Se solo tu mi amassi || Ereri...

By vivodinagato

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[IN REVISIONE dal primo capitolo in poi]. Eren Jaeger è uno studente della scuola Shiganshina, nella città di... More

Prologo
Capitolo I - Haiku e musica
Capitolo II - Levi... sei innamorato?
Capitolo III - Tempo
Capitolo IV - Neve
Capitolo V - La persona sbagliata
Capitolo VI - Senza di te
Capitolo VII - Te lo prometto
Capitolo VIII - A volte, va bene piangere
Capitolo IX - Il festival scolastico
Capitolo X - Eroe
Capitolo XII - Ti amo
Capitolo XIII - Vivi
Capitolo XIV - Orgoglio
Capitolo XV - Fiorire
Capitolo XVI - Violino e pianoforte
Capitolo XVII - Lacrime di ghiaccio
Capitolo XVIII - Futuro
Capitolo XIX - Addio, arrivederci
Capitolo XX - Lettere di un Concerto
Capitolo XXI - Punizione
Capitolo XXII - Figlio
Epilogo

Capitolo XI - Rimpianto o rimorso?

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By vivodinagato

«Eren», mormorò il biondo, sedendosi per terra, privo di forze, «devi smetterla di salvare chiunque, o un giorno di questi ti farai davvero male».
Il castano era stato trascinato contro la sua volontà sul tetto della scuola, costretto a raccontare ad Armin come si era realmente svolta la rissa. Il suo migliore amico, infatti, non aveva creduto a quella storia piena di omissioni, ma comprendeva perché avesse deciso di mentire.
«Vuoi dirmi che tu non ti saresti fermato ad aiutarla?», chiese a quel punto lo Jaeger, leggermente spazientito.
«Certo che l'avrei fatto», continuò, sbuffando.
Ed era vero. Armin non avrebbe mai ignorato qualcuno in difficoltà, neanche se la situazione - come in quel caso - fosse stata pericolosa. Non poteva criticare Eren ma, al tempo stesso, non riusciva a smettere di preoccuparsi per lui.
Lo Jaeger era tutto ciò che lui non era mai riuscito ad essere: forte, coraggioso, divertente, attraente. Lo invidiava sia dal punto di vista fisico, che caratteriale.
Eppure non si era mai permesso di rivelare i suoi pensieri ad alta voce, conoscendo la situazione dell'amico: chi mai avrebbe potuto invidiare un padre violento? O una vita passata in completa solitudine?
A volte, doveva ammetterlo, lo odiava. Ma non in senso negativo, non lo detestava realmente: odiava solo quanto Eren fosse semplicemente 'più' di lui, in tutto, nonostante Armin vivesse una vita decisamente più serena e tranquilla, accerchiato dall'amore della sua famiglia.
Il castano, invece, era come una macchia d'inchiostro su un foglio bianco: l'anima tormentata, ormai corrotta per sempre, nera come il catrame, su uno sfondo a tinta unita. Bianco, puro, innocente, tutte caratteristiche che, ormai, Eren non possedeva più da molto tempo. Ma allora perché sembravano miscelarsi tanto bene?
Armin si sentì la testa leggera, come quando da bambini si urla a pieni polmoni sulle montagne russe. La mente gli si affollò di domande, tanto da provocargli un capogiro.
Perché il castano vagava in quell'oscurità da solo? Perché non lo rendeva partecipe, perché sentiva di non poterlo raggiungere, perché Eren credeva di essere solo al mondo, quando al suo fianco c'era sempre stato lui?
L'Arlert si tenne al corrimano delle scale, in procinto di cadere, colpito dall'intensità e dal peso di quelle domande che non avrebbero mai ottenuto risposta.
"Avrei tanto voluto innamorarmi di te".
Si erano ripetuti quella frase tante di quelle volte da averne perso il conto; eppure, pensava Armin mentre rientrava in classe ed afferrava l'ennesima poesia sul suo banco, era stato meglio così. Altrimenti, avrebbe passato la vita ad inseguirlo.
A cercare di afferrare il fumo.

«"Per il mio cuore" di Pablo Neruda:
Per il mio cuore basta il tuo petto,
per la tua libertà bastano le mie ali.
Dalla mia bocca arriverà fino in cielo
ciò che stava sopito sulla tua anima.
È in te l'illusione di ogni giorno.
Giungi come la rugiada sulle corolle.
Scavi l'orizzonte con la tua assenza.
Eternamente in fuga come l'onda.
Ho detto che cantavi nel vento
come i pini e come gli alberi maestri delle navi.
Come quelli sei alta e taciturna.
E di colpo ti rattristi, come un viaggio.
Accogliente come una vecchia strada.
Ti popolano echi e voci nostalgiche.
Io mi sono svegliato e a volte migrano e fuggono
gli uccelli che dormivano nella tua anima».

Eren ascoltò in silenzio la lettura dell'amico. Da quando Hana aveva confermato i suoi sospetti, non riusciva a pensare ad altro che al ragazzo dal viso equino.
Davvero meritava Armin? Meritava di essere felice insieme a lui, di godersi le sue carezze ed attenzioni?
«Armin, ci vediamo di nuovo sul tetto alla fine delle lezioni? Devo dirti una cosa davvero importante».
Ma in fondo, chi era lui per giudicare?

«Ragazzi, iniziate a studiare fin da adesso per le simulazioni del prossimo mese. È per voi, il vostro futuro e- l'ora è finita, posso smettere di fingere che mi interessi qualcosa della vostra istruzione», disse il professor Ackerman, iniziando a sistemare le sue cose, mentre i suoi studenti uscivano dall'aula, disperdendosi rapidamente.
«Ci vediamo lì, Eren», gli ricordò Armin, uscendo per ultimo dalla classe, lasciandoli soli.
Nessuno dei due osava proferire parola; entrambi erano tormentati da pensieri di diversa natura sull'altro, non potendo pretendere - o ricevere - risposte.
«Jaeger, non raggiungi i tuoi compagni?», chiese improvvisamente Levi, spezzando il silenzio creatosi nell'aula.
Il castano, completamente rosso in viso e preso alla sprovvista, iniziò a balbettare diverse scuse, per poi avviarsi verso la porta.
La sua attenzione, però, venne attirata da un tonfo alle sue spalle: il professore, infatti, nel tentativo di far entrare nuovamente tutti i libri nella valigetta, ne aveva fatti cadere alcuni, spargendoli sul pavimento.
«Ma che cazzo», lo sentì borbottare, trattenendosi dall'usare parole ancor meno piacevoli.
«La aiuto io», disse Eren, apprestandosi a raccoglierli.
Ciò che più sorprese il ragazzo, in quel momento, non fu il fatto di non essere stato ringraziato; non gli importava nemmeno del suo cuore, che batteva furiosamente nel petto, quasi come volesse schizzargli fuori. L'unica cosa a cui riusciva a pensare era la mano del professore che, mentre lui era inginocchiato per raccogliere i libri, era scesa fino ad toccargli le punte dei capelli, sfiorandogli dolcemente la nuca. Il ragazzo rimase immobile, mentre Levi continuava ad analizzare quella ciocca tra le dita, rigirandosela, tirandola leggermente.
Sembrava assorto nei suoi pensieri, come se fosse stato l'istinto a guidarlo in quell'azione suicida; un altro alunno, probabilmente, lo avrebbe già allontanato. Ma Eren covava dentro di sé un sentimento ormai troppo forte per essere sconfitto, di quelli che ti corrodono l'anima ma, al tempo stesso, la tengono unita, compatta, quasi come un collante. Era dal festival scolastico che non si sfioravano così, dato che - in infermeria - il più giovane lo aveva inizialmente scansato, provato dagli avvenimenti.
Deciso a non interrompere quel momento così intimo, il castano rimase in quella posizione, continuando a farsi torturare i capelli da quelle che sembravano mani delicate ma che, in fondo, erano probabilmente esperte e lussuriose.
Quasi come se avesse avvertito le sue intenzioni, Levi si risvegliò dai suoi pensieri, realizzando solo in quel momento ciò che stava facendo.
Ritirò velocemente la mano, come se si fosse scottato col fuoco, per poi posare i libri che il ragazzo gli stava porgendo.
«Ehm... grazie, Jaeger».
Si guardarono negli occhi, stupiti: nessuno dei due si sarebbe aspettato un ringraziamento del genere, nemmeno Levi stesso che, mentre usciva dall'aula - come se stesse fuggendo -, era arrossito leggermente.
«"Grazie, Jaeger", ma che cazzo mi è preso?», si chiese, canzonandosi, nel più completo imbarazzo. Non solo gli aveva toccato i capelli, quasi istintivamente, ma lo aveva anche ringraziato.
«Avrò la febbre», si disse, mettendo in moto l'auto, «se no non si spiega».

«Oi, stronzo! Ce ne hai messo di tempo a venire sul tett-», iniziò a sbraitare Jean, voltandosi, per poi lasciarsi morire le parole in bocca.
Chi si era presentato all'appuntamento infatti non era Eren, ma Armin, che era completamente arrossito nel sentirsi apostrofare con tanta aggressività.
«Armin, scusami, stavo aspettando quel ritardatario di Eren... tu che ci fai qui?»
Il biondo arrossì maggiormente, ormai nella più completa agitazione. Era arrabbiato, emozionato, spaventato: aveva capito le intenzioni dello Jaeger, ma di certo non approvava di essere ingannato così. Ma perché aveva organizzato quella messa in scena? Sapeva qualcosa a lui tenuta nascosta, o gli aveva semplicemente creato un'occasione?
«I-in realtà lo stavo cercando anch'io... se ne sarà dimenticato», mentì l'Arlert, mentre cercava di regolarizzare il battito del suo cuore.
«Quell'idiota... domani gliela faccio vedere io! Ci vediamo domani, Armin», sbuffò sonoramente Jean, incamminandosi verso la porta che lo avrebbe condotto verso le scale. Lontano da quel tetto, lontano da lui.
«Jean!», urlò improvvisamente il biondo, trattenendolo da un braccio e costringendolo a voltarsi verso di lui.
Non aveva idea del perché lo aveva fatto. Semplicemente, aveva bisogno di lui. Voleva intrecciare le sue dita con quelle del castano, accarezzare le sue imperfezioni, avvilupparlo fra le sue braccia, limare e arrotondare i suoi spigoli. Forse erano troppo diversi, forse non erano fatti l'uno per l'altra: ma magari, ritagliando da una parte all'altra i loro cuori, sarebbero riusciti a farli combaciare.
«Che c'è?»
Armin ripensò ad Eren. Doveva ammetterlo: quel ragazzo non era di certo un esempio da seguire, e considerava sé stesso inutile spazzatura. Ma non era così, non poteva esserlo. L'Arlert non avrebbe mai invidiato, adorato, detestato o cercato di eguagliare qualcuno del genere; l'Eren che conosceva lui era forte, determinato, testardo, affettuoso, profondo, gentile e - soprattutto - coraggioso.
Anche in quella stessa occasione si era rivelato tale: organizzare un incontro tra i due per permettergli di confessare i suoi sentimenti, chi mai l'avrebbe fatto?
Non poteva sprecare quell'occasione.
«Io...», iniziò, ma serrò le labbra subito dopo.
Armin era consapevole che le parole, almeno quel giorno, non sarebbero servite. E così, spinto dal coraggio donatogli dal suo migliore amico, afferrò per il colletto il ragazzo dal viso equino e avvicinò i loro visi, facendo scontrare avidamente le loro bocche.
Fu un bacio casto, leggero; le sue labbra erano screpolate e poco curate, ma deliziosamente piene e carnose. L'Arlert si frenò dall'assaggiarle con più intensità, nonostante quel misero contatto riuscì a farlo scivolare, lentamente, in uno stato di lucida pazzia.
«"T'amo senza sapere come, né quando, né da dove,
t'amo direttamente senza problemi né orgoglio:
così ti amo perché non so amare altrimenti
che così, in questo modo in cui non sono e non sei"...», iniziò a recitare Jean, senza distogliere lo sguardo dagli occhi azzurri di Armin.
La verità era che quel bacio lo aveva infastidito: avrebbe voluto fare lui il primo passo, confessare i suoi sentimenti per primo, rivelare la sua identità di anonimo al momento giusto. E quando non aveva visto Eren arrivare, aveva capito di essere stato scoperto; ma dopo essere annegato nel mare degli occhi innocenti di quel biondo, aveva improvvisamente avuto paura. Di essere rifiutato, allontanato, addirittura odiato: voleva andare via in fretta perché non riusciva a fare altro che scappare, anche dalla felicità stessa. Era troppo codardo, troppo poco coraggioso, per amare.
«..."così vicino che la tua mano sul mio petto è mia,
così vicino che si chiudono i tuoi occhi col mio sonno."», completò Armin, scoprendo così il mittente di quelle meravigliose poesie.
E quando le loro labbra si incontrarono nuovamente, intenzionate a non staccarsi più, Armin si appuntò mentalmente di ringraziare il suo migliore amico.

Un mese. Mancava esattamente un mese al diciottesimo compleanno di Eren.
Il ragazzo se ne rese conto un pomeriggio di febbraio, chiuso in casa a studiare, mentre fissava il calendario appeso al muro. Lo fissava spesso durante le sue "pause di riflessione" dallo studio che, solitamente, si aggiravano intorno alle due ore ciascuna.
Aveva avuto molteplici occasioni di dimostrare i suoi sentimenti a Levi, ma erano tutte arrivate troppo presto, in fretta, e allo stesso modo erano andate vita, sfuggendogli.
"Cosa farei dopo il liceo, se tutto andasse male?"
Eren non riusciva a smettere di porsi domande del genere.
"Cosa farei se perdessi Levi per sempre?"
Lo Jaeger temeva di rimanere un semplice alunno, uno studente di passaggio, che magari sarebbe scomparso dalla sua memoria entro pochi anni. Non voleva essere dimenticato, non da lui.
"Cosa farei se non potessi più vederlo?"
Finito il suo ultimo anno di liceo, avrebbe abbandonato definitivamente quella scuola. E se non fosse riuscito a far innamorare Levi di sé, non avrebbe più potuto vederlo.
"Avrei un motivo per continuare a vivere?"
Eren conosceva la risposta a questa domanda, e la cosa lo spaventava.
Si era aggrappato a quell'amore con tutte le sue forze, con le mani artigliate, prostrando a continue umiliazioni e sofferenze il suo cuore oramai avvizzito. Era un fiore appassito, il cui bocciolo non sarebbe fiorito mai più.
"Non puoi amare qualcuno se non ami te stesso".
Stronzate. Lui non si era mai amato, ma Levi... Dio, quanto lo amava. Tanto da dimenticare cosa significasse odiarsi.
«Luigi Pirandello fu... oh, fanculo», borbottò il castano, riponendo i libri e appunti vari che si ritrovava di fronte.
Fu allora che si rese conto di un quadernetto verde, lucido, sepolto tra i tomi scolastici.
«Brahms - Violin Concerto in D major, I. Allegro non troppo;
Chopin - Ballade No. 1 in G minor, Op. 23».
Gli bastò leggere i nomi di quei brani per sentire le lacrime pizzicargli gli occhi.
I brani preferiti di Carla.
Erano settimane che, mentre si esercitava, provava una strana sensazione all'altezza del petto. Era forse la voglia di tornare a suonare, ad emozionare chi lo ascoltava? Perché voleva così ardentemente entrare nel cuore delle persone, per non essere più dimenticato?
Probabilmente voleva solo lasciare una sua traccia su quella terra, qualcosa che urlasse "io esisto" o, perlomeno, "io sono esistito". Non poteva semplicemente scomparire, non dopo tutta la fatica che aveva fatto per arrivare fino a lì.
«Se tornassi ad esibirmi...», pensò ad alta voce, «...potrei inserire questi due brani nel mio programma».
Il cuore di Eren aveva preso a pompare sangue ad una velocità disarmante; il solo pensiero di suonare di nuovo per gli altri, e non solo per sé stesso, lo fece emozionare. Eppure, era consapevole di non avere il coraggio di farlo.
Se solo non avesse mai imparato a suonare, se solo non fosse stato tanto bravo, se solo quel giorno non avesse avuto la sua competizione più importante, Carla non l'avrebbe mai lasciato. Avrebbe continuato a svegliarlo ogni mattina, preparargli la colazione, sgridarlo per il ritardo; si sarebbe preoccupata nel non vederlo rientrare, l'avrebbe aspettato sveglia fino a notte fonda, per poi rimproverarlo fino al mattino seguente. L'avrebbe fatto di certo, se solo fosse stata lì.
Il talento, a volte, è più una condanna che una fortuna.
«Se con Levi andrà tutto male, voglio impedirgli di dimenticarmi», si disse, colmo di speranza, «gli dedicherò i brani che mamma amava. Se mai tornerò su un palco, suonerò talmente bene che chiunque in città ricorderà il mio nome. Lo tempesterò di notizie su di me, ed Erwin non smetterà di vantarsi di essere il mio maestro», concluse, afferrando un pennarello indelebile per incidere sulla copertina del quaderno il nome del suo programma.
«"Se solo tu mi amassi"».

Un mese dopo, 29 Marzo
«Ragazzi, giorno trentuno ci sarà la prima simulazione d'esame! Vedete di studiare, perché queste prove vi verranno valutate come compiti scritti», urlò la professoressa Hanji, poco prima di udire il suono della campanella.
Altre quattro settimane erano passate, e nulla era cambiato per Eren: non aveva fatto altro che studiare e messaggiare con Levi, incapace di sistemare ciò che - nella vita reale - era ormai spezzato. Il loro rapporto procedeva come sempre: liti, sguardi fugaci, interrogazioni, mani che si sfiorano, ma nulla di più; inoltre, il programma per la competizione di violino era tornato sulla mensola a prendere polvere.
«Ci vediamo dopo amore, studiamo insieme?», disse Jean, avvicinandosi al loro banco, stampando un bacio a fior di labbra al biondo, inebriato da tanta dolcezza.
Al contrario di Eren, la relazione di Armin procedeva nel migliore dei modi: i due ragazzi si erano capiti, studiati a lungo, incastonati perfettamente l'uno nell'altro.
E, da quello che gli raccontava il suo migliore amico, anche il sesso era fantastico.
«Certo, amore! Ci vediamo domani, Eren!», ridacchiò Armin, uscendo dall'aula con il suo ragazzo.
Davvero si era dimenticato del suo compleanno?
Non poteva crederci; si convinse che quello fosse stato solo un errore dettato dalla distrazione. Eppure sembrava così normale, così sincero, spensierato.
Il pensiero di essere stato dimenticato e tagliato fuori, per l'ennesima volta, colpì Eren così forte da fargli mancare l'aria. Se la ferita alla mano non fosse stata ormai completamente guarita, probabilmente si sarebbe riaperta a furia di tirare pugni al muro del bagno degli uomini, in cui lo Jaeger si era rintanato, lontano dagli occhi di tutti. Non era la prima volta che qualcuno dimenticava il suo compleanno, anzi, succedeva ogni anno.
Ma non lui; non Armin, il suo migliore amico, che lo aveva visto coperto di lividi, che gli aveva urlato di scappare dopo essersi visto la porta sbattuta in faccia da Grisha.
Tirò un altro pugno, questa volta ben assestato, forte abbastanza da far crollare qualche piastrella dal muro.
«Faccia da cavallo del cazzo!»

Hozier - Take Me To Church

Eren non aveva smesso di suonare nemmeno un attimo da quando era tornato a casa, quel giorno. Continuava a provare brani di ogni genere, ma nessuno era capace di colmarlo. Si ritrovò a sbagliare di proposito qualche nota, come a volersi risvegliare dallo stato di trance in cui era precipitato: quasi come darsi un pizzicotto o ferirsi - volontariamente - per interrompere un'illusione.
Guardò l'orologio del suo telefono: 11:42pm.
Il ragazzo non aveva nemmeno cenato, troppo preso a sfogarsi con il suo strumento.
Aveva aspettato a lungo quel momento: la notte prima del 30 Marzo, il giorno del suo diciottesimo compleanno. La sua vita sarebbe finalmente cambiata: avrebbe potuto trovarsi un lavoro, mantenersi autonomamente e, soprattutto, seguire il suo cuore, ovunque esso lo avrebbe portato.
Negli anni non aveva mai festeggiato: non c'era nulla di cui essere felici, nel crescere. Un anno in più vissuto, uno in meno alla sua fine. Non avrebbe potuto nemmeno offrire una cena ai suoi compagni, e la consapevolezza di essere impotente lo aveva portato a non averne più voglia, a non ricercare più certe attenzioni.
Solitamente passava la sera con Armin: i due, infatti, guardavano un film insieme o cazzeggiavano semplicemente, per poi abbracciarsi con forza non appena scattata la mezzanotte.
Ma lui non c'era.
Armin lo aveva invitato spesso a casa sua, per festeggiare, per poi chiedergli di rimanere da lui a dormire; ma Eren, con un dolce sorriso sul volto, aveva sempre rifiutato.
Meglio prendere la consapevolezza di ciò che non si ha, o rimanerne all'oscuro per sempre?
Come si sarebbe sentito lo Jaeger tra le coperte di quel morbido letto, mangiando un pasto caldo accerchiato da una famiglia e da una casa sempre viva e accogliente?
Bene.
Come si sarebbe sentito una volta tornato a casa sua, dopo aver realizzato cos'hanno gli altri, e cosa lui non potrà avere mai?
Male.
Meglio evitarle, certe illusioni: sono quelle che ti fanno perdere, scivolare verso la follia.

00:00
Un rumore riscosse Eren dai suoi pensieri: il campanello suonò, rimbombando in tutta la casa, immersa fino a quel momento nel completo silenzio.
Il viso dello Jaeger fu investito da uno splendido sorriso: poteva essere solo una persona...
«Armin-»
«Sorpresa!», urlarono in contemporanea una quindicina di persone, entrando prepotentemente in casa.
«Auguri, Eren!», disse Sasha, stringendolo a sé, coinvolgendo tutti in un abbraccio di gruppo.
Eren era sorpreso, incredulo, imbarazzato e - dovette ammettere - felice. Si erano ricordati tutti di lui?...
«Auguri, Jaeger», sentì dire ad una voce alle sue spalle, che riconobbe come quella della faccia da cavallo.
Ringraziandolo con un cenno del capo, Eren lo superò velocemente, per gettarsi tra le braccia di Armin.
«Grazie... grazie per non essertene dimenticato...», sussurrò nell'incavo del suo collo, stringendolo forte a sé.
Il biondo si asciugò velocemente gli occhi, deciso a non piangere, allontanandosi leggermente da quell'abbraccio per guardare l'amico negli occhi.
«Come avrei potuto? Oggi ho solo fatto finta, stai tranquillo. Lo sai che sei il mio migliore amico... diciottenne!», disse con grinta, coinvolgendo anche i loro compagni di classe in un'esultanza generale.
«Grazie a tutti per essere qui», iniziò Eren, tentando di trattenere le lacrime.
Non si sarebbe mai aspettato di vedere tutti i suoi compagni presenti, compresi quelli con cui tendeva sempre a litigare e discutere.
«Saremmo venuti domani sera, ma abbiamo preferito festeggiare a mezzanotte, visto che il trentuno c'è la simulazione d'esame», gli spiegò Reiner, mentre Ymir annuiva in segno di assenso.
«Che buio, Eren... accendo le luci!», disse Connie ad alta voce, rendendosi conto solo in quel momento di quanto la casa fosse silenziosa, oscura e solitaria.
I presenti iniziarono, per la prima volta, a guardarsi intorno: tutto intorno a loro, a partire dalla porta d'entrata fino ad arrivare al soggiorno, gridava: "vivo da solo".
Dove erano i suoi genitori?
«Spostiamoci in soggiorno, ragazzi», disse Armin, tentando di distrarli da quei pensieri ed evitare domande scomode. In quel momento Eren doveva solo divertirsi, e non inventare scuse per giustificare agli altri la sua vita.
«Spero tu abbia ancora fame», iniziò Jean, invitando tutti i presenti a posare le buste sul tavolo, «da bravi ospiti, ognuno di noi ha portato qualcosa di diverso da mangiare, come se fosse una festa fatta in classe!»
«In realtà non ho nemmeno mangiato... mi stavo esercitando ed ho perso la cognizione del tempo», rise Eren, mentre il suo stomaco si contorceva dalla fame, brontolando in modo imbarazzante.
Il castano non riusciva a smettere di sorridere, cosa che non passò inosservata al suo migliore amico mentre lo trascinava per un braccio in cucina.
«Grazie, Armin... hai pensato davvero a tutto».
«Sapevo che non avresti festeggiato nemmeno quest'anno, quindi era il minimo che potessi fare», gli spiegò, abbracciandolo nuovamente.

In soggiorno, Eren si trovò costretto a trattenere le lacrime: la tavola era completamente apparecchiata, ricca di pietanze e bevande di ogni genere. I suoi amici confabulavano tra i sussurri, per poi tornare a ridere e scherzare come se nulla fosse una volta notata la sua presenza.
Tutti avevano cucinato o comprato qualcosa, e lo Jaeger si convinse che non avrebbe mai dimenticato il loro sforzo e la loro gentilezza, ad ogni costo.
«Eren, questo è da parte di tutti noi», esclamò all'improvviso Christa, porgendogli una busta bianca, «volevamo aspettare di mangiare, ma alcuni hanno già puntato le bottiglie di vodka, e volevamo essere tutti presenti - e sobri - per dartelo! In realtà non sapevamo cosa potesse piacerti, per cui siamo andati sul sicuro... spero non ti dispiaccia».
Il ragazzo rimase a bocca aperta: non si sarebbe mai aspettato, tra tutte le sorprese di quel giorno, di ricevere anche un regalo. Si rifiutò di guardare quanti soldi ci fossero in quella busta, abbandonandola su un mobile per andare a ringraziare tutti i presenti.
«Non avreste dovuto...», riuscì a sussurrare, con voce spezzata, pregando di non lasciarsi sfuggire le lacrime che stava trattenendo.
Dopo il regalo, i ragazzi mangiarono tutti insieme, senza smettere per un attimo di parlare; in molti si ubriacarono, terminando velocemente le scorte di alcol, privandosi della loro sagacia.
«Indovinate chi sono!», urlò Marco, improvvisando un'imitazione del professor Zacharias, girando per la stanza per annusare tutti i presenti.
A quel ridicolo teatrino si unirono Connie, Reiner, Sasha e Christa, nonostante quest'ultima fosse perfettamente lucida.
«Giochiamo al gioco della bottiglia!»
Sembravano bambini, ragazzini alla loro prima festa: chi era troppo codardo puntava sempre su 'verità', mentre - i più temerari - subivano gli 'obblighi' più fastidiosi ed imbarazzanti.
«Fai uno scherzo telefonico alla persona che ti piace», ordinò Ymir a Eren, che sobbalzò sul posto.
«Mi sa proprio che opterò per 'verità'», scherzò lo Jaeger, ricevendo dei fischi di disapprovazione dai suoi compagni.
«Dai, Eren!», lo rimproverò Berthold.
«Proprio tu non puoi parlare, ti rifiuti sempre!», lo rimbeccò Mikasa, facendo ridere tutti i presenti.
Christa aveva ragione: nessuno, in quel momento, sarebbe mai stato nelle condizioni psicofisiche di dargli il regalo.

Quattro ore dopo era tutto finito.
Armin e Jean furono gli ultimi ad andarsene, dato che il biondo era preoccupato per Eren.
«Sei sicuro che non vuoi che rimanga? Non è un problema per me, lo sai».
Ma come poteva accettare, sapendo che lo avrebbe privato di una notte d'amore con la persona che, in quel frangente, lo guardava come se fosse il più prezioso tra i gioielli?
«Stai tranquillo, Armin, hai fatto anche troppo per me! Torna a casa e riposati, grazie per tutto», disse il castano, dandogli una pacca sulla spalla, «e grazie anche a te, Jean».
Il Kirschtein lo guardò sbalordito: non avevano mai avuto un bel rapporto, tanto che - probabilmente - quella era la prima volta che veniva chiamato per nome.
«Di niente. Buonanotte, Eren».
A quanto pare l'Arlert, quel ragazzo dai capelli dorati e gli occhi color del mare, era riuscito nell'impossibile: era diventato un punto d'incontro, un interesse comune per due persone che, fino dal loro primo incontro, si erano detestate.
«State attenti!»
Fu l'ultima cosa che Eren disse prima di richiudere la porta, girando la chiave nella serratura per accertarsi di essere al sicuro.
Nonostante fossero le quattro del mattino, si sentì pieno di energie: prese un sacchetto ed iniziò a raccogliere tovaglioli, piatti e bicchieri sporchi, dispersi in tutta la casa.
Con il sorriso ancora stampato sul volto, Eren si portò una mano agli occhi, singhiozzando rumorosamente.
Il tempo sembrava essersi fermato, ma le sue lacrime non interruppero la loro corsa, fino ad arrivare sul freddo pavimento di casa Jaeger.
Il ragazzo lasciò andare la busta, che cadde rumorosamente a terra, per tentare di fermare il pianto anche con l'altra mano.
Era quella la felicità, la spensieratezza?
Voleva provarla ancora, voleva tornare indietro, godersela di più. Voleva recuperare tutti gli anni persi, le occasioni sprecate; se si fosse trovato Levi davanti, in quel momento, probabilmente lo avrebbe baciato, infischiandosene delle conseguenze.
Aveva sprecato la sua vita tormentato dal ricordo del tocco di Grisha, della scomparsa di sua madre, e cosa gli era rimasto, se non il fantasma delle risate dei suoi amici in quella casa nuovamente vuota?
Incapace di fermare le lacrime, Eren si avvicinò alla finestra, accendendosi una sigaretta. Non fumava da giorni, troppo preso a studiare, ma in quel momento si sentì come se da quello fosse dipesa la sua vita.
In fondo, il suo cuore funzionava in modo molto simile: si accendeva, brillava nell'oscurità; ma ad ogni attimo di felicità, ad ogni tiro, si consumava e tramutava in cenere, abilmente contenuta nel posacenere. Continuava ad aspirare finché non arrivava al limite, vicino al filtro, e si trovava costretto a spegnerla, ripiegandola con forza su sé stessa, sbuffando dalle labbra l'ultima nuvola di fumo.
Tentava di tenerla dentro di sé il più a lungo possibile, ogni volta un po' di più, fino a non riuscire più a respirare; ed ecco che, nel momento in cui veniva espulsa quasi con forza dal suo corpo, si disperdeva velocemente nell'aria, lasciando Eren a fissare il cielo scuro, illuminato solo da una pallida luna, anch'essa fin troppo stanca per continuare a brillare.
"Nessuno è perfetto, e non si può dare sempre il massimo. Ci sono giorni in cui ci si deve lasciare andare, amare sé stessi, dimenticare gli altri.
Andrà tutto bene, Luna. Domani sarà un giorno migliore."
Ed Eren avrebbe tanto voluto sentirsele dire, certe parole.

Il suo telefono non smise di vibrare un attimo, quel giorno.
Eren fu tentato più volte dal poggiarlo sulle sue parti più sensibili ma, al pensiero delle radiazioni che lo attraversavano, scartò l'idea.
Continuò a ricevere messaggi d'auguri per ore ed ore, anche da persone con cui aveva solo scambiato qualche parola anni prima. Nessuno si interessava di lui, nessuno lo conosceva davvero, eppure si preoccupavano così tanto di comparire tra gli altri, di essere l'ennesimo post di auguri in mezzo ad una massa di persone che nemmeno conosceva. Tanto per pulirsi la coscienza, sentirsi liberi di dire "io la mia parte l'ho fatta".
Eren non era andato a scuola: nonostante volesse stare con Levi, vederlo in quel giorno tanto importante, il castano voleva evitare di ricevere gli auguri da tutte quelle persone che fingevano di conoscerlo quando, in realtà, non conoscevano altro che il suo nome.
Passò la giornata normalmente: ordinò del cibo da asporto, sfruttando il codice sconto ricevuto per il suo compleanno, studiò per la simulazione del giorno dopo e parlò, quasi tutto il pomeriggio, con il professore.
- Tutto apposto, capitano? Mi sembri strano -
Eren sapeva che l'Ackerman non gli avrebbe mai fatto gli auguri, dato che sconosceva la sua identità. Eppure, dentro di sé, si sentì incredibilmente smarrito, vuoto.
- Se volessi fare una pazzia, consapevole delle sue conseguenze, preferiresti vivere con il rimorso o con il rimpianto? -
Quella domanda lo spiazzò completamente. Ripiegò il menù della pizzeria d'asporto che stava analizzando, posticipando automaticamente la sua cena.
A cosa si riferiva? Come avrebbe dovuto rispondergli, senza sapere di cosa stava parlando?
- Non posso sapere a cosa ti riferisci, vero? -
Domanda banale, con una risposta altrettanto scontata, ma almeno ci aveva provato.
- No. -
Eren si fermò a pensare, indeciso sul da farsi. Non voleva incitare Levi a cacciarsi in qualche guaio, ma nemmeno condizionare la sua vita privandolo delle sue scelte.
Desiderava solo la sua felicità, che lo includesse o meno.
- Direi che un rimorso può insegnarti una lezione di vita, mentre un rimpianto può tormentarti per sempre -
Levi lesse quel messaggio un paio di volte: avvolto nella sua morbida sciarpa, sospirò profondamente, creando attorno a sé una nuvola di condensa, dovuta al calore del suo respiro in contrasto con la fredda temperatura di quella sera di marzo.
Decise di non rispondere più all'anonimo, consapevole di essere così codardo da affidare le sue scelte ad un'altra persona. Si sfilò un guanto, indugiando sul da farsi.
«E smette di rispondere... è proprio uno stronzo», mormorò Eren, lanciando il telefono sul tavolo, tornando a guardare il menù per scegliere una pizza.
«Dovrei provarne una nuova, o andare sul sicuro...?»
Ma mentre lo Jaeger si scervellava per trovare una soluzione che ovviasse ai suoi dubbi, il campanello di casa sua suonò.
Il castano scattò in piedi: non aspettava Armin, e di certo non voleva altre sorprese; la sera prima, e la depressione che ne era seguita, gli era bastata.
Si mosse con passo felpato fino alla porta, muovendo con estrema lentezza lo spioncino e avvicinando l'occhio smeraldino al vetro.
Il suo cuore prese a battere pericolosamente forte; sentì le gambe cedergli, le mani tremare ed il respiro bloccarglisi in gola.
Perché lui era lì?
Il campanello suonò di nuovo, con più insistenza.
Questa volta la scelta spettava ad Eren.

Rimpianto o rimorso?









🌸Angolo S e r e n a🌸
Buon pomeriggio! :3
Sono riuscita a pubblicare ad un orario decente, evento incredibile 😂

Vi ringrazio per la pazienza e vi anticipo che, nel prossimo capitolo, ci sarà la svolta tanto attesa nella storia! Ora però non dico altro, eheh, non voglio mica spoilerare 😏

Per il resto, come state? Che ve ne è parso di questo aggiornamento?

Grazie, come sempre, per tutti i commenti meravigliosi che mi lasciate, non smetterò mai di ringraziarvi! 💕

Al prossimo capitolo!

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