei si era indebolita, e con l'intento di mordere Susan in realtà morse la sua testa gemella perché lei era riuscita a scappare per un pelo. No notò neanche il sangue sulle mani quando, con orgoglio e sollievo, vide il nostro dissolversi in una stupenda polvere dorata.

Stupenda perché finalmente quell'incubo era finito. Si sedette per terra, cercando di riprendere il respiro. Sì guardò intorno, sperando di trovare un altra roccia su cui appoggiarsi, ma sentiva solo la terra sotto di sé e su di sé, nonché l'odore metallico del sangue.

Ah le mie mani... Io che vorrei diventare un eccezionale violinista non so trattare bene nessuno dei due strumenti che servono per farlo.

Ma adesso aveva scoperto una cosa meravigliosa. Guardò su in alto e vide quella sfera argentea proprio sopra di lei, come quando si trovava a Central Park e aveva perso i sensi. Le piaceva la sua luce argentea, cosi delicata e adesso per lei molto preziosa. Lasciò che la sua luce la invadesse sia dentro e fuori e in qualche minuto, che quando guardò l'orologio si dimostrarono in realtà circa una trentina di minuti, si sentì rigenerata.

La luna poteva davvero guarirla.

Un idea le passò per la testa, ma la scartò quasi immediatamente. Ma non c'erano molti dei che erano legati alla luna. Forse Ecate, ma...

- Eccola là! -

Susan si alzò di scatto, tenendo il pugnale argenteo in una mano e quello dorato nell'altra. Li fece roteare come se fosse pronta a lanciarli (anche se non sapeva farlo), ma poi vide circa cinque uomini in divisa venirle incontro. Erano della polizia!
Mise a posto i pugnali dentro lo zaino, mentre guardava loro contenta e alcuni di loro ricambiavano lo sguardo sereni di averla trovata.

- Ti abbiamo cercata dappertutto. Una donna dell'incidente ci ha detto che ti eri inoltrata fuori dalla strada. -

La donna che parlò le mise una mano sulla spalla e percorsero la strada che portava al luogo dell'incidente, molto lunga oltretutto. Susan non parlò, almeno per quel momento; non solo era stanca, ma il ricordo dell'incidente non le permetteva di godersi il sollievo di essere sopravvissuta ad un mostro enorme. La sensazione peggiorò. Quando arrivarono vide almeno cinque barelle coperte da alcuni lenzuoli e le venne da piangere. In realtà quando si rese conto di non riuscire a trattenere le lacrime si mise una mano sugli occhi e abbassò lo sguardo.

Sentì la mano della poliziotta stringerle la spalla destra, e poi un altra, più mascolina, quella sinistra.

- Tesoro... - Disse dolcemente un poliziotto. - Ora dovremmo visitarti e poi farti qualche domanda. Te la senti? -

Susan si asciugò gli occhi e se ne pentì subito perché si ricordò di avere le mani sporche, e non solo di terra. La luna aveva curato le sue ferite ma certamente non l'aveva ripulita dallo sporco come dal sangue.

- Certo. - Disse con gentile fierezza. Aveva dodici anni si, ma non era una bambina. C'erano volte in cui si sentiva tutt'altro che bambina. Altre invece in cui avrebbe voluto solo che Marlene fosse con sé e la tenesse stretta come quando era piccola.

Alcuni infermieri la ripulirono e la visitarono. Non aveva niente di grave, ovviamente, e la cosa li incuriosì ma non si fecero tante domande. A quanto pareva la prima donna che aveva salvato dall'incidente, Avril, aveva detto tutto. Che Susan si trovava con lei al momento dell'incidente e quindi giustificarono la cosa con un colpo di fortuna. Era stata la stessa Avril ad avvertire i poliziotti che era scomparsa.

Senza di lei avrebbe sicuramente vagato per ore, cercando la strada per tornare al punto di partenza. Il mostro l'aveva fatta allontanare troppo. Furbo. Era stato furbo e potente. Chissà come si chiamava.

I poliziotti le fecero qualche domanda e lei rispose che era andata via per cercare aiuto dato che aveva visto alcune abitazioni vicine in quella strada isolata, ma poi qualcosa l'aveva attaccata e si era allontanata per scapparle.

- Fortunatamente non mi ha fatto niente. Sono riuscita a non farmi attaccare, ma è stato difficile scapparle. Non so cosa fosse, sembrava un enorme cane. Era buio e non sono riuscita a guardarla bene. Come stanno gli altri? -

- Bene, ne abbiamo persi solo cinque. -

- Non riesco proprio a capire come sia successo! - Esclamò un altra recluta in polizia, che a quanto pareva si era lasciata cogliere troppo dalle emozioni mentre parlava con un suo collega. - Se era una strada isolata, come hanno fatto a finire in un incidente simile? Sarebbero dovuti incappare in un altro veicolo ma non c'è niente, da nessuna parte! Sono morte cinque persone! -

- Forse è stato un animale. La ragazzina ha detto di essere stata aggredita da un animale abbastanza grande. - Rispose il poliziotto che aveva interrogato Susan. - Probabilmente l'autista non l'ha visto in tempo e si è spaventato e poi... Be'... -

Susan era ancora colma di adrenalina e il cuore le batteva velocemente, come se stesse per avere un attacco di panico. Riuscì a calmarsi grazie all'aiuto di un infermiera che le diede dell'acqua da bere.

Il poliziotto, che faceva di nome Charles Lavinski secondo la targhetta sulla sua divisa, si avvicinò nuovamente a lei. Adesso non c'era nessuno, erano solo lei e lui e Susan aveva la sensazione che gli avrebbe fatto proprio la domanda che l'avrebbe messa nei guai. E se, anche peggio...

- Signorina io l'ho riconosciuta, sa? -

Il batticuore riprese. Eccome se era nei guai adesso.

- Lei viveva a New York, in un appartamento di Manhattan, insieme alla madre che è scomparsa da qualche settimana. È tu sei la ragazzina che è fuggita, Susan Sinclair, la figlia di Marlene Sinclair. Ti stanno cercando in molti. -

Charles Lavinski disse tutto con una tale tranquillità e rapidità che Susan ne rimase più intimorita.

- Ci hanno avvertito dal Bellevue Hospital Central, dove si sono presi cura di lei quando è stata ritrovata senza sensi in una metropolitana. Ci hanno detto che è scappata anche da lì. -

- Io... - Esordì Susan, ma non disse niente. Doveva trovare un modo per raggiungere Los Angeles!

Ad un certo punto vide le porte dell'ambulanza spalancarsi. Entrò una ragazza dai capelli neri e corti - un taglio simile al suo - e gli intensi occhi azzurri. Indossava una guacca dal tessuto argentato. Quando il poliziotto fece per parlarle la ragazza gli diede un pugno talmente forte che gli fece perdere i sensi. Susan osservò sbalordita la bella ragazza, che la guardò con aria di superiorità, un aria che gli ricordò quella con cui Charlize Baxter le si rivolgeva le pochissime volte che erano entrate in contatto. Poteva avere due anni in più di lei, anche se sembrava in realtà più grande di una semplice quattordicenne.

- Andiamo, ti porto via da qua. Sono stanca di nascondermi dietro dei bigliettini. -

____________

Non ho riletto, mi seccavo. Scusate eventuali errori 🙌











Continue Reading

You'll Also Like

19.9K 598 49
Emily da Silva รจ la tipica ragazza bella da togliere il fiato, testarda e che dalla vita ottiene tutto ciรฒ che desidera. Suo fratello, Danilo, รจ il c...
21.7K 1.5K 34
๐——๐—ฎ๐—น๐—น๐—ฎ ๐—ฆ๐˜๐—ผ๐—ฟ๐—ถ๐—ฎ: "๐„ ๐จ๐ ๐ง๐ข ๐ฏ๐จ๐ฅ๐ญ๐š ๐œ๐ก๐ž... ๐“๐ฎ ๐ฆ๐ข ๐œ๐š๐๐ข ๐Ÿ๐ซ๐š ๐ฅ๐ž ๐›๐ซ๐š๐œ๐œ๐ข๐š..." "๐๐ข๐œ๐œ๐จ๐ฅ๐š..." sussurra prima di bu...
71.3K 3.2K 41
Where... Camilla Leclerc e Lando Norris scoprono cosa c'รจ oltre la linea sottile che divide il punzecchiarsi e l'amore. Non possono o meglio non vogl...