Se solo tu mi amassi || Ereri...

By vivodinagato

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[IN REVISIONE dal primo capitolo in poi]. Eren Jaeger è uno studente della scuola Shiganshina, nella città di... More

Prologo
Capitolo I - Haiku e musica
Capitolo II - Levi... sei innamorato?
Capitolo III - Tempo
Capitolo IV - Neve
Capitolo V - La persona sbagliata
Capitolo VI - Senza di te
Capitolo VII - Te lo prometto
Capitolo VIII - A volte, va bene piangere
Capitolo IX - Il festival scolastico
Capitolo X - Eroe
Capitolo XI - Rimpianto o rimorso?
Capitolo XII - Ti amo
Capitolo XIII - Vivi
Capitolo XV - Fiorire
Capitolo XVI - Violino e pianoforte
Capitolo XVII - Lacrime di ghiaccio
Capitolo XVIII - Futuro
Capitolo XIX - Addio, arrivederci
Capitolo XX - Lettere di un Concerto
Capitolo XXI - Punizione
Capitolo XXII - Figlio
Epilogo

Capitolo XIV - Orgoglio

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By vivodinagato

Nel silenzio di quella casa i loro corpi si cercavano, tacevano grida silenziose, intrecciati come il soffio di fuochi danzanti.
Eren non riusciva a pensare ad altro che ai baci di Levi, famelici, bisognosi, che lo accarezzavano avidamente in tutto il corpo. Il corvino odorava di mancanza, solitudine, sensazioni che il ragazzo conosceva e aveva cercato in ogni modo di dimenticare. Sentì il cuore esplodere quando si rese conto di volersi fare carico della tristezza di quell'uomo, di volersi addentrare nuovamente in quello sporco sentimento, macchiarsi ancora le mani nel buio del rimpianto fino a vederle scomparire.
Cercò con i suoi occhi smeraldini quelli tempestosi di Levi che, in quel momento di lussuria, si erano miscelati al desiderio, creando sfumature nuove nel suo sguardo, che lo Jaeger si rese conto di non aver mai visto prima. Lo amava, lo amava da impazzire, tanto da fargli venire da piangere. Aveva aspettato così a lungo quel momento, solo per loro due, che esserci arrivato gli sembrò un crudele sogno premorte. Il castano affondò le mani nei capelli del professore, che non sembrava intenzionato ad interrompere la sua lenta tortura di baci e morsi: voleva marchiare il moccioso, far sapere al mondo, anche indirettamente, che era già impegnato.
Fino a quel momento Eren non aveva fatto altro che subire, in silenzio, le attenzioni del maggiore, accondiscendendo ad ogni sua richiesta; quando lo allontanò da sé, trattenendolo dai polsi e facendolo infuriare di conseguenza, riuscì finalmente a dare voce ai pensieri che l'avevano torturato per tanto tempo.
«Levi, io ti amo», disse, senza alcun imbarazzo, ignorando il piacere dovuto alla frizione delle loro erezioni che si scontrarono non appena il professore si sedette sul suo bacino, «Ti amo e non ho aspettato altro che te nella mia vita».
L'Ackerman lo fissò in silenzio, incapace di rispondere a quelle parole: avrebbe voluto urlargli il suo amore, strapparsi il cuore dal petto e mostrarglielo, se necessario. Ma dalle sue labbra non uscì alcun suono, trattenuto da una forza misteriosa che gli stringeva lo stomaco. Gli rivolse uno sguardo distrutto, implorante: si considerò pietoso, ma il sorriso che Eren gli rivolse bastò a riscaldargli il cuore.
Come aveva fatto a vivere senza di lui fino a quel momento?
Le loro storie erano talmente simili da sfiorarsi, ma al tempo stesso distanti, lontane dalla realtà di una vita insieme; eppure si trovava lì, letteralmente seduto sul ragazzo che amava, distesi sul divano grigio di casa sua. Quelle rette parallele, che il castano aveva scherzosamente nominato ad Hanji, si erano miracolosamente incrociate.
«So che non abbiamo mai fatto altro che litigare... e so che tu non sai nulla di me, del mio passato, ed io altrettanto di te, dei tuoi ricordi...», continuò a sussurrare, lasciando finalmente uscire le lacrime dagli angoli dei suoi occhi, senza però distogliere lo sguardo da quello del corvino, «ma voglio credere che sia possibile amarci... avere un futuro. Dimmi che posso ancora fare qualcosa e che tu puoi farla per me, dimmi che non è troppo tardi, che abbiamo ancora tutta la vita davanti».
Il pianto si fece più forte quando Eren si rese conto di ciò che aveva detto: un discorso del genere, probabilmente, avrebbe fatto scappare chiunque. Questo perché le persone hanno paura della stabilità: vogliono fare follie, essere amati ma non ricambiare, acclamare la loro tanto desiderata libertà fino a rimanere soli. Per l'ennesima volta sentì di aver sbagliato tutto, di aver perso. Non era mai stato la prima scelta di qualcuno, e la paura gli attanagliò lo stomaco, portandolo a peggiorare ancor di più le cose, singhiozzando rumorosamente.
«Sei proprio un moccioso...»
Nel momento in cui Eren posò lo sguardo, colmo di lacrime, sul viso di Levi, la morsa che gli teneva stretto il cuore sembrò allentarsi: il professore stava sorridendo.
Levi Ackerman lo stava guardando, completamente perso, devoto alla vista che gli era stata concessa: mosse la mano per accarezzare il petto del ragazzo, risalendo fino al suo viso, per poi sistemargli qualche ciocca di capelli che gli ricadeva sugli occhi.
Si avvicinò lentamente alle sue labbra, sfiorandole con le sue, arrossate dai baci che si erano scambiati fino a qualche minuto prima; le tastò con incredibile pazienza, godendosi quel casto bacio, ricolmo dei suoi sentimenti.
Non poteva esprimere a parole quanto il sapore di Eren lo facesse impazzire, di quanto avesse sognato la sua voce, aspettato il suo arrivo e pregato per la sua permanenza.
Da bambino esprimeva lo stesso desiderio ad ogni compleanno: voleva innamorarsi perdutamente, trovare un amore forte che gli facesse vivere un sogno dolcissimo, che lo riempisse, straripasse di quel senso di completezza. Sarebbe stata una vita che avrebbe protetto, a costo di sacrificare quelle passate e future; se l'anima trasmigrava veramente, a seguito della reincarnazione, lui sarebbe sempre tornato a cercare Eren. Ogni volta.
Aveva sperato tante, troppe volte nell'amore, ma si era sempre rivelato una delusione. Poi era arrivato quel ragazzo: quegli occhi, per quanto spenti e soffocanti, gli erano sembrati troppo puri per posarsi su una città come WallMaria, piena di falsità e distruzione. Li immaginava vicino all'oceano, posati su una spiaggia bianca, intenti a cercare conchiglie e regalare le più belle al figlio. Era grazie ad Eren che aveva iniziato a pensare a cose come la felicità, la famiglia, il futuro...
«...Eren», sussurrò dolcemente al suo orecchio, «solo tu...».
Non riuscì a dire nient'altro una volta dentro lo Jaeger, troppo concentrato al trattenersi dal venire. Quei sentimenti lo avevano portato al limite, così come il castano, che dopo qualche spinta venne, gemendo sommessamente.
Levi si svuotò subito dopo dentro di lui, senza però abbandonare il calore del suo corpo: voleva rimanerci ancora un po', sentirsi al sicuro tra le sue mani che non avevano fatto altro che artigliargli la schiena, graffiando via le sue paure, medicando il suo cuore ferito.
Eren, intanto, non aveva mai smesso di piangere mentre facevano l'amore.

«Buongiorno Eren!», lo salutò Armin, sedendosi al suo posto dopo aver scoccato un bacio a fior di labbra al suo ragazzo.
«B-buongiorno dannato che vuole morire!», balbettò Jean, senza attendere risposta, sedendosi immediatamente al suo posto.
Lo Jaeger li fissò divertito, ricambiando il saluto con un gesto della mano.
«Come lo hai convinto?», chiese al suo migliore amico, ridacchiando.
Erano passati un paio di giorni da quando Eren aveva nuovamente confessato al professore i suoi sentimenti; e, nonostante all'inizio pensasse di aver esagerato, si rese conto di quanto le cose fossero migliorate da quell'avvenimento.
«Ho i miei metodi», rispose vagamente l'Arlert, alludendo probabilmente a cose riguardanti Jean, il suo membro e il culo del biondo.
Si scrollò dalla mente quella tremenda immagine, sperando che il suo amico fosse rimasto lo stesso angelo privo di impurità di qualche mese prima.
La classe fu al completo in brevissimo tempo, riempiendo l'aria di futili chiacchiere e dilettevoli risa. Sasha e Connie, in particolare, sembravano oltremodo gasati per la seconda colazione che avrebbero gustato poche ore dopo.
«Buongiorno ragazzi, sono Keith Shadis, ed oggi sostituirò il professor Ackerman. Aprite i vostri libri ed iniziamo la lezione».
Tutti gli studenti si ammutolirono; i due amici, inizialmente, non fecero caso alle parole di quel burbero insegnante. Fu solo quando, alzando lo sguardo, non videro la faccia scazzata di Levi che ne elaborarono realmente il significato.
«Che è successo al professor Ackerman?», chiese Marco, anticipando Eren, come a sfamare la curiosità di tutta la classe in quanto suo rappresentante.
Levi non si era mai assentato da quando lo conoscevano, tanto era dedito e preciso nel suo lavoro, e la cosa preoccupò il castano più del dovuto.
In quei giorni non avevano fatto altro che telefonarsi, parlando fino a tarda notte dei loro sogni, passioni, desideri. Il maggiore non aveva mostrato segni di malessere, e la sua immensa capacità nel celare il suo stato d'animo stupì per l'ennesima volta lo Jaeger. Pensava di essere riuscito a scalfire la sua lorica, di aver intravisto - brancolando nel buio - i suoi stami, di aver goduto delle antere di quel fiore grezzo; la sua interiorità, che gli era stata crudelmente strappata via, era certo di non averla mai compresa del tutto. In tanti anni passati ad inseguirlo, non era mai riuscito a coglierlo: si era avvizzito con gli anni, lasciando estinguere il fuoco che, fin dalla sua nascita, gli divampava dentro. Eren si era abituato a proteggere quella fiamma; dopo suo padre, infatti, non aveva permesso a nessuno di avvicinarglisi. Eppure Levi non era stato tanto fortunato: si era prostrato all'amore, concedendosi agli altri come riparo; sembrava indifferente a tutto e tutti, un semplice involucro vuoto. Guardandolo, e guardandosi intorno, ci si ponevano le prime domande: "quell'uomo dallo sguardo di ghiaccio avrà mai un cuore? Tremerà mai dall'emozione, sudando dall'ansia, scosso dal trauma, imbarazzato dalla paura, vergognandosi dell'amore?"
Il castano era caduto in quel diabolico tranello, condizionato dalle apparenze. Un uomo tanto bello quanto sfuggente, forte, orgoglioso, che aveva riscoperto nel suo modo di narrarsi come un mare immenso. Non sapeva come altro descriverlo: bruciava di passione, fuoco in cui in molti si erano avvicinati per scaldarsi senza mai soffermarsi ad aizzarne le fiamme; uno specchio d'acqua immenso e incomprensibile, indecifrabile. Avrebbe potuto passare la vita a studiarlo, ma non sarebbe mai stato abbastanza per conoscerne tutte le sue sfaccettature: profondo in certi punti, superficiale in altri, capace di dare agli uomini il conforto di un genitore, ma anche di intimorirli come la più grande delle paure, nascosta perfino a loro stessi.
Levi era un enigma, e non sarebbe bastato amare il mare per essere degno di risolverlo.
«Mi hanno detto che tornerà tra qualche giorno, ha preso un permesso per malattia».
Eren si massaggiò le tempie, chiudendo gli occhi, infastidito: era stato escluso per l'ennesima volta dalla sua vita. Oltre ad essere arrabbiato con il maggiore per avergli tenuto nascosto il suo stato di salute, come poteva non essersi accorto di niente?
Era sempre stato attento a ciò che lo riguardava, per cui era stata forse la felicità del momento a renderlo cieco?
«Quando usciamo da qui lo distruggo», sussurrò il castano rivolto al biondo, stringendo i pugni dal nervosismo. Poteva sembrare un motivo stupido per infuriarsi, ma non agli occhi di Eren: lo aveva aspettato tanto da dimenticarsi perfino la sua vita precedente a Levi; il professore era stato l'unica speranza a cui si era sempre aggrappato. Non avrebbe mai potuto dimenticare la sensazione di non avere un posto nel mondo, non essere importante per nessuno, non valere niente, mentre il buco in pancia si faceva sempre più largo.
Lo aveva inseguito, allungando disperatamente le braccia nel tentativo di raggiungerlo. E dopo una corsa estenuante, dopo essere riuscito ad afferrargli la manica della giacca, Levi aveva semplicemente strattonato il braccio, tagliandolo nuovamente fuori.
Armin non osò fiatare; vedendo lo sguardo del suo migliore amico, pregò semplicemente per l'incolumità del professor Ackerman.

Levi non dormiva mai fino a tardi. In realtà era già tanto il fatto che dormisse, considerando l'insonnia che lo perseguitava da tutta la vita; quel giorno, però, si era concesso il lusso di strafare: si era svegliato a mezzogiorno passato, confuso, incapace di ricordare che giorno della settimana fosse. Accertatosi che era un lunedì come tanti, si preparò un tè, aggiungendo del miele; aveva sempre odiato e giudicato chi metteva latte, zucchero o qualsiasi altra cosa in quella calda e perfetta bevanda, ma decise di coccolarsi un po', concedendogli un tentativo.
«Che merda», sentenziò, incapace di farsi piacere quegli inutili supplementi.
Nonostante la febbre gli risucchiasse via costantemente le forze, decise ugualmente di dare una ripulita alla casa: rifece il letto, stese i panni, riordinò le stanze e lavò i piatti.
Più volte nel corso della "mattinata" si era chiesto cosa stesse facendo Eren: era arrabbiato per non essere stato avvisato della sua febbre, che andava avanti già da due giorni? O magari era triste, deluso, preoccupato?
Deciso a scrollarsi di dosso il pensiero di quegli occhi di giada, preparò tutto il necessario per farsi una doccia: non si sentiva molto bene, ma si convinse che - dopo essersi lavato - sarebbe tornato a letto, magari a finire di leggere il romanzo che aveva iniziato la notte prima.
Forse era stato l'amore a farlo ammalare: l'Ackerman non si era mai assentato da scuola, e aveva sempre svolto il suo lavoro minuziosamente. In procinto di spogliarsi, sentì suonare il campanello.
Sbuffando, annoiato e non curante della sua salute, andò ad aprire alla porta senza rivestirsi, a petto nudo. In fin dei conti chi l'avrebbe visto? Il postino?
Avrebbe tanto voluto ritrovarsi, aperta quella porta, il viso arrossato dalla rabbia di Eren. Sentirsi rimproverare, vederlo preoccupato, dormire tra le sue braccia.
Forse era davvero la febbre a fargli pensare certe sciocchezze: non voleva mostrarsi debole davanti a nessuno, ma... perché non poteva fare una piccola eccezione? Magari solo per lui?
Gli sarebbe piaciuto sperare ancora, sognare come un ragazzino innamorato; ma non ci riusciva. Ormai era diventato un uomo e, fin da bambino, suo zio gli aveva insegnato unicamente a sopravvivere. Aveva imparato a conoscere i sentimenti solo col tempo, per cause a lui ignote, a cui la vita lo aveva portato contro la sua stessa volontà.
Ma sarebbe stato la stessa persona se fosse cresciuto circondato dall'amore?
Felicità, tristezza, tatto, compassione, sensibilità, pietà... avrebbe riso di più, sarebbe stato spiritoso e sorridente, curioso, timido o estroverso. Si sarebbe posto domande del tipo: "se fossi nato un altro giorno dell'anno, quindi sotto un altro segno zodiacale, avrei avuto lo stesso carattere?". O magari non sarebbe cambiato nulla, nemmeno tra le delicate braccia di sua madre Kuchel. Avrebbe mantenuto i suoi occhi glaciali ed indifferenti; ma di certo non sarebbe diventato lui stesso il mostro che lo spaventava da bambino, evitando così di provare paura, ira, angoscia, malinconia, nostalgia per quella vita che non avrebbe mai potuto vivere.
Levi sapeva che, aperta quella porta, si sarebbe solo fatto del male nello scoprire la realtà celata dietro le sue fantasie. Non voleva nemmeno guardare dallo spioncino, tanta era la voglia di farsi investire dalla verità. Faceva male crescere, invecchiare, accorgersi che certi sogni vengono infranti.
Forse era troppo vecchio per Eren, forse doveva lasciarlo andare.
Sospirò, poggiando la fronte sull'uscio. Non aveva la forza di precipitare nella delusione per l'ennesima volta.
Se solo gli avesse detto la verità... se solo fosse stato sincero fin dall'inizio...
Ma ormai era troppo tardi; decise così di aprire.

«Levi», lo chiamò lo Jaeger, serio in volto, mentre le sue guance si imporporavano gradualmente alla vista del petto nudo del professore.
Il corvino perse un battito nel sentire pronunciare il suo nome in modo così gentile; trattenne l'impulso di chiudere nuovamente la porta, preso alla sprovvista e sorpreso da quella visita inaspettata.
«Che ci fai qui, Eren?»

«Entriamo, ti verrà un accidente! Vestiti!»
L'Ackerman lo fece accomodare. Incurante dei brividi di freddo che lo scuotevano, causati dalla febbre, si fermò ad osservarlo: la delicatezza con cui, nonostante la rabbia, si sfilava il cappotto... i suoi occhi colmi di parole non dette, in procinto di traboccare...

«Ho dovuto scavalcare il portoncino per entrare, spero che i tuoi vicini non mi scambino per un ladro... Come ti senti? Hai pranzato?»
Era davvero lì, accanto a lui?
Il cuore prese a galoppargli furiosamente nel petto, tanto che preferì accomodarsi a sedere; vagò con lo sguardo, accarezzando le sagome dei mobili, come se improvvisamente la loro forma e dimensione fossero diventate particolarmente interessanti. Continuava a ripetersi che quelle sensazioni erano dovute al suo stato fisico, ma in fondo sapeva la verità: era perdutamente innamorato. Iniziò ad inspirare dalla bocca, nell'attesa che la tachicardia scemasse.
Era così luminoso, brillava di luce... gli infuocava l'anima, l'aveva stregato. L'amore era un sortilegio pericoloso: voleva raggiungerlo, stargli vicino. Ma non avrebbe mai osato fondersi con lui, diventare un tutt'uno; non lo voleva intorbidire, rendere ispido e avaro d'amore. Non sarebbe mai riuscito ad essere come lui.
Servo del suo orgoglio.

«Perché non mi hai detto niente in questi giorni? Pensavo... io pensavo che...»
Levi non riusciva a parlare.
Non sapeva nemmeno cosa rispondere, cosa dirgli. Ringraziarlo non sarebbe mai stato abbastanza. Era consapevole che provare a vivere senza di lui gli sarebbe stato fatale; non erano diversi, e comprendere i sentimenti del ragazzo gli era possibile. Avrebbe accettato di farsi vomitare dentro tutta la sua tristezza inespressa, purché restassero insieme.
Lo guardava ma non riusciva a vederlo chiaramente: sentì stringersi un nodo all'altezza della gola e pizzicare gli occhi, colmi di lacrime. Distolse lo sguardo dal castano, e la cosa sembrò solo ferirlo di più.
Schiavo del suo orgoglio.

«Pensavo ti importasse di me, credevo di essere riuscito a capirti, finalmente...»
Non conosceva l'affetto. Kenny - suo zio - gli ripeteva sempre che, per essere davvero un uomo, non ci si doveva mostrare deboli, non si doveva piangere, si doveva essere forti, prepotenti, testardi, fieri e orgogliosi fino alla morte.
Tutto ciò era sbagliato: anche gli uomini potevano abbandonarsi al pianto, proprio come Levi aveva detto ad Eren tempo prima, su quello stesso divano. Ma ormai quel pensiero di sé stesso si era talmente radicato in lui da diventarne parte integrante, un parassita ipodermico difficile da debellare.
Prigioniero del suo orgoglio.

«Forse non sono la persona giusta?»
Avrebbe tanto voluto scusarsi con lui per non avere la forza di rivelargli i suoi veri sentimenti. Perché a quel punto della vita, era più difficile esprimersi che nascondersi, tanto era diventata un'abitudine.
Eren aveva la voce ridotta ad un sussurro, e non faceva altro che fissare la porta di casa. Forse voleva andarsene; Levi pregò che non lo facesse.
Vittima del suo orgoglio.

«Perché non mi rispondi?»
Il corvino fu tentato dal chiudere la faccenda velocemente, baciandolo e facendo l'amore. Ma non avrebbe avuto senso mentire ancora, procrastinare il problema senza però risolverlo; sarebbe stato più facile, meno doloroso. Ma rischiare di perderlo, ne valeva davvero la pena? Era stanco di fuggire, di girare in tondo.
Succube del suo orgoglio.

In mezzo a tutte quelle emozioni contrastanti, e posto di fronte ad una domanda che non poteva raggirare, Levi sospirò. Sentì la febbre peggiorare: la testa aveva preso a girargli vorticosamente, ed il suo stomaco si ribaltò come sulle montagne russe.
L'Ackerman si distese sul divano, devastato. Quel ragazzo era entrato nella sua vita per rovinarla, ne era certo.
«Ti porto in camera, starai solo peggio così».
Eren lo prese in braccio, facilitato dalla sua prestanza e forza fisica.
Levi, come fosse ubriaco, si accoccolò sul suo petto, godendosi il calore del suo corpo e ascoltando il battito del suo cuore, completamente impazzito. Più tardi avrebbe dato la colpa alla febbre, ma preferì non pensarci in quel momento.
Il castano, allora, non voleva rovinarlo: era lì per salvarlo. Voleva prendersi cura di lui, amare senza avere nulla in cambio, nonostante la sua vita fosse stata un inferno fino a quel momento. Si era presentato a casa sua ed era come l'aveva immaginato: arrabbiato, triste, preoccupato e deluso. Era dolce ed incredibilmente puro, nonostante dentro di sé nascondesse pensieri davvero orridi. Levi non era pronto ad essere amato, eppure Eren era lì, a stringerlo contro di sé per tutto il tragitto, per poi poggiarlo delicatamente tra le coperte con cui lo coprì subito dopo avergli infilato una maglia. Forse non era troppo tardi, forse avrebbe potuto davvero tornare a sognare l'amore come un ragazzino.
«Mi dispiace», sussurrò il professore, così piano da fargli dubitare di averlo detto davvero.
«Vado a prepararti qualcosa da mangiare, così puoi prendere qualche medicina a stomaco pieno».
Eren sorrise con tanto amore da infiammargli il cuore. Sembrava averlo capito e Levi, nonostante ciò che seppelliva quotidianamente dentro di sé, sicuro che non potesse più riemergere, iniziò a dubitare anche di questo. Quanto avrebbe resistito a quello sguardo supplicante?

«Ti senti meglio?», chiese il ragazzo, dopo che il più grande ebbe finito di mangiare.
L'Ackerman grugnì in risposta; sapeva di dovergli una spiegazione, e non vedeva l'ora di risolvere tutto per poter assaggiare nuovamente le sue labbra.
«Io non sto mai male», iniziò, nel tentativo di formulare un discorso sensato, «Così come non sono abituato a dire a qualcuno quando capita. Non volevo tenertelo nascosto, ma ho continuato ad omettere, finché ero arrivato il punto in cui si era trasformato in una bugia».
Eren non aveva distolto un attimo lo sguardo da lui: di certo non si aspettava una risposta così articolata dopo ore di totale silenzio, ma ugualmente non riuscì a sentirsi soddisfatto.
«Se continui a mentire non andremo da nessuna parte... mi hai detto che eravamo ancora in tempo quel giorno, mentre facevamo l'amore», balbettò lo Jaeger, arrossendo violentemente a quelle parole, «Sapevo che non sarebbe stato facile... ma non mi arrendo!».
Levi incastrò i suoi occhi, plumbei, in quelli pallidi del castano.
«Ho passato troppo tempo a guardarti di sfuggita, osservarti da lontano, desiderando di conoscerti realmente. Se questo sei tu, ti accetto così come sei, non devi mai cambiare per nessuno, né tantomeno per me. Ma ti prego, permettimi almeno di starti vicino, Levi, perché è quello che desidero da tutta la vita».
L'Ackerman attirò immediatamente il ragazzo a sé, disteso sul letto, avviluppandolo fra le sue braccia. Lo strinse con forza, incatenandolo a sé, per impedirgli di alzare il viso e vedere le lacrime che gli sgorgavano copiosamente dagli occhi, veloci, crudeli. Pianse in silenzio perché Eren era la cosa migliore che gli fosse capitata in quell'esistenza da quattro soldi, che non valeva niente, nemmeno la pena di essere vissuta.
«Ti amo», gli sussurrò, piazzandogli un bacio fra i capelli, sperando che non l'avesse sentito. La stretta del ragazzo si fece più forte, come se - al contrario di Levi - volesse unirsi con lui, cristallizzare quell'attimo e riviverlo in loop per l'eternità.
«Voglio un bacio», disse solamente, dopo svariati minuti.
«No, potrei contagiarti».
«Non importa, io non mi ammalo mai», insistette, sollevandosi a sedere. Si chiese cosa stesse pensando in quel momento, perché era tanto stravolto; magari un giorno l'avrebbe scoperto. Doveva solo continuare a scavare.
Le loro bocche si scontrarono in un leggero bacio, intimo contatto che era mancato profondamente ad entrambi.
Eren chiese l'accesso alla bocca del maggiore, che acconsentì subito, lasciando che le loro lingue danzassero, e che le loro labbra si parlassero in lingue a loro sconosciute.
Il castano si trattenne dall'approfondire maggiormente quel contatto, cercando di contenere l'eccitazione che cresceva sempre di più in lui. Il professore, fino a poche ore prima, si era accasciato sul divano, privo di forze; stava male, e lo avrebbe rispettato.
Si distese al suo fianco, invitandolo ad appoggiarsi sul suo petto. I ruoli si erano invertiti: in quel momento era Eren a consolare Levi, e non il contrario, come era spesso accaduto.
«Levi... so che ti senti arrivato alla fine, vecchio, stanco. Ma sei ancora così giovane... non farti chiudere il cuore dalle delusioni, non farti congelare da chi non ti ha dato calore...», biascicò nel sonno il castano, cullato dall'intenso tepore emanato dal corvino.
Il professore sentì una fitta così forte al petto da voler morire, farla finita. Come poteva dire certe cose un ragazzo di diciott'anni? Come poteva farlo sentire... importante?
Con queste domande per la testa, ed una consapevolezza nell'anima, anche l'Ackerman si abbandonò tra le braccia di Morfeo.

Nella mite mattina primaverile del giorno dopo, solo un raggio di sole aveva avuto il coraggio di arrivare fino all'aula della 3ª I, filtrato dalle tende beige - colore che gli studenti non apprezzavano particolarmente, ma sul quale la scuola era stata irremovibile -.
«Buongiorno ragazzi. Aprite il libro a pagina 262».
Dopo la febbre, il professor Ackerman era tornato subito a lavoro, ancor più severo e spietato di prima.
- Levi -, gli scrisse Eren, attirando la sua attenzione.
Il corvino interruppe la lezione, sorpreso: avrebbe visto Eren l'ora successiva, quindi... perché quel messaggio?
- Che è successo? Lo sai che sono in classe -
- Devo dirti una cosa... non arrabbiarti -
Levi sospirò, immaginando dove il ragazzo voleva andare a parare. Sapeva che sarebbe successo, ma ciò non lo fece arrabbiare, anzi: non vedeva l'ora di bere un lungo sorso dal bicchiere del "te l'avevo detto".
- Dimmelo e basta -
- Io... ho la febbre. Verresti a casa mia, dopo le lezioni? -
Al professore venne quasi da ridere, ma si trattenne dal farlo di fronte ai suoi studenti; aveva già pensato a come punire il ragazzo nel caso in cui si fosse presentata l'occasione perfetta.
- Certo, appena finisco qui passo da te. Ma non ti aspettare un singolo bacio, Jaeger. -
Soddisfatto della sua risposta, volontariamente scritta in tono formale, rivolse nuovamente l'attenzione alla sua classe. Avrebbe spiegato, rimproverato e interrogato come sempre; eppure, non riusciva a togliersi dalla testa la voglia di vedere il suo fidanzato.
- Professore, lei è proprio noioso. La aspetto! -
Perché stavano insieme a tutti gli effetti, vero?
- Mi manchi tanto, amore. -
Sì, davvero.

Mentre i suoi compagni assistevano, esausti, all'ennesima lezione di letteratura italiana, Eren si rigirava nel letto, completamente rosso in viso.
Aveva chiamato Levi "amore". L'aveva fatto sul serio, non poteva tornare indietro. Provò a cancellare il messaggio, ma senza successo. L'imbarazzo si impossessò di lui, facendolo avvampare, peggiorando così le sue condizioni fisiche.
Quando il suo cellulare prese a squillare, infatti, saltò in aria dallo spavento; si portò una mano al cuore e, dopo essersi assicurato che non fosse il professor Ackerman, accettò immediatamente la telefonata.
«Pronto?»
«Buongiorno Jaeger, sono la professoressa Hanji. So che non sei a scuola per motivi di salute, spero tu guarisca presto».
Il castano si stupì non solo di sentire la voce della sua professoressa di matematica al telefono, ma anche di sentirla parlare con lui in modo così formale, quasi studiato.
«La ringrazio, professoressa. A cosa devo questa chiamata?», si affrettò a chiedere, divorato dalla curiosità. Poteva essere solo una cosa...
«Riguardo al compito, ho buone notizie. Posso girarti per email il calendario con i giorni e gli orari in cui ricevo, così puoi venire a visionarlo».
Finalmente il più piccolo capì: Hanji voleva mandargli il file di cui avevano discusso, e forse non poteva dirglielo chiaramente?
«Va bene prof., le do la mia email».
Dopo averla ringraziata ed essersi salutati, Eren aspettò impazientemente il suono di una nuova notifica, che tardò ad arrivare. Aspettò una decina di minuti e, proprio quando stava per perdere le speranze, lesse il nome della sua insegnante tra le email.

"Ciao Eren,
Mi dispiace per la telefonata, ma sono a scuola e non potevo parlarne chiaramente... meglio evitare orecchie indiscrete! Si dice così? O era "da occhi indiscreti"?
Ma comunque! Per quanto riguarda quello che mi avevi chiesto, in allegato c'è un documento con gli appunti di mio marito. È uno psicologo, ma ha degli amici (avvocati, cose così) che ci hanno aiutato a stilare la lista.
Non preoccuparti, non lo sa nessuno a parte noi! Levi mi ha chiesto di aiutarti, e la cosa mi ha stupita particolarmente, quindi manterrò il segreto, anche se non ho ben capito la situazione. Voi due avete avuto la febbre praticamente in contemporanea... incredibile, vero?
In ogni caso non sforzarti troppo, e riprenditi! Mangia come si deve, bevi tanta acqua e prova ad immergere un panno nell'aceto e metterlo attorno alla caviglia, mi hanno detto che funziona alla grande!!
Ti auguro una pronta guarigione,
Prof.ssa Hanji Zoe"

Lo Jaeger sorrise: quella era la stramba professoressa che aveva imparato a conoscere e adorava, non quell'ancor più strana donna di ghiaccio con cui aveva parlato pochi minuti prima!
Senza attendere oltre aprì il documento, trovandosi davanti lo scanner di un foglio scritto a mano, con una lunga lista di appunti e idee.
Ebbe difficoltà ad interpretare la scrittura dell'uomo, molto simile a quella tipica dei medici. Che poi, come diavolo facevano i farmacisti a saperla decifrare? Quelle non erano lettere, ma caratteri cuneiformi, poligoni a forma di morte, geroglifici!
«"Un anno ai domiciliari e uno ai servizi sociali... è raro, quindi ci sarà stato uno sconto di pena. Le possibilità sono: rapina a mano armata senza vittime, furto con scasso, riciclaggio di denaro e... omicidio colposo per omissione di soccorso"».
Eren trattenne il fiato fino a sentirsi svenire.
Era stato... Erwin?




















🌸Angolo S e r e n a🌸
Eccoci ad un nuovo capitolo :3
Sì, sono molto lenta negli aggiornamenti, perdonatemi... purtroppo in questo periodo è come se non ne facessi una giusta, e da brava scrittrice egoista quale sono vi ho "appese", care lettrici (e lettori, se ce ne sono!) 😭😂

Prima di tutto: tantissimi auguri a CarolinaPiaCucci, che il 12/12 ha fatto il compleanno! 💕
Carolì, sei una ragazza sensibile, dolce, gentile, simpatica e spacca-culi; ti voglio un mondo di bene e, come ti ho ripetuto un miliardo di volte, ci sarò sempre per te ♡ Buona lettura ;3

Coooomunque! La storia va avanti, ed emergono anche i sentimenti più profondi di Levi: entrambi credono di non essere abbastanza per l'altro, e sono pronti a farsi consumare da quell'amore... mentre io sono pronta a leggere i vostri commenti! Spero davvero che il capitolo vi sia piaciuto, quello precedente mi aveva lasciato un non-so-ché di insoddisfazione a dirla tutta 🤔

Vi voglio un mondo di bene, grazie per tutto il supporto e per le dolci parole che spendete per me, per il mio modo di scrivere e per la mia storia.
Grazie infinite, al prossimo capitolo💕

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