Se solo tu mi amassi || Ereri...

Oleh vivodinagato

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[IN REVISIONE dal primo capitolo in poi]. Eren Jaeger è uno studente della scuola Shiganshina, nella città di... Lebih Banyak

Prologo
Capitolo I - Haiku e musica
Capitolo II - Levi... sei innamorato?
Capitolo III - Tempo
Capitolo IV - Neve
Capitolo V - La persona sbagliata
Capitolo VI - Senza di te
Capitolo VII - Te lo prometto
Capitolo VIII - A volte, va bene piangere
Capitolo IX - Il festival scolastico
Capitolo X - Eroe
Capitolo XI - Rimpianto o rimorso?
Capitolo XII - Ti amo
Capitolo XIII - Vivi
Capitolo XIV - Orgoglio
Capitolo XV - Fiorire
Capitolo XVI - Violino e pianoforte
Capitolo XVII - Lacrime di ghiaccio
Capitolo XVIII - Futuro
Capitolo XIX - Addio, arrivederci
Capitolo XXI - Punizione
Capitolo XXII - Figlio
Epilogo

Capitolo XX - Lettere di un Concerto

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Oleh vivodinagato

L'aria bollente, l'afa appiccicosa, il sole che picchiava duramente sul capo del giovane, mentre correva senza sosta per le vie di WallMaria: Eren sapeva che quello era solo l'inizio della stagione estiva vera e propria. Fino a quel momento non se n'era accorto, troppo preso a studiare; ma, uscendo ogni mattina per fare jogging, non gli ci volle molto per prenderne consapevolezza.
Una volta che il caldo lo fece sentire completamente privo di forze, decise di tornare indietro, fermandosi di fronte a casa sua per riprendere fiato, pronto a rientrare e farsi una doccia rinfrescante.
Erano passate due settimane dalla fine degli esami, e la vita aveva ripreso a scorrere tranquillamente, quasi come fosse stato un mese come tanti altri.
«Bentornato, amore».
Ma qualcosa di diverso c'era: Levi, finalmente in ferie, lo aspettava disteso sul divano, intento a leggere un libro. Sollevò lo sguardo verso il castano, sorridendo, mentre allungava la mano verso il telecomando del condizionatore per spegnerlo.
«Ti fa male tutta quest'aria condizionata!», lo rimproverò Eren, avvicinandosi per baciarlo, per poi dirigersi verso il bagno.
Il maggiore non rispose; probabilmente era troppo pigro per seguirlo nell'altra stanza e continuare la conversazione, così il ragazzo lasciò perdere, accendendo la musica dal suo telefono per poi spogliarsi ed entrare velocemente nel box doccia.
L'acqua fresca, talmente limpida da fargli venir voglia di berla, sembrò restituirgli le energie. Trattenne quell'istinto, insaponandosi poi i capelli, mentre canticchiava  sottovoce il testo delle canzoni della sua playlist. Si perse ad osservare il colore pastello del balsamo, rivedendo delle sfumature simili all'arcobaleno in esso, per poi applicarlo e lasciarlo in posa qualche minuto, giusto il tempo di passare al bagnoschiuma.
Finita la scuola, con Armin e Jean al suo fianco, una relazione sana e felice con Levi e la musica nella sua vita, Eren si sentiva invincibile, capace di affrontare senza paura qualsiasi cosa. Ripensò a quanto avesse sofferto, ma anche a come il dolore lo avesse fatto crescere; era diventato la conseguenza delle sue scelte e, per quanto si fosse odiato, finalmente era capace di sorridersi, guardarsi con rispetto.
Una volta finito si avvolse un asciugamano intorno alla vita, continuando a cantare, mentre si pettinava i capelli bagnati.
«Amore, stavo pensando...»
A quelle parole il ragazzo saltò in aria, lanciando il pettine nel lavandino; non aveva sentito Levi entrare, talmente era preso dal suo ridicolo concerto privato, e la cosa fece ridere entrambi.
«Ma ti sembra il modo? Vedi che uno di questi giorni ci lascio le penne!», si lamentò il castano, raccogliendo l'asciugamano dal pavimento, rimasto completamente nudo.
«Guarda, non so se tu stia cercando di sedurmi o meno, ma prima di questo c'è una cosa che volevo chiederti», rispose Levi, avvicinandosi per toccare il sedere al fidanzato, baciandogli la spalla umida, «Ricordi quando sei venuto a casa mia il giorno del mio compleanno? Bene. Mentre parlavo con il te anonimo, mi ha incuriosito molto la tua giacca, per cui una volta che ti ho mandato a letto mi sono avvicinato per dare un'occhiata, e indovina un po'? Ho trovato ben cinque lettere indirizzate ad un certo Levi. Ora, so di essere l'unico con questo nome che conosci, quindi gentilmente: dammele».
Eren rimase in silenzio. Aveva completamente rimosso il pensiero di quelle lettere che scriveva ogni anno a Natale, e probabilmente avrebbe continuato ad ignorarle fino alla fine dell'anno. Avendo posato la giacca in un angolo sepolto dell'armadio, il castano sapeva di non non avergliele nascoste volutamente; eppure, nonostante fossero sue di diritto, sentì proprio di non volergliele dare.
«Quindi ti ho trovato in piedi, al centro della stanza, con una faccia da idiota perché stavo per beccarti a rovistare tra le mie cose?», chiese a quel punto il ragazzo, ridendo, sperando di sviare il discorso.
E sapeva anche il perché non volesse: quelle lettere dovevano essere un regalo di compleanno, un modo per confessargli i suoi sentimenti, raccontargli il suo amore; ma alla fine non sembravano né lettere d'auguri né d'amore. Erano diventate semplicemente sfoghi di un ragazzo tormentato, stanco di vivere, che si trascinava ogni giorno a scuola grazie alla scintilla di speranza rimasta, calpestata, dentro di sé.
«Tu eri il mio stalker ed io curiosavo tra la tua roba, direi che... no, nemmeno così siamo pari. Dai, asciugati, non vedo l'ora di leggerle!»

Seduto sul divano, con i capelli quasi asciutti, Eren stringeva tra le mani le cinque buste che tanto aveva sognato di consegnargli. Al momento di porgerle a Levi, però, sentì una sensazione di rifiuto totale all'altezza del petto: il suo cervello stava - semplicemente - respingendo l'idea di mandare gli input nervosi necessari al movimento delle dita, in modo da lasciare andare quelle lettere. Sapeva di non poter sfuggire a quella situazione, ma non poteva nemmeno ignorare le sue emozioni; era consapevole del fatto che si sarebbe imbarazzato nel sentirle leggere al maggiore, ma ne era anche sollevato. I suoi sentimenti, anche se i peggiori, l'avrebbero raggiunto; inoltre, non poté nascondere una certa soddisfazione nel notare come Levi se ne fosse ricordato.
«Ecco a te. Buoni cinque compleanni in ritardo, amore. Non... non dare molto peso a ciò che c'è scritto, okay? Ero un ragazzino e, lo sai, compi gli anni proprio a Natale, perciò...»
Levi non lasciò completare la frase al ragazzo, veloce nello sfilargli le lettere dalla mano una volta che ebbe abbassato la guardia. Le osservò attentamente, notando come la più vecchia si stesse già ingiallendo, decidendo così di iniziare a leggere, ad alta voce. Eren si strinse nelle spalle, agitato, ascoltando attentamente il tono del maggiore spezzarsi fin dalla prima riga.

Primo anno
"Caro Levi,
Mi chiamo Eren Jaeger, piacere di conoscerti. Sono il ragazzo a cui hai prestato la giacca in quel giorno di pioggia, quando la professoressa Hanji dirigeva l'orientamento per gli studenti e tentava di far procedere per il meglio l'open day della nostra scuola.
Forse dovrei chiamare anche te così, 'professor Ackerman', come faccio ogni giorno a lezione. Ma sono tranquillo, perché questa lettera non varcherà mai la soglia di casa mia, quindi scusami se ti do del 'tu' e prendilo come un momento tutto nostro.
Ho deciso di scriverti perché ho scoperto che oggi è il tuo compleanno; quindi tanti auguri! Spero tu abbia passando una splendida giornata. Avrei tanto voluto essere con te, vederti sorridere. Lo so, è stupido, ma penso sempre a come tu possa essere al di fuori del tuo ruolo di insegnante... magari sei l'opposto di come sei in classe, chissà.
Non riesco a smettere di pensare a te, sembra quasi che tu mi abbia stregato.
Sei terribile, davvero. Non ti sei ricordato di me. Ma non te ne faccio una colpa, va bene così, davvero. Non mi importa, giuro, ma fa male.
Sarà colpa della notte, che mi rende debole ai ricordi. O magari sei tu a rendermi debole, crudele. Se non ho una maschera ed uno scudo antisommossa, posso salvarmi solo con il sarcasmo e l'acidità. Levi, mi rendi una cattiva persona.
Sono così stanco di farmi chiudere il cuore dalle delusioni.
Ma non mi illudo, perché so che per le persone sole è sempre la stessa storia: bramiamo sogni che non si avverano, e a nessuno importa come va a finire. Se non continuassi ad andare avanti, rischierei di ricordare... ed io non voglio... voglio solo dimenticare. Non piangerò neanche un po', quindi... ti prego, ricordati di me.
So che è un desiderio stupido ed egoista, ma per favore, non dirmi che anche questo sentimento è una bugia, che non hai provato nulla incrociando il mio sguardo nel cortile. Non dirmi che era solo un'illusione senza fine, che ride tristemente di me, non puoi farmi questo! So che non mi devi nulla, che non sono nessuno, ma... devo pur trovare un modo per continuare verso il domani. Anche per questo ti scrivo: perché mentre penso a quale potrebbe essere la prossima bugia che mi racconto, per mantenermi lucido, mi aggrappo all'emozione che mi hai fatto provare.
Non immagini nemmeno quanto mi batteva forte il cuore. Ogni giorno, entrato in classe, non aspetto altro che la tua lezione, anche se spesso e volentieri discutiamo. Mi fai provare qualcosa di diverso dalla tristezza, e per questo ti ringrazio. Vorrei tanto abbracciarti, anche se tu dovessi continuare a rimproverarmi mentre lo faccio.
Magari ti riscrivo anche il prossimo anno; su questo mio sentimento, prometto che ci sarò. Levi, per te ho deciso di non perdermi!
Cavolo... so cosa ho scritto, e di solito non mi rimangio mai la parola, ma... posso piangere, solo per questa volta?

Per sempre tuo,
Eren".

Secondo anno
"Caro Levi,
Buon compleanno. Come vedi non ho mancato alla promessa, e spero tu ne sia sollevato.
Sai, quest'anno ho capito di amarti. Solo a scriverlo mi tremano le gambe... sono pietoso. Ma va bene così, in fondo sto sprofondando così tanto nell'abisso della mia solitudine, che anche solo aprire gli occhi, in mezzo al buio... non so se ne vale davvero la pena.
In casa mia non capisco più se è giorno o notte; ho pensato tante volte di chiedere aiuto, ma sai, sono anni che vivo da solo, e ormai penso che la famiglia non sia più un posto adatto a me. Come dovrei chiamarla questa sensazione?
Come è possibile che in tutto questo tempo non mi abbia trovato qualcuno, che nessuno si sia accorto che sono solo, che mio padre mi ha abbandonato? Sono davvero così bravo a fingere?
Comunque, sai che ho anche ripreso a suonare? Non lo facevo dalla morte di mamma, e il professor Erwin è stato davvero gentile. Non mi ha posto domande, ha solamente accettato me e il mio violino, quasi come ci conoscesse già, ci capisse. Mi sento davvero fortunato, ma... alla fine tu sei l'unico che dovrebbe ascoltare la mia musica, Levi. Secondo me ci capiremmo molto meglio di quanto non facciamo con le parole.
Ci sono tanti brani che parlano di noi; dovrei smettere di ascoltarli, ma sarebbe come chiedermi di rinunciare sia alla musica che a te: ed io amo entrambi.
In classe sorrido sempre con gli occhi lucidi. Rido, guardo prima in alto, poi in basso, scaccio via le lacrime. Mi ripeto "sono felice, non piangerò". Rido, e penso che in realtà non fa un cazzo ridere, e che sono un gran bugiardo.
Non mi importa di te, ma fa male. Non mi manchi, ma darei qualsiasi cosa per tornare indietro a quel giorno di pioggia. È okay.
Tu mi pensi, ogni tanto? Anche solo come... tuo studente? Sì, no?
Devo smetterla di pormi domande che non avranno mai risposta... anche perché sono certo che se continuassi a preoccuparmi su quale sia quella giusta, finirebbero per essere entrambe sbagliate.
Le ore scorrono veloci. Apro gli occhi, e nel momento in cui cerco un modo per scaricare questa rabbia, la giornata è già finita. Mi scoppia la testa, i pensieri si sovrappongono, le mie mani sono vuote... non ho nulla da offrirti, vorrei scomparire, ma... sono felice che tu non sia una bugia.
Dio, sono un fallimento totale. Queste lettere sembrano solo un flusso di coscienza senza capo né coda, perdonami, ma è difficile sorridere quando tutto è distorto.
Perché quando i miei sentimenti taciuti fuoriescono, vengono sciolti in questo mare che mi affoga? Sei lì, davanti a me, ogni giorno. Allungo la mano, ma... quando sto finalmente per afferrarti, sei già scomparso.
Non andartene. Almeno tu, lasciami sentire il tuo calore, prenditi cura di questo cuore annegato, affondato.
Per favore, stringimi forte. Lasciato questo mare, ti prometto che volerò.

Per sempre tuo,
Eren".

Terzo anno
"Caro Levi,
Tanti auguri di buon compleanno.
Nell'ultimo compito in classe ho scelto come tema, tra i due proposti, "me stesso". Strano, vero? Ho scritto di essere vivo, e che questa è la mia più grande fortuna; ho scritto che è già abbastanza così, che sono soddisfatto.
Che senso avrebbe avuto ammettere che sono triste, scrivere di essere solo?
Mi avresti aiutato, a quel punto?
Va bene allora, proviamo; mi fido di te, spero che tu possa capirmi.
Se fossi stato sincero, Levi, ti avrei confessato quanto anche le piccole cose siano dolorose, che mi manca la motivazione. Ciò che mi rendeva felice non vale più nulla; ho questa fame che non può essere soddisfatta, quasi come avessi un buco nero dentro che inghiotte tutto ciò che mi circonda, e mi lascia vuoto, come un involucro privo di contenuto. Non mi soddisfa più niente, ma come potrebbe? In fin dei conti non so nemmeno cosa manca. Forse aspetto te; sogni, speranze... è così che si va avanti, no? Bramo ogni giorno il cambiamento, riuscendo a deludermi ogni volta pur non facendo nulla, pur non aspettandomi niente da me, ed ho la sensazione che non sarò mai più felice. Non posso cambiare? Questo non sono io!
I giorni sono indistinguibili, le mie stesse parole mi deludono, si perdono.
"È abbastanza? No, non ancora, resisti Eren."
Non è semplice da spiegare, ma voglio provarci... prenderò in prestito qualche parola da un paio di famosi psicologi, se non ti dispiace.
Vediamo... Levi, la depressione si infiltra dentro la tua mente senza tu te ne renda conto. All'inizio la ignori, dici a te stesso che questa sensazione di pesantezza passerà, e così continui a comportarti come sempre, perché è quello che sei tenuto fare. Ti sembra che il cuore ti batta a rallentatore, pronto a spegnersi, e arrivi a sperarlo. Provi ad uscire con gli amici, a divertirti con loro, ma ti accorgi che ciò che li entusiasma non ti tocca per niente. Sei intrappolato in questo abbraccio fatale, che ti stritola, impedendoti anche solo di vedere la tua vita mentre si sgretola.
Qualcuno ti rimane accanto (nel mio caso, Armin), mentre tu vorresti solo scappare da te stesso, ma sei costretto ad esistere, a guardarlo vivere mentre tu vai in crisi già nel pomeriggio.
"Non è ancora abbastanza? Solo un altro po', Eren, resisti."
E quella sensazione non va via, precipiti, cerchi di distrarti perché è l'unica cosa che puoi fare per dimenticare te stesso.
Ma senti come se un'ombra scura ti seguisse ovunque, ogni giorno, posandosi sulle tue spalle doloranti e prosciugando le tue membra stanche. Si poggia sulla tua gabbia toracica la notte, nutrendosi dei tuoi sogni, lasciandoti in pasto agli incubi, fermando il tuo respiro. Ti sembra di non avere via d'uscita, ti chiedi se vuoi davvero essere tenuto così, come un animale... ma sei troppo codardo per andartene, e continui a farti maltrattare, in gabbia, dalla tua stessa vita.
Ti sarebbe piaciuto questo tema, Levi?
Dicono che la speranza sia l'ultima a morire, giusto? O forse morirò prima io? Non ho mai smesso di credere in te, in un cambiamento, in uno sguardo profondo che in realtà non fosse una cazzata. Non ho mai smesso di illudermi che mi amassi.
Penso spesso: "con lui, o senza di lui, lo ricorderò". Non posso dimenticarti, ma non lo farei neanche volendo.
Pensi che la vita sia per tutti, Levi?

Per sempre tuo,
Eren".

Quarto anno
"Caro Levi,
Auguri di buon compleanno, e buon Natale. Mi ero dimenticato del fatto che meriteresti un doppio regalo... se potessi permettermelo, sai già che lo farei.
E invece sono qui, per il quarto anno di fila, a scriverti questa stupida lettera.
Sono così arrabbiato... è questa quella che viene chiamata gelosia?
Mi fai venire voglia di andare via, abbandonarti. Quindi per favore, lascia andare il mio cuore!
Ti ho visto sorridere, ridere con qualcuno, l'ultimo giorno di scuola, prima delle vacanze natalizie. Solo io non riesco a renderti felice, quindi? Il mio amore è inutile, vero? Quel tuo sorriso mi mastica le interiora tuttora.
Non facciamo altro che litigare: "Jaeger, riesci a stare attento?", "Quando crescerai?", "Riesci a ripetere quel che ho detto?", "Quando inizierai a studiare come si deve?"
Allora mi dica, chiarissimo professor Ackerman, visto che ama tanto pormi domande: chi è stato a spegnere questo mio cuore? Chi è stato?! Lei riuscirebbe ad allentare la corda attorno al mio collo?
Ehi, dico a lei! Cosa diavolo significa crescere? A chi dovrei chiedere? Cosa devo fare?!
Dammi le mie risposte! Adesso!
Non so, Levi. Sono così stanco... il mio corpo è fatto solo da bugie.
Ho semplicemente capito che questa non è la tipica storia dove lo stronzo cambia per lui e si innamora; qui lo stronzo lo rimane, e non c'è un lieto fine.
Siamo come una luna nera.
E la verità è che un cuore innamorato, senza un altro che combacia con lui, non è niente. Spazzatura.
Se non posso lasciare una traccia della mia esistenza nella tua vita, allora Levi, ti prego... marchiami con le tue labbra e uccidimi.

Per sempre tuo,
Eren".

Quinto anno
"Levi, buon compleanno.
Non so se avrò mai il coraggio di darti queste lettere, ma non importa, in fondo quelle che ho scritto precedentemente non sembrano nemmeno lettere d'amore o d'auguri, e per questo ti chiedo scusa. In questo periodo dell'anno sono sempre molto infelice, ma tu non c'entri niente, tranquillo. Certo, averti accanto renderebbe la mia vita degna di essere vissuta, ma ciò non significa che tutto questo sia colpa tua. Abbiamo litigato, non ci parliamo da settimane, eppure non smetto di pensare a te. Anche adesso, non faccio altro che desiderare di sentirti dire, pronunciare con quelle labbra che tanto amo e bramo, le parole: "sarò tuo per sempre". Ma effettivamente, questo non implica lo stare insieme.
"Sarò tuo, ma non ci sarò".
"Sarò tuo, ma prima o poi farai parte del passato, e proverò a dimenticarti. Ti scorderò".
"Il mio cuore è tuo, ma non te lo cederò".
Amami Levi, ti prego, perché io non smetterò più.
Ho smesso di indossare la tua giacca, l'ho nascosta in un angolo dell'armadio. Immaginavo spesso che averla addosso equivaleva ad un tuo abbraccio, ma al momento di toglierla... la tristezza subito dopo quel torpore, come definirla?
Mi manca il coraggio, ma voglio che tu sappia, che tu legga ogni mia parola.
Quando riuscirò a confessarti quanto ti amo e a darti queste lettere, ti prometto che smetterò di fumare. Ti prometto che smetterò di essere triste, ti prometto che dormirò e mangerò come si deve, ti prometto che supererò la depressione.
Ti prometto che mi iscriverò all'università, ti prometto che diventerò un professore bravo quanto te, ti prometto che tornerò a suonare su un palco, ti prometto che l'anonimo scomparirà insieme ad Eren.
Ti prometto anche che, se tu non mi amerai, andrò avanti con la mia vita, e lascerò andare la tua.
Ma per ora, lascia che io ti ami in silenzio. Non farò rumore, te lo prometto.
Perché anche se solo così, in questo orrendo, sporco mondo... sono felice di averti conosciuto.

Per sempre tuo,
Eren".

Al castano sembrò quasi di aver smesso di respirare, per tutto il tempo. Levi, mentre leggeva, gli lanciava qualche occhiata, nel tentativo di decifrare la sua reazione; inaspettatamente, però, Eren sorrideva, nonostante - dentro di sé - avrebbe solamente voluto scappare. Non si vergognava di ciò che aveva scritto: ricordava molto bene le sensazioni provate in quegli anni, la solitudine, l'incapacità di trovare un valido motivo per alzarsi dal letto ogni mattina. Il senso di colpa lo divorava dall'interno, scartavetrando il suo spirito, lasciandolo agonizzante su una lastra di sottilissimo ghiaccio, oltre la quale esisteva solo il freddo, la morte. L'apatia provata tra la gente, il trattenere i propri pensieri, il cercare disperatamente una soluzione che sembrava non arrivare mai. Non aveva una guida o un punto di riferimento, qualcuno da cui imparare cosa fosse giusto e cosa sbagliato, eppure aveva tentato di restare sulla via indicatagli dalla madre, Carla, che se n'era andata col dolore, più dell'incidente, del non poter crescere Eren. Lei e Grisha l'avevano tanto desiderato: avevano provato per anni ad avere un bambino. E all'improvviso, una volta perse le speranze, sul punto di ricorrere all'aiuto di un medico, il piccolo Jaeger era arrivato, rendendola mamma.
Aveva scoperto di essere incinta in un giorno di inconsueta pioggia d'inizio estate; Carla gli aveva raccontato di aver festeggiato con una delle sue famose torte, e che Grisha ne aveva mangiata così tanta da arrivare a star male.
Non se l'era mai immaginato così, suo padre: come poteva essere tanto felice per la sua nascita? Davvero l'aveva aspettato tanto? E allora perché Eren lo aveva deluso?
«Amore, sai cosa significa questo, vero?», disse all'improvviso Levi, riportandolo alla realtà prima che il più piccolo potesse venire inghiottito dai suoi stessi pensieri, «Hai promesso di smettere di fumare. Così casa nostra smetterà di puzzare come un pub di spacciatori messicani. Mantieni le promesse fatte. Tutte, moccioso».
Lo Jaeger si portò una mano alle tempie, massaggiandole leggermente; perché diavolo aveva scritto una cosa del genere? Andava bene tutto, ma perché doveva proprio rinunciare all'unica cosa in grado di calmarlo, farlo sentire... presente?
«"Casa nostra"... mi piace», sussurrò il ragazzo, sorridendo, mentre una strana sensazione si espandeva per tutto il suo corpo, partendo dal costato fino ad arrivare alle mani, improvvisamente più calde. Si sentì amato; la forza di quei sentimenti fu talmente limpida da arrivare, come la pallottola di un veterano, dritta al cuore di Levi, che aveva pronunciato quelle parole senza nemmeno pensarci.
Il maggiore lasciò cadere le lettere, che teneva strette tra le mani, sul divano, per avvicinarsi e abbracciare il fidanzato. Gli scoccò un bacio nell'incavo del collo, per poi risalire fino ad appoggiare il mento sul suo capo, in modo tale che Eren potesse essere completamente avvolto dalle sue braccia.
«Hai fatto abbastanza, amore. Devi essere esausto, vero?»
Ad Eren si riempirono gli occhi di lacrime: Levi aveva appena risposto ad uno degli interrogativi scritti nelle lettere con tanta dolcezza da riuscire quasi a vedere quanto tempo aveva perso nella paura, nella convinzione che nessuno avrebbe mai potuto amarlo. 
«Avrei dovuto starti accanto. In quei momenti, avrei dovuto stringerti. Magari non saresti mai stato tanto male, se me ne fossi accorto. Pensare che eri ancora così piccolo... che sei sempre stato solo, ed io non ho mai sospettato nulla... e, ancora peggio, che tu abbia pensato che ti ho dimenticato. Non è così, credimi», fece in fretta a spiegarsi il maggiore, ansioso di rivelare la verità, «Conoscendomi, come mai avrei potuto non leggere il tuo cognome, il primo giorno di scuola? Ti avevo omesso volutamente, per punzecchiarti. Ogni rimprovero, ogni battutina... era tutto fatto per infastidirti. Non avrei mai potuto dimenticarti nemmeno volendo, odioso come sei, sempre pronto a farmi ingelosire con i succhiotti nel collo fatti in discoteca, con quel merdoso di Kenzo, di cui nemmeno vorrei ricordare il nome».
Eren arrossì leggermente: in effetti, nonostante tutto, aveva vissuto cinque anni di scuola abbastanza movimentati. Cercò invano di trattenere le risate, mentre Levi aumentava la forza della stretta, deciso a toglierlo di mezzo una volta per tutte.
«Stai giocando con la mia pazienza, 'Ren», lo canzonò il maggiore, consapevole del fatto che non sarebbe riuscito a mantenere ancora per molto la sua solita espressione seria.
Lo Jaeger si sbracciò per liberarsi, afferrando il capo del corvino per baciargli le labbra. Bastarono pochi secondi alle loro lingue per incontrarsi, sfiorarsi lentamente, scaldare i loro cuori. Fu a quel punto che il ragazzo non riuscì più a trattenersi: con le guance arrossate e le mani tremanti fra i capelli del professore, lasciò infine sgorgare le lacrime. Era stanco di piangere, di nascondere la sua situazione ad un mondo che non voleva nemmeno sapere. Pensava di essere finalmente felice, ma solo in quel momento capì che la strada da percorrere per esserlo davvero era ancora molto lunga e tortuosa.
«Vieni qui, amore», lo invitò Levi a distendersi con lui sul divano, abbracciandolo, «Ti amo così tanto».
Eppure, da quel momento in poi non l'avrebbe più affrontata da solo. Stringeva per mano il suo fidanzato, l'uomo capace di farlo sentire protetto, spensierato, le cui mani l'avevano sfiorato sempre e solo con delicatezza e passione, per amarlo e mai per ferirlo.
«Ti amo anche io», sussurrò dolcemente Eren, cullato tra le braccia del maggiore, ricordandosi di quando, la notte di Natale, avevano dormito insieme nella stessa - identica - posizione.

«Hai paura?»
Eren si voltò di scatto verso il maggiore, stupito da quella domanda. Il corvino a quel punto gli si avvicinò, prendendolo per mano, tentando di calmare il suo cuore impazzito.
«Potrei iniziare ad averne se non la smetti di fissarmi in quel modo, amore», scherzò il ragazzo, intrecciando le dita con le sue, sorridendo allegramente.
Levi sorrise appena, tentando di nascondere l'ansia; come poteva quel ragazzo mostrarsi tanto disinvolto all'esibizione della finale del concorso violinistico?
«Sei proprio un moccioso», rispose a quel punto, accarezzandogli il capo con la mano libera, mentre il suo fidanzato arrossiva teneramente.
«Un bacio prima dell'esibizione?»
Eren era carico, ma al tempo stesso nervoso per l'attesa infinita; sarebbe stato l'undicesimo ad esibirsi, ovvero il penultimo, una delle posizioni più svantaggiate della competizione: la giuria e il pubblico, rimasti lì per tutto il giorno, erano sicuramente esausti. Attirare la loro attenzione non sarebbe affatto stato facile, così come il non essere continuamente paragonato ai precedenti concorrenti in tutto e per tutto.
Ma, mentre premeva le sue labbra su quelle del corvino, tutta la preoccupazione che stava abilmente nascondendo dentro di sé gli sembrò scemare velocemente; sapeva bene che, nonostante tutto, al suo ritorno avrebbe potuto festeggiare o - al contrario - piangere con Levi. Per questo motivo non aveva paura: qualunque sarebbe stato il risultato, qualsiasi la sua posizione in classifica... quell'avventura sarebbe diventata un altro prezioso ricordo vissuto con l'Ackerman.
«Signor Jaeger, si prepari: fra pochi minuti tocca a lei», richiamò la sua attenzione un tecnico, per poi allontanarsi in tutta fretta.
«Goditi lo spettacolo, amore», sorrise il ragazzo, facendogli l'occhiolino, «Ma non illuderti: la prossima volta ci sarai tu con me su questo palco! È una promessa!», disse infine, poco prima di correre via dall'imbarazzo, lasciandosi dietro un Levi Ackerman rimasto a bocca aperta e completamente rosso in viso.

«Il prossimo e penultimo concorrente è il signor Eren Jaeger, da WallMaria, numero 26. Suonerà sullo Yamaha il suo programma "Se solo tu mi amassi", composto dal Violin Concerto in D major di Brahms. Eren Jaeger, da WallMaria!»

I Movimento: Allegro non troppo
Eren non suonava con così tante persone da anni; mentre saliva sul palco, accompagnato dal direttore d'orchestra, il pubblico prese ad applaudire, mentre gli altri musicisti si alzavano in piedi in segno di rispetto. Entrambi si inchinarono verso il pubblico, sorridenti; si scambiarono un cenno d'intesa e così, mentre tutti riprendevano il proprio posto - tornando a mischiarsi nella massa -, solo Eren, posizionato leggermente più avanti rispetto al direttore, spiccava fra tutti.
I ribelli capelli castani erano stati domati dopo ore di tentativi, lo smoking nero e il papillon sembravano volerlo soffocare, eppure rivolgeva un dolce sorriso al pubblico e ai giudici, lasciando che scrutassero, attraverso i suoi cristallini occhi di giada, la sincerità della sua musica. Non aveva bisogno di forzare la mano, di stringere i denti o di disperarsi per produrre musica impossibile da dimenticare: sapeva che, finché avrebbe avuto la forza di imporre la propria passione, il proprio amore verso tutto ciò che custodiva amorevolmente nella sua vita, mai nessuno avrebbe potuto macchiare le melodie prodotte dal suo violino.
Mentre l'orchestra lo precedeva, Eren attendeva, impazientemente, di poter suonare. Si godeva lo splendido lavoro svolto dai suoi colleghi musicisti, chiuse appena gli occhi per assaporare quel momento. Sembrava un nido, no, un intero cielo di rondini, che si disperdevano nel mondo alla ricerca della loro compagna; il direttore li guidava abilmente, ed Eren fu grato di essere accompagnato da professionisti del loro calibro. Non poteva deluderli, non dopo aver sentito quanto si stessero impegnando; non poteva ignorare gli sguardi speranzosi di tutte le persone che credevano in lui: Levi, Armin, Jean, Mirio, Mina. Erano lì, lo osservavano sorridenti, in attesa del suo momento. Ma, più fra tutti, per la prima volta in vita sua, non voleva deludere sé stesso.
Quando iniziò a suonare si sentì come se fosse appena rinato in un nuovo mondo. Sapeva che avrebbe dovuto, almeno in quell'occasione, guardare il maestro, ma non poté fare a meno di chiudere gli occhi e sentire la musica scorrergli dentro, stravolgergli le interiora, alleggerirgli il respiro. Le sue dita si muovevano senza controllo, il suo viso si contorceva in facce sicuramente esilaranti.
Ebbe giusto un attimo di pausa per riprendere fiato, guardare Levi, sorridere, per poi tuffarsi nuovamente in quella soave sinfonia.
Non era più solo su quel palco: tutti sembravano abbracciarlo con la loro passione, la sorpresa per quel violino tanto giovane quanto bruciante di talento.
Non ne era certo, ma sentì come se il direttore stesse cercando di dirgli qualcosa; lo guardava sottecchi, si scambiavano cenni d'intesa, ma l'espressione del maestro sembrava dire tutt'altro.
"Chi diavolo è questo ragazzo?"
In molti lo avevano detestato, da bambino; gli urlavano contro che avrebbero tanto voluto nascere anche loro con il cosiddetto "talento naturale", e che lui mai avrebbe capito quanto era dura fallire dopo tanti sforzi.
Ma Eren non aveva mai chiesto di ricevere quel talento. In verità, era sempre stata la sua maledizione: la perdita di Carla, la follia di Grisha. Non rispondeva mai, trattenendosi dall'urlare che in realtà lui si impegnava più di tutti, che loro non avrebbero mai potuto capire quanto era dura, invece, riuscire sempre. Convincersi di essere infallibile ma ricadere nel terrore di perdere tutto, di sopravvalutarsi, non riconoscersi più, farsi inghiottire dal lato oscuro che si celava dentro ogni strumento musicale.
La musica era sia calma che aggressiva, poteva salvare come distruggere, risanare ferite o avvelenarle ulteriormente. Quella finale, che tanto aveva temuto, svolta nella sala più grande della capitale, trasmessa in diretta televisiva e via internet, sarebbe riuscita a riscattarlo? Verso la fine del primo movimento calò il silenzio tra i musicisti: era il momento del suo assolo. Il direttore non gli toglieva gli occhi di dosso, così come l'intera orchestra: cosa stavano pensando?
"Mancano ancora venti minuti e già non ne posso più", "Che ore sono?", "Quella signora seduta in sesta fila si sta soffiando il naso da quando abbiamo iniziato".
Qualcuno stava pensando a lui? Sarebbe riuscito a raggiungere il cuore di qualcuno?
Non desiderava altro che fare qualcosa di spettacolare, diventare l'eroe anche solo di una persona, ricordarle che era importante, che presto anche lei sarebbe stata amata. Che, per quanto dolorosa fosse la consapevolezza di essere stati buttati via... lui sarebbe sempre tornato per salvarla con il suo violino.
Il primo movimento finì così: con l'intero pubblico che applaudiva, il direttore leggermente infastidito e i giudici, naturalmente, che tentavano di ristabilire l'ordine.
Un po' come il buttare un bicchiere d'acqua su un incendio. Inutile.
"Non potrebbero applaudire... siamo solo al primo movimento", pensò Eren, arrossendo, incapace di trattenere il suo enorme, splendido, sorriso.

II Movimento: Adagio
Tornato il silenzio, il clarinettista suonò le prime note del secondo movimento.
Levi, che guardava il fidanzato dalle prime file, non riuscì a staccargli gli occhi di dosso; per quanto lo amasse, fosse abituato a lui e alla sua presenza in casa, il suo violino... non smetteva mai di sorprenderlo. Muoveva le braccia con delicatezza, quasi avesse paura di ferirlo o, al contrario, venirne ferito. Sembrava come se avesse per le mani un coltello senza manico, un'arma a doppio taglio, da maneggiare con cura per evitare di morirne dissanguato.
Era palese che il ragazzo stesse soffrendo il caldo sotto quei riflettori, nonostante la sala fosse completamente climatizzata; Levi non riusciva nemmeno ad immaginare quanta tensione dovesse provare il fidanzato nel dover guidare, insieme al direttore, così tanti musicisti. Loro lo seguivano, dipendevano da lui e dalle sue note, e quel senso di responsabilità lo stava schiacciando. Eppure, nonostante tutto, appariva tranquillo: come gli aveva detto fino a trenta minuti prima, non aveva paura. Non temeva di cadere in errore, dimenticare le note, perdere la concentrazione, e l'Ackerman proprio non ne capiva il motivo: ne era sollevato, certo, ma continuava a porsi domande, a cercare di interpretare ogni suo gesto.
Continuando a guardarlo suonare, però, riuscì finalmente a darsi una risposta: Eren era nato per fare musica.

III Movimento: Allegro focoso, ma non troppo vivace
Dieci minuti. Il secondo ed il terzo movimento duravano solo dieci minuti l'uno, mentre il primo il doppio del tempo.
Perché per Brahms era tanto importante? Cosa voleva trasmettere, con quelle note?
Gli ultimi minuti furono i più movimentati dell'intero Concerto: la melodia era caotica, veloce, quasi epica, ma non aveva mai abbandonato quel sottofondo fiabesco, che Carla tanto amava.
"Mamma...", pensò Eren, incapace di tenere a freno i suoi ricordi.

«Mamma, qual è il tuo brano preferito? Lo imparerò per te, te lo prometto!»
«Mh... non credo di avere un solo preferito, a dir la verità. Ma se proprio vuoi un nome... Grisha, tesoro! Perché non fai sentire ad Eren una parte di tu-sai-cosa?»
«Ma certo, cara! Fammi solo... vado a prendere il violino!».

Scacciò dalla sua mente l'immagine di suo padre che suonava quello stesso brano, incupendo involontariamente l'atmosfera, facendo così preoccupare l'orchestra. Il direttore, al contrario, lo assecondò: normalmente non avrebbe mai permesso ad un musicista di uscire fuori dalle righe, di svincolarsi dalla sua direzione. Ma quel ragazzo sembrava ad ogni nota come implorargli di continuare, di lasciarlo camminare con le sue gambe, permettergli di urlare ciò che realmente provava.
"Eren Jaeger... facci ascoltare ciò che nascondi davvero dietro quel visetto d'angelo".

«Papà, me lo insegni?»

Eren non riusciva a distogliere l'attenzione da quei momenti; le sue dita sembrarono strappare le corde del violino, e l'archetto spezzarsi tra le sue mani.
A nessuno era concesso di scegliere la propria famiglia, tanto meno i propri genitori. Non era responsabile delle loro azioni, né si sentiva di aver ereditato la loro volontà; come potevano, allora, certi momenti essere ancora tanto vividi nei suoi ricordi? Doveva dirlo a Levi, doveva raccontargli la verità.

«Papà, da grande vorrei essere un musicista bravo quanto te».

Non riusciva a cacciarlo fuori dalla sua testa; i ricordi dello stupido affetto per quell'uomo che tanto disprezzava non smettevano di ricordargli quanto fosse debole a non aver ancora accettato il suo abbandono. Erano passati anni, perché non aveva ancora rimosso quelle immagini? Perché non aveva bruciato tutti gli album della famiglia Jaeger nemmeno in preda alla più rivoltante, pericolosa rabbia?

«Eren, tuo padre non te lo dice spesso... è un po' testardo, sai come sono fatti gli adulti! Noi ti amiamo così tanto... e lui è davvero fiero di te».

"Basta! Smettila, mamma!", pensò, sul punto di gridare dall'angoscia; riaprì gli occhi, incontrando lo sguardo di Levi. Gli bastò scorgerlo in mezzo all'oscurità della sala per tranquillizzarsi, respirando profondamente.
Il maggiore lo guardò con preoccupazione: era stata solo una sua impressione? Si voltò immediatamente verso Armin e Jean, ma nessuno dei due sembrava essersi accorto del suo repentino cambio d'umore.
Suonata l'ultima nota, Eren sollevò in modo teatrale l'archetto, respirando affannosamente. Voleva correre fra le braccia di Levi, ma prima doveva salutare e ringraziare di cuore tutti coloro che avevano reso possibile quell'esibizione: si avvicinò per stringere la mano del direttore, con il quale si inchinò nuovamente verso il pubblico, che non smise di applaudire per quasi dieci minuti, rallentando ulteriormente la scaletta delle esibizioni. Anche Eren iniziò applaudire, inchinandosi verso l'orchestra per nascondere le lacrime, e quel gesto tanto umile fece innamorare maggiormente gli spettatori.

«Eren! Sei stato fantastico!», si congratularono i suoi amici, mentre il corvino si avvicinò per accarezzargli il capo, sorridendogli.
«Tutto bene amore? Alla fine mi sei sembrato un po'...», chiese a quel punto Levi, facendo strabuzzare gli occhi al violinista.
«Solo un po' di tensione, amore, tranquillo... hai un po' d'acqua?», si giustificò a quel punto, lanciando un'occhiata più che eloquente ad Armin.
Quando il maggiore si allontanò per prendere da bere, i due amici si misero in disparte, lasciandosi dietro Jean, Mirio e Mina, che si accomodarono su un divanetto lontano dalla hall per chiacchierare.
«Ancora non gliel'hai detto, vero?», chiese con tono di rimprovero il biondo, capendo di aver colpito nel segno quando Eren tentennò nel rispondere, «So che è difficile per te, e che se non fosse accaduto per puro caso nemmeno io lo saprei, ma... è ormai da troppo tempo che ci rimugini su, avevi deciso di essere sincero, cosa succede?»
Eren si pentì immediatamente di aver intrapreso il discorso con Armin, indisponendosi sempre più ad ogni parola pronunciata dall'ex compagno di banco. Fissò con insistenza la moquette, cercò con lo sguardo una via di fuga, ma gli occhi azzurri di Armin non fecero altro che scrutarlo e seguirlo per tutto il tempo.
«Sono settimane, anzi, sono mesi che ci penso ogni giorno. Ogni volta che sono sul punto di raccontargli tutto non è mai il momento adatto — se ne esiste davvero uno...», spiegò il castano, stritolandosi le mani dall'ansia, «Mentre suonavo ho pensato: "stasera glielo dico", ma davvero voglio farlo oggi, dopo questa bella giornata? Che io vinca o che io perda festeggeremo comunque, per tirarmi su di morale o per la vittoria. Non posso, so di essere egoista, ma non posso».
I due ragazzi si riavvicinarono nuovamente al loro gruppo, giusto il tempo di vedere Levi tornare; anche l'esibizione dell'ultimo concorrente era finita, e la folla di giornalisti, parenti, amici ed emittenti televisive aveva popolato nuovamente la sala.
«Ci vorrà un po' prima che decidano», si lamentò Levi, porgendo una bottiglietta d'acqua al fidanzato, «Riposati un po' nel frattempo. Qua non ti vede nessuno».
Eren avrebbe tanto voluto dormire un po', o perlomeno riuscire a rilassarsi: la tensione, però, che gli avvolgeva il corpo era decisa a non svanire. Così gli sorrise amabilmente, appoggiando la testa sulla sua spalla e nascondendo le sue mani tremanti, ignorando gli sguardi pressanti del suo migliore amico, seduto accanto a Jean.

«Che cosa... che cosa hai fatto?!» urlò l'uomo, afferrandolo per il camice azzurrino dell'ospedale e strattonandolo con forza, «È una bugia, vero? Dimmi la verità, stanno mentendo, vero? Io ti crederò... anche se tu dovessi mentirmi... crederò a tutto ciò che mi dirai... quindi ti prego...»
Il bambino pianse disperato. Non riusciva a rispondere al padre, tanta era la foga del suo pianto, talmente angosciante da far tappare le orecchie, voltare e allontanare gli infermieri dal corridoio da cui proveniva quel lamento.
«Rispondimi! Di' qualcosa!»
Il piccolo aprì lentamente i suoi meravigliosi occhi verdi, annebbiati dalle lacrime, spenti dal rimorso. Se solo l'avesse saputo, se solo avesse potuto scorgere il futuro che lo attendeva, avrebbe di certo mentito a suo padre. Avrebbe inventato una storia diversa, lontana dalla realtà; sarebbe riuscito anche ad autoconvincersi che quella giornata non fosse mai avvenuta. Eppure, nonostante da quel giorno in poi visse per anni mentendo costantemente agli altri e a sé stesso, davanti al suo papà in lacrime, sperando in un abbraccio, non riuscì a far altro che dire la verità.
«Mi dispiace... è colpa mia... mi dispiace tanto, papà...»

Eren si svegliò di soprassalto, cercando di mettere a fuoco ciò che lo circondava; una volta ricordatosi dove si trovava, riprese a respirare regolarmente.
«Per quanto ho dormito?», chiese a quel punto, sistemandosi velocemente i capelli.
«Non molto... dieci, quindici minuti al massimo, amore», rispose Levi, distogliendo velocemente lo sguardo. Non avrebbe mai ammesso di averlo svegliato di proposito a causa dell'incubo che stava avendo, ma fu felice di vedere che il ragazzo si era ripreso velocemente. Sapeva che qualcosa non andava, che stava soffrendo, ma era anche consapevole del fatto che quello non fosse né il luogo né il momento adatto per affrontare qualcosa di tanto intimo.
"Sarà la stessa cosa che doveva dirmi tempo fa e che abbiamo continuato a rimandare? Sono terribile... non ho avuto tempo per ascoltarlo, e me lo sono fatto andare bene", pensò il corvino, sentendosi in colpa per aver mancato così tante volte nei confronti del ragazzo.
«Scusate per l'attesa. Annunceremo ora i risultati del round finale», iniziò il presidente della giuria, posto all'inizio della scalinata principale della sala, schiarendosi la voce dinnanzi al microfono. Eren si alzò di scatto, afferrando la custodia del violino dal pouf posto al lato del divanetto, per poi avvicinarsi in tutta fretta verso la folla appena creatasi.
Una volta che tutti i partecipanti, familiari, amici e giornalisti si raccolsero in semicerchio e calò il silenzio, l'uomo - sempre ed impeccabilmente elegante, con il suo completo color vinaccia - riprese a parlare.
«Inizieremo annunciando i premi individuali. Il premio del pubblico va a...»
L'elenco fu molto breve, ma talmente carico di tensione che - ad ogni nome pronunciato - anche gli esterni alla competizione fremevano dall'emozione.
«Premio Concerto: Eren Jaeger».
Il ragazzo rimase immobile, incredulo: sembrò non avere reazione per i primi istanti, finché le sue guance non si tinsero improvvisamente di rosso e si rintanò fra le braccia del suo amato, mentre i suoi amici si univano ai festeggiamenti, complimentandosi con lui e stringendolo forte.
Il presidente continuò a parlare ed elencare, ignorando volutamente la gioia del ragazzo, costringendosi a non sorridere. Aveva fatto di tutto per convincere i giudici a valutarlo in modo corretto e giusto, senza farsi condizionare dalla precedente carriera dello Jaeger. Nemmeno lui aveva dimenticato quanta speranza aveva riposto in quel bambino all'apparenza tanto anonimo, che improvvisamente aveva deciso di strappare e bruciare indegnamente il suo duro lavoro, nonché la credibilità di molti giudici, trovatisi ad aver premiato svariate volte qualcuno che, a quanto sembrava, la musica non l'amava davvero.
Eppure, guardarlo commuoversi tanto per un semplice premio, lo rincuorò; aveva fatto la scelta giusta nel riporre nuovamente la sua fiducia in lui.
Anche se cresciuto, ai suoi occhi era rimasto quel ragazzino capace di commuovere, di smuovere qualcosa nell'inconscio degli ascoltatori, degli intenditori della buona musica.
Il suo violino l'aveva accettato così com'era; era diventato abbastanza flessibile da permettergli di suonare le sue splendide interpretazioni di brani antichi, conosciuti, ma che riuscivano a toccare l'anima nonostante fossero già stati sentiti centinaia di volte.
Era assolutamente convinto che, finalmente, Eren Jaeger non si sarebbe perso, che avrebbe sempre, e per sempre, ritrovato la via di casa.
«Ora annunceremo le menzioni speciali, per i sei finalisti che non hanno vinto premi».
Eren tornò improvvisamente serio: nessuno, in quel momento, voleva essere chiamato. Sentire il suo nome avrebbe portato alla fine della giornata, ad una sorta di perdita.
Oltre alla sconfitta nella competizione, il castano era certo che avrebbe perso anche altro, sulla via del ritorno: prima fra tutte, la fiducia. Anche se non sapeva ancora verso chi, con esattezza, se non per sé stesso; non sapeva più cosa pensare, e la promessa di non soffrirne - che si era fatto qualche ora prima - sembrò non contare più nulla.
Voleva vincere. Tutti, in quella sala, volevano.
Ma il suo desiderio fu talmente profondo da costringerlo a pensare ad altro per distrarsi: un normale pomeriggio di studio, il tè nero pregiato che Levi gli aveva concesso di assaggiare, l'ultimo cheeseburger che aveva mangiato in compagnia di Armin e Jean.
Levi, intuendo la sua preoccupazione, gli strinse la mano, rivolgendogli un piccolo sorriso; notò con gioia come le loro dita si intrecciarono all'unisono, quasi in automatico.
«Stammi vicino».
Il maggiore rimase, come sempre, stupito dalla sincerità, dalla trasparenza delle emozioni di Eren. L'attesa era per loro diventata un'agonia, lo era sempre stata: il conto alla rovescia per il suo diciottesimo compleanno, la fine della scuola, la finale del concorso e anche per parlare dell'ultimo, e più personale, segreto che lo Jaeger celava dentro di sé.
«Annunceremo ora i vincitori: sesto posto...»
Eren tirò un sospiro di sollievo, voltandosi per sorridere ai suoi amici; la consapevolezza di essere tra i primi cinque non lo svuotò dall'ansia come sperava, ma di certo gli portò non poca soddisfazione.
«Eren, sei tra i primi tre!», lo risvegliò Jean dai suoi pensieri, schiaffeggiando poi una delle mani di Armin, sorpreso a mangiarsi le unghie dal fidanzato.
«Non sopporto più questa tensione!», sbottò infine il biondo, che sembrava il più agitato di tutti, nel gruppo.
I due fratelli, Mina e Mirio, erano stranamente tranquilli: sorridevano di continuo, sussurrandosi frasi veloci all'orecchio, probabilmente fin troppo certi della vittoria dell'amico.
Dopo aver stretto ulteriormente la mano a Levi, Eren tornò a concentrarsi sulla classifica: il presidente stava temporeggiando, nel tentativo di creare suspence, nel pronunciare il nome del secondo classificato; per questo motivo lo sguardo del castano vagò ancora per la sala, notando - per la prima volta, in tutta la competizione - un ragazzo a lui molto familiare. Strizzò gli occhi per metterlo meglio a fuoco, attirando così l'attenzione del maggiore, che si concentrò a fissare lo stesso punto del fidanzato.
«Amore, quello è...?», lasciò sospesa la frase lo Jaeger, indicando la figura sospetta qualche fila più avanti.
Levi rimase in silenzio qualche secondo, prima di portarsi una mano davanti alla bocca per nascondere il ghigno divertito che gli era spuntato sul viso.
«Non hai nemmeno guardato la lista dei concorrenti? Davvero, amore? Ma quanta fiducia hai in te stesso?», rise a quel punto il corvino, incapace di trattenersi oltre.
«Secondo posto: Kenzo Ishikawa».
Quella frase, per Eren, significò molte cose: aveva battuto Kenzo, ignorando perfino la sua esistenza, spezzandogli il cuore per l'ennesima volta. Come poteva non averlo notato, non aver letto il suo nome nella lista dei partecipanti, nell'annuncio dei vincitori delle precedenti fasi del concorso? Avevano suonato in giorni diversi?
L'aveva davvero ferito in modo così plateale tipico, più che di un eroe, di un crudele super-cattivo?
«Il vincitore è dunque Eren Jaeger!»
Mentre veniva stretto in un abbraccio dai suoi amici e dalla persona che amava, Eren scoppiò a piangere. Si era dimenticato di aver appena vinto, di essere arrivato al primo posto; strinse più forte la stretta sul manico della custodia del violino, implorando il perdono. Al suo egoismo non aveva mai messo la parola fine, incapace di pensare a qualcun altro che non fosse sé stesso.
Era cresciuto così, quindi? Era quello l'Eren adulto, cresciuto, pronto ad entrare nella società, che Carla aveva sperato di vedere? Non era un miserabile come tanti altri, vero?
Incapace di interrompere il pianto, che tutti videro come un atto di commozione, Eren appoggiò la fronte sulla spalla di Levi, sperando di scomparirci dentro. Farsi avviluppare dalle sue ali e volare via, sparire dalle mappe. Scappare, ancora.
«Per quanto ancora ha intenzione di piangere il vincitore? Forza, tirati su, tra poco ci sarà la cerimonia di premiazione! E naturalmente congratulazioni, 'Ren!»
Fu la voce di Kenzo, la causa del suo dolore, a risvegliarlo; sembrava non essere arrabbiato, ma sinceramente emozionato, felice per lui. Nonostante fosse stato lasciato, sostituito, usato e poi ancora dimenticato, non aveva smesso di guardarlo con quei suoi occhi dolci, pronto a perdonarlo un'altra volta.
Ciò che stupì i giornalisti, intenti a fare foto, non fu tanto l'amicizia che legava i due più talentosi violinisti della loro età, quanto il profondo inchino di rispetto che Eren, il vincitore, stava facendo in direzione del suo rivale.
Qualche lacrima continuò a scendergli lungo il naso fino a toccare terra, ma Eren fu veloce nell'asciugarsi il viso. Non poteva essere da meno, doveva diventare un uomo migliore. Era ciò che si era ripromesso per rimanere al fianco di Levi, ma anche per essere felice, indipendentemente da cosa la vita avesse in serbo per lui.
Kenzo, stupito, rimase interdetto per qualche secondo: fu a quel punto che Eren tornò a guardarlo negli occhi, finito di inchinarsi, e gli porse la mano, sperando che l'amico la stringesse.
«Impegniamoci ancora di più la prossima volta, Kenzo!», disse infine, con voce rotta dal pianto.
La paura che le sue scuse potessero venire rifiutate lo fecero tremare più della finale del concorso, che quasi sembrava essere diventato un ricordo lontano.
«La prossima volta ti batterò, stanne certo, 'Ren!»

«Amore! Amore, guarda!», lo chiamò Eren, emozionato, una volta rientrato a casa, «Hanno messo la mia foto nel giornale!»
Levi sospirò, divertito dal comportamento infantile del fidanzato: aveva vinto il concorso violinistico internazionale, che si aspettava? Di essere gettato nel dimenticatoio dopo nemmeno un giorno?
«Sono stati veloci a scrivere l'articolo», constatò il maggiore, soddisfatto, «Hai battuto persone che venivano da tutto il mondo, arrivate in aereo, nave, treno... e tu con due orette di macchina, andata e ritorno, fino alla capitale, sei tornato a WallMaria da vincitore. Non male, Jaeger», scherzò un po' nel chiamarlo per cognome, baciandogli le labbra e aiutandolo a spogliarsi. Una volta senza maglia, iniziò a baciargli il petto, scendendo verso l'addome lasciandosi dietro una scia di languidi baci, slacciandogli lentamente la cintura.
«Hanno scelto la mia foto alla cerimonia di premiazione e quella dove stringo la mano a Kenzo, in lacrime», borbottò il ragazzo, sentendo i brividi percorrergli il corpo per le attenzioni del corvino, «Sono sempre così brutto mentre piango? Dovrei proprio smettere».
Levi, a quella domanda, gli morse il fianco, facendolo gemere dal dolore; poi, indignato da ciò che aveva sentito, si alzò, tornando in cucina a preparare il pranzo. Eren rimase lì, nel salone di casa, a sbraitare e cercare di nascondere la sporgenza nei pantaloni causata dall'Ackerman.
«E comunque non ero affatto eccitato! Ti credi onnipotente, ma io sto benissimo!», continuò a dire il castano, consapevole però che non sarebbe riuscito a convincere nemmeno sé stesso di quelle parole.
Mentre si rivestiva, completamente rosso in volto, ripensò alla cerimonia di premiazione: si fermò a guardare gli splendidi fiori ricevuti, sistemati in un vaso posto proprio di fronte all'entrata, e al meraviglioso cristallo a forma di violino che avevano destinato come premio al vincitore.
Ma più fra tutti, non poté fare a meno di pensare ad un piccolo particolare, che aveva nuovamente stravolto la serata del giorno precedente: durante la premiazione, il professor Erwin Smith, dal fondo della sala, gli aveva fatto un cenno con la mano.

«Guarda quanto sei cresciuto».
Il professor Smith era consapevole di non essere il benvenuto, soprattutto dopo aver notato il suo collega, Ackerman, tra le prime file. Ma voleva che Eren sapesse che era lì, che era stato lì per tutto il tempo, nascosto da occhi indiscreti, perché non voleva abbandonarlo: si era ripromesso che non l'avrebbe più fatto, per nessun motivo, ed aveva la ferma convinzione di voler tenere fede almeno a quella promessa.
Non aveva la possibilità di congratularsi con Eren, di abbracciarlo, di scusarsi ancora una volta; eppure il sorriso del suo allievo sembrò quasi bastargli.
In fin dei conti, era pur sempre il suo maestro.

«Amore, che ne dici di andare a trovare la professoressa Hanji, uno di questi giorni? Credo debba partorire a breve», propose il ragazzo, mentre si gustava uno dei deliziosi pranzi preparati da Levi. Era davvero bravo a cucinare come aveva immaginato da ragazzino...
«È nato la scorsa settimana, in realtà», lo corresse il maggiore, ignaro di aver quasi provocato il soffocamento del fidanzato.
«Cosa?! Perché non mi hai detto nulla? Chiamala, se è libera ci andiamo domani! Ah, e dobbiamo portarle il bavaglino che abbiamo comprato per il piccolo. Gli ho anche fatto ricamare il nome! Non farmelo dimenticare».
Eren si sentì immensamente commosso a quella notizia. Aveva seguito la gravidanza della sua insegnante fin dal primo momento, aspettando di vedere il fortunato che avrebbe avuto al suo fianco una madre tanto straordinaria, in grado di farsi adorare anche da un ragazzino solo, incapace di fidarsi degli altri. Tante, troppe volte aveva rivisto Carla nei movimenti gentili che Hanji riservava al suo crescente pancione, quasi come fosse stata la proiezione dei ricordi della sua nascita. L'emozione nello scoprire che era un maschietto, l'indecisione sul nome da dargli... Eren c'era, era stato presente in ognuno di quegl'importanti momenti, pronto a sostenere la sua professoressa preferita. Una donna talmente abile e persuasiva da essere riuscita a farlo sentire a casa, anche a scuola.
«Va bene, dopo la chiamo».
Mentre i due continuavano tranquillamente a mangiare, Eren non poté fare a meno di chiederei come fosse il marito della professoressa Hanji. In effetti, sapeva solo che era uno psicologo, da cui Zoe aveva preso in prestito tutte le frasi filosofiche e le perle di saggezza che gli aveva impartito negli anni. Sarebbe stato un padre dolce, disponibile e presente?
Lo sperava davvero; voleva il meglio per il piccolo, nel quale si identificava, rivedeva la sua nascita. Sperava però in un finale migliore, per lui, un percorso più sano ed equilibrato. Si fidava delle scelte di Hanji, dell'amore che provava verso suo marito.
Anche Carla aveva amato molto Grisha. Lo si notava subito dal tono dolce della sua voce, con cui pronunciava il suo nome, dalle attenzioni che gli rivolgeva, dalla preoccupazione che la scuoteva in sua assenza. Lo amava ancora, dal posto in cui si trovava? Era al corrente di tutto ciò che era successo, aveva osservato Eren dare tutto sé stesso per vincere, per lei?
Improvvisamente il castano si immobilizzò: la furia dei suoi pensieri, talmente annodati che, per uscirne, era certo che avrebbe dovuto combattere, l'aveva portato ad un pensiero capace di fargli tremare le mani, che si affrettò a nascondere sotto il tavolo.
«Amore...», mormorò, spezzando l'aria gioviale creatasi fino a pochi minuti prima, «Non è un male che io abbia vinto il concorso, vero?»
Quella domanda suonò strana alle orecchie dell'Ackerman, che non riuscì a distogliere lo sguardo dal viso preoccupato del ragazzo, divenuto improvvisamente pallido.
«Amore, ma che dici?», chiese Levi, preoccupato, incapace di seguire il filo logico dei pensieri del fidanzato, rimanendone incastrato.
«Non è un male, vero?», ripeté ancora, sollevando il viso per incontrare gli occhi di Levi, che sussultò nello scorgere la disperazione in quella domanda. Sembrava come se Eren si fosse appena scavato la fossa da solo, quasi come se avesse predetto un evento che sarebbe presto accaduto.
Lesse l'orrore, il terrore più puro dietro le sue iridi verdi, lo stesso che aveva scorto per un attimo in infermeria, quando aveva tentato di accarezzargli la testa, venendo malamente respinto.
«Amore, perché questa domanda? Stai tranquillo, ci sono io con te», lo confortò Levi, incapace di resistere oltre, alzandosi per abbracciarlo.
Gli sembrò quasi di stringere il vuoto. Lo Jaeger non rispondeva a nessuna delle sue parole, troppo preso a pensare, a trovare una via d'uscita da quel labirinto.
Una soluzione.
«Va tutto bene. Sei al sicuro, amore mio».
Ed Eren gli credeva. Si voltò, per permettere al maggiore di avvilupparlo completamente tra le sue forti, calde braccia. Lo amava in un modo che nessuna parola da lui pronunciata avrebbe mai potuto spiegare.
Ma avrebbe tanto voluto che quelle parole fossero vere.
«Sei al sicuro».


















🌸Angolo S e r e n a🌸
Buon pomeriggio ♡

Come state?
Spero stiate passando "bene" questa quarantena, anche se so che è molto dura. Io in realtà sto abbastanza bene devo dire, dato che solitamente per gli esami universitari perdo molto tempo a studiare: ormai non soffro nel rimanere a casa! 😂

La fine si avvicina, e la cosa mi sconvolge di capitolo in capitolo. Avete reso questa avventura talmente magica e speciale... non posso fare altro che ringraziarvi davvero di cuore, per tutto 💕

Direi che questo XX capitolo è stato ricco di eventi! Che ne pensate?
Eren era davvero un ragazzino Tumblr da piccolo, eh? AHAHAHAHAH Non immaginate da quanto tempo desideravo scrivere per intero quelle lettere! Aspettavo questo momento da mesi 🥰
E comunque questo capitolo è di 9211 parole... mi supero ogni volta 🤦🏻‍♀️😂

Grazie ancora per i commenti, le stelline, le letture... per tutto il supporto!
Al prossimo aggiornamento! (*'꒳'*)

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