Se solo tu mi amassi || Ereri...

By vivodinagato

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[IN REVISIONE dal primo capitolo in poi]. Eren Jaeger è uno studente della scuola Shiganshina, nella città di... More

Prologo
Capitolo I - Haiku e musica
Capitolo II - Levi... sei innamorato?
Capitolo III - Tempo
Capitolo IV - Neve
Capitolo V - La persona sbagliata
Capitolo VI - Senza di te
Capitolo VII - Te lo prometto
Capitolo VIII - A volte, va bene piangere
Capitolo X - Eroe
Capitolo XI - Rimpianto o rimorso?
Capitolo XII - Ti amo
Capitolo XIII - Vivi
Capitolo XIV - Orgoglio
Capitolo XV - Fiorire
Capitolo XVI - Violino e pianoforte
Capitolo XVII - Lacrime di ghiaccio
Capitolo XVIII - Futuro
Capitolo XIX - Addio, arrivederci
Capitolo XX - Lettere di un Concerto
Capitolo XXI - Punizione
Capitolo XXII - Figlio
Epilogo

Capitolo IX - Il festival scolastico

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By vivodinagato

«Venite a provare il Cosplay Café! Ci trovate a piano terra, di fronte all'aula di musica, nella classe 5ª B!», urlò Connie, seguito a ruota da Ymir, mentre continuavano a distribuire volantini nel cortile della scuola.
I due ringraziarono mentalmente il tempo, oramai diventato mite, che aveva permesso loro di sfoggiare i loro meravigliosi cosplay senza morire dal caldo o, al contrario, dal freddo.
La scuola era stata completamente invasa da stand e bancarelle di ogni genere: si potevano trovare creazioni fatte a mano in fimo, resina e silicone, cibo tradizionale e straniero, indovini, case stregate, concerti e spettacoli teatrali.
L'edificio, sia esternamente che internamente, era decorato da striscioni colorati, indicazioni e cartelli pubblicitari; ogni aula, inoltre, era riccamente adornata seguendo diversi stili: dall'indie al gotico, al tradizionale, fino ad arrivare ad aule completamente incentrate sui colori pastello o ispirate ad altre culture.
«Benvenuta, padrona!», dissero in coro Armin, Jean, Historia ed Eren, inchinandosi leggermente.
«I nostri ragazzi sono tutti davvero ben educati e competenti! Ma la decisione, naturalmente, spetta a lei: con chi preferirebbe passare la giornata?», chiese gentilmente Marco, illustrando ad una delle loro clienti la disponibilità dei camerieri.
«P-potrei chiedere a te?», sussurrò la ragazza, completamente rossa in viso, indicando Eren. Prima che Marco potesse rispondere, Eren le si avvicinò velocemente, prendendola per mano e baciandone il dorso.
«Mia padrona, purtroppo non sono che un umile butler. Non posso servirla, ma suonerò per lei ogni qual volta lo richiederà», disse, guardandola negli occhi con tanta intensità da far rabbrividire dall'eccitazione tutti i presenti.
La ragazza, ancora più rossa in viso, scelse Armin come cameriere e si sedette rapidamente al tavolo.
«Eren, abbiamo aperto giusto da qualche ora e tutti i clienti hanno chiesto solo di te! E poi cosa diavolo era quello?», gli chiese Armin, anche lui nel più totale imbarazzo. Perché Eren era così sexy?
«"Quello" cosa?», chiese innocentemente il castano, passandosi una mano tra i capelli.
«Io l'ho sempre detto: dovevo innamorarmi di te», ridacchiò Armin, scatenando dei gridolini di gioia tra tutte le ragazze nel locale, mentre Jean sbuffava sonoramente. Eren rise, gustandosi la reazione gelosa del Kirschtein, per poi avvicinarsi al tavolo della stessa ragazza di pochi minuti prima.
«Eren, giusto? Allora, io non conosco molti brani...quindi perché non mi suoni qualcosa che piace a te, invece?», chiese dolcemente la ragazza, arrossendo leggermente.
Fino a quel momento, nonostante stesse suonando da ore, non aveva mai ricevuto una richiesta del genere. In fondo, a nessuno di loro importava realmente di lui, del suo talento; in molti non capivano nemmeno quanti sacrifici, ore di pratica e fatica avesse passato prima di arrivare a quel livello di bravura.
Volevano solo un sottofondo musicale, uno sfondo di accompagnamento, senza sapere che il suo strumento non era secondo a nessuno, che si sentiva ed atteggiava da protagonista indiscusso. Sentiva fremere il violino tra le mani, scalciando, quasi come se volesse farsi notare, urlare.
Gli strumenti musicali avevano dunque un'anima?
Quella ragazza, invece, era semplicemente stata sincera: aveva ammesso la sua ignoranza nel campo della musica classica, per cui aveva fatto una richiesta tanto semplice da sembrare quasi banale; Eren, invece, si sentiva in qualche modo sollevato.
«Ogni suo desiderio è un ordine, mia padrona. Questo è il Violin Concerto No. 1, di Niccolò Paganini», disse solennemente Eren, mentre il cuore gli batteva furiosamente nel petto. Ogni fibra del suo corpo scalpitava al pensiero di suonare, dopo tanto tempo, quel brano; Paganini era sempre stato un'ardua sfida per ogni musicista, in particolar modo per lo Jaeger. Aveva "litigato" spesso con il compositore, tentando in ogni modo di fargli onore.
Da bambino non si era mai arreso, e la consapevolezza del fatto che i suoi coetanei cercassero di eguagliarlo, guardando le sue spalle da lontano senza riuscire però a raggiungerle, lo spingeva a dare sempre di più.
Durante gli otto minuti del brano, come già successo in passato, fuori dall'aula si era creata una gran folla, tanto che Marco fu costretto a dividere i clienti per file.
Se Levi lo avesse ascoltato, avrebbe pianto come stava facendo la ragazza di fronte a lui? Sarebbe mai riuscito ad emozionarlo fino a tal punto, a creare un po' di ordine nel suo cuore già tormentato? Ripensava al calore dell'abbraccio del professore, e quasi gli sembrava di esserne ancora avvolto. Perché pensava sempre a lui mentre suonava, perché gli importava più di lui che della sua stessa vita, perché non riusciva ad abbandonare il violino? Troppe domande che non riuscivano a trovare risposta o che, probabilmente, non ne avevano nemmeno una.
Levi aveva mantenuto il segreto sulla sua famiglia, ma perché? Armin gli aveva risposto tante volte, dicendogli che - probabilmente - anche l'Ackerman provava affetto nei suoi confronti, ma naturalmente non poteva affermarlo con certezza.
Eren non si era mai piaciuto, sapeva di condurre una vita dannata e completamente sregolata; spesso faceva pensieri orribili, che cercava di cancellare velocemente dalla sua mente ma che, al contrario, vi permanevano per ore.
A fine del brano, Eren suonava ormai in modo disperato, nonostante la melodia non richiedesse tale intensità. L'archetto sembrava avere vita propria, le note gli scivolavano via dalle mani, anche loro lontane, irraggiungibili.
Perché si trovava improvvisamente nel fondale di un oceano? Riconobbe l'abisso, il suo abisso, nel quale aveva passato tutta la sua vita. Non sentiva più le note, continuava a muovere le dita per creare una melodia che non era più capace di sentire. Chi mai avrebbe potuto amare un mostro?
L'applauso finale lo riportò alla realtà e fu, per Eren, come una boccata d'aria dopo essere quasi annegato. Chiunque, intorno a lui, stava applaudendo, compresi i clienti fuori dall'aula in attesa del loro turno. Perché non fuggivano via da lui?
«Grazie Eren», disse solamente la ragazza, cercando di asciugarsi le lacrime con le maniche della maglia. Quando Eren le offrì il suo fazzoletto, lei gli sorrise nuovamente, tra le lacrime, ricordandogli i due bambini che, anni prima, avevano comprato un bouquet di fiori, appositamente per lui, dopo una sua esibizione. Li aveva pensati molto in quel periodo; forse perché gli mancava suonare per qualcuno?
«Eren, hai un'altra richiesta», disse Jean, indicandogli un tavolo nella zona della classe che avevano reso più "riservata", dividendola con dei paravento.
Armin gli si avvicinò sogghignando, «ha pagato per sentirti suonare per tutta durata della sua permanenza», gli sussurrò, facendogli l'occhiolino.
«Buonasera padrone; il mio nome è Eren, al suo servizio», disse, inchinandosi leggermente.
«Jaeger, come ti sei ridotto a diciassette anni?», disse ghignando l'uomo, canzonandolo e riuscendo a farlo arrossire.
Eren tentò di tenere a bada la rabbia, ricordandosi di star lavorando: quando si accetta di fare il cameriere o, nel suo caso, il butler, si deve essere pronti a subire frecciatine e battutine di ogni genere, naturalmente nei limiti della decenza e dell'umanità.
«Padrone, posso ridurmi in qualsiasi modo lei voglia», sussurrò Eren, senza distogliere lo sguardo da quello del professore, lasciando Levi a bocca aperta. Il corvino aveva deciso di andare al Café di una delle sue classi solo per infastidire un po' il moccioso; voleva farlo impazzire, arrabbiare, anche sclerare se possibile.
«Prima di suonare, portami del tè».
Eren trattenne fortemente l'istinto di chiamarlo "capitano" come faceva in anonimo; decise di stare ancora al gioco, nonostante il suo compito non fosse quello di fare il cameriere.
«Le porto immediatamente il menù dei tè, padrone».
Levi dovette ammettere che farsi chiamare "padrone" da Eren era piuttosto soddisfacente; in più, il cosplay di uno dei membri del Corpo di Ricerca gli calzava a pennello, quasi come se fosse stato creato appositamente per la sua figura alta, slanciata e muscolosa. Mentre l'Ackerman combatteva contro quei pensieri, Eren era tornato velocemente con il menù.
«Ho deciso cosa farti suonare, Jaeger», iniziò il corvino, mentre decideva cosa ordinare, «ma prima, chiamami 'capitano', non 'padrone', moccioso».
Il viso del più piccolo si imporporò mentre tratteneva, a stento, il sorriso; perché voleva che lo chiamasse così? Aveva forse capito che Eren era in realtà lo sconosciuto?
«Come preferisce, capitano».
«Conosci il No. 6 Concert Variations on 'The Last Rose of Summer' in G major di Heinrich Wilhelm Ernst?», disse con tono indifferente il professore, senza guardare il butler vicino a lui. Eren sgranò gli occhi: insieme al Capriccio No. 24 di Paganini, quello di Ernst era considerato uno dei brani più difficili da eseguire col violino.
Deglutì sonoramente, incapace di mentirgli: sì, conosceva bene quel brano. Avrebbe dovuto suonarlo il giorno della morte di sua madre e, per questo, non lo eseguiva da anni, nonostante spesso gli capitava di provare le note senza il violino, per mantenerne vivida la memoria muscolare. Ma era giusto suonare quel brano, nonostante quest'ultimo gli avesse indirettamente portato via Carla?
Senza saperlo, Levi aveva di nuovo scavato nel suo passato; non gli aveva chiesto il permesso, non aveva nemmeno bussato prima di entrare - prepotentemente - nella sua vita.
Eren diede l'ordinazione del tè ad Armin, prima di tornare da Levi; prese un profondo respiro, cosa che non sfuggì all'Ackerman, per poi iniziare a suonare. Alcune estensioni delle dita erano davvero impossibili, ma Eren era cresciuto molto, non era più un bambino, per cui le sue mani arrivarono con minor difficoltà a toccare i punti più difficili. L'Arlert portò il tè, per poi allontanarsi velocemente e lasciare i due da soli.
Eren suonò con tutto sé stesso; una volta suonava per sé, per sua madre e per il pubblico. Adesso suonava solo per il professore, che in quel momento stava sorseggiando in silenzio la sua bevanda senza produrre un suono, tenendo la tazza nel suo solito, e stranissimo, modo.
In quel momento, per Eren, non esisteva nessun altro all'infuori di loro, ed il castano si perse nuovamente nei meandri della sua memoria: eppure, adesso che se lo ritrovava davanti, non riusciva proprio a pensare a Levi.
Gli venne in mente di tutto: l'incontro stabilito con Kenzo il giorno dopo, non appena finito il suo turno, quando da piccolo giocava nel parco con Armin e Mikasa, e anche di come aveva iniziato a suonare. Si soffermò maggiormente su quel ricordo, sorridendo nel bel mezzo della sua esibizione.

«Papà, che cos'è quello?», chiese il bambino, indicando con le dita paffutelle ciò che Grisha teneva tra le braccia.
«È un violino, Eren», gli rispose, accarezzandogli i capelli, «quando ero giovane suonavo spesso...poi ho iniziato a studiare per diventare medico, e non ne ho più avuto il tempo», concluse il racconto, incapace di nascondere la velata tristezza nel suo sguardo.
Fu allora che Eren, a soli cinque anni, allungò le braccia fino ad arrivare a sfiorare con le dita le incavature di quel meraviglioso strumento.
«Perché non gli fai vedere come funziona, tesoro?», chiese dolcemente Carla, prendendo in braccio il figlio e sedendosi di fronte al marito, in attesa di sentirlo suonare.
«D'accordo, se insistete tanto vi accontento subito!»
Grisha sembrava amare molto Eren: gli aveva insegnato ad andare in bicicletta, gli aveva fatto scoprire la musica, lo aveva protetto dai mostri nascosti nel buio, lo aveva portato a vedere la neve per la prima volta, era stato il suo primo maestro di violino. Aveva, aveva, aveva.
Come poteva essere tutto andato perduto? Aveva smesso di amarlo, di interessarsi al suo futuro da musicista e, inoltre, lo aveva lasciato da solo ad affrontare la morte di Carla...
Grisha era ancora suo padre dopo tutto questo?

Eren tentò di riemergere da quel fiume straripante di ricordi, nonostante - questa volta - nessun applauso lo avrebbe aiutato ad uscirne. Il brano non era ancora terminato, e già lo Jaeger accusava segni di stanchezza. Levi continuava a fissarlo, quasi come se potesse leggergli l'anima, scrutare dentro di lui attraverso i suoi occhi.
Sapeva che non era una buona idea cimentarsi in quel brano, troppo carico di significato e ricordi per lui. Eppure doveva andare avanti; solo così sarebbe diventato l'uomo che Levi meritava di avere accanto. Ma era giusto nei confronti di Carla? Non voleva, non poteva dimenticarsi di ciò che le aveva fatto. Inizialmente pensava di non essere stato la causa della sua morte, ma...negli anni qualcosa, dentro di lui, era cambiato, marcendo inesorabilmente. Non riusciva a perdonarsi, ad amarsi, a volersi bene. E come si può amare qualcuno se prima non si ama sé stessi?
Eren non credeva in un Dio, né nell'esistenza di un paradiso o di un inferno, ma era consapevole che, se mai fossero esistiti davvero, probabilmente neanche in quel caso sarebbe riuscito a rivedere sua madre, bloccato per l'eternità nel limbo del purgatorio. Un angelo a cui sono state strappate le ali da un arconte, trasformandolo in un demone.
«Complimenti Jaeger, non credevo fossi tanto bravo», si congratulò sinceramente Levi, abbattendo il muro dell'orgoglio che li divideva.
Eren gli sorrise, ormai stanco e privo di forze; per fortuna, però, il suo turno sarebbe finito a breve.
«Grazie», rispose solamente.
Levi sapeva che il ragazzo aveva raggiunto il limite, ma non voleva lasciarlo andare via così presto; decise così di ordinare una fetta di torta.
«Ecco a lei, capitano», disse Eren, poggiando delicatamente un piattino colorato di fronte al corvino.
«Siediti qui, Jaeger», gli ordinò, iniziando a mangiare. Il ragazzo, esausto, accettò immediatamente l'invito.
«Allora, non per metterti ansia, ma...sei uno dei pochi che non ha ancora comunicato su cosa si baserà il suo percorso d'esame. Ti consiglio di sbrigarti se vuoi una mano dai professori per sistemare gli argomenti».
Eren rimase interdetto per qualche secondo: non poteva di certo rivelare gli haiku che avrebbe portato all'esame, ma - in realtà - era più che consapevole di stare ignorando la scadenza per la consegna. Quindi perché il professor Ackerman glielo stava chiedendo? Era forse curioso?
«Ha ragione capitano; mi premurerò a rimediare il prima possibile», rispose il castano, mantenendo il suo tono da butler che stava facendo impazzire Levi.
«Bene. Di cosa parlerai?», domandò il professore, in modo così diretto da stupire lo Jaeger, ormai entrato completamente nel panico.
Dopo qualche secondo di silenzio, il suono di un timer iniziò a espandersi nell'aria, salvando Eren da quella domanda.
«Capitano, il nostro tempo insieme è terminato. La ringrazio infinitamente per i momenti passati insieme. Potrà venire a trovarmi ogni qual volta lo desidererà, o anche nel caso in cui sentirà la mia mancanza. Io la aspetterò qui», recitò solennemente, strizzando l'occhio in sua direzione. In realtà quella era la frase che recitava a tutti a fine servizio, indipendentemente dal fatto che si trovasse di fronte ad un alunno, professore o estraneo. Non se ne pentì, però, quando vide Levi nel più completo imbarazzo. Quest'ultimo si ritrovò a pochi centimetri dal viso di Eren, che si era rapidamente avvicinato al professore e gli fissava insistentemente le labbra.
«Capitano, rimanga fermo un attimo», disse il più piccolo, afferrando dolcemente il viso dell'uomo ed inclinandolo verso sinistra. Levi rimase immobile mentre Eren estraeva il suo secondo fazzoletto e puliva delicatamente l'angolo della sua bocca, leggermente sporco della panna della torta. Nessuno poteva vederli, il che, per Levi, rese un gesto così innocente fortemente erotico.
«Tsk», ghignò Levi, salutando con un cenno del capo il suo alunno e allontanandosi velocemente dal tavolo, per poi uscire dall'aula. Doveva assolutamente prendere una boccata d'aria... Da quando Eren Jaeger era diventato così dannatamente sexy?

Il terzo ed ultimo giorno di festival, Eren era esausto. Non solo aveva lavorato ininterrottamente, aveva mangiato e dormito poco, ma in più, il giorno prima, aveva anche parlato con Kenzo del loro bacio, bloccato prontamente da Levi.

«Volevi parlarmi, 'Ren?»
Quando erano soli, non lo chiamava 'senpai'; utilizzava quello stupido nomignolo, datogli anni prima mentre scacciavano via la reciproca solitudine.
Il castano non riusciva a smettere di stritolarsi le mani dall'agitazione. Kenzo non si meritava di rimanere nel dubbio, doveva sapere che genere di persona era in realtà Eren, cosicché potesse dimenticarlo velocemente e trovare qualcuno che lo amasse davvero. Ripensò ad Armin, al suo coraggio nel rifiutare ogni dichiarazione d'amore e, spinto da quei sentimenti, iniziò a parlare.
«Sì...riguardo all'altro giorno...», disse, andando ancor più nel panico quando notò su di lui lo sguardo fisso del ragazzo, «ci stavamo per baciare di nuovo, dopo tanti anni, ma io...non volevo farlo davvero. Mi dispiace Kenzo, ma in realtà volevo solo far ingelosire qualcun altro».
Eren, consapevole di essere stato poco delicato, evitò di dirgli che non era mai stato innamorato di lui, neanche anni prima, ma tacque, seppellendo dentro di sé, stavolta per sempre, quel doloroso segreto.
Lo schiaffo che lo colpì in pieno viso lo destabilizzò non poco, nonostante lo Jaeger fosse consapevole di meritarsi anche di peggio.
«Questo è per avermi usato e per non avermi mai amato», disse il moro, con la mano ancora sollevata a mezz'aria.
"Quindi lo aveva capito", pensò Eren, pronto a ricevere un secondo schiaffo.
Lo Jaeger, però, rimase ancora più sorpreso quando le loro labbra si incrociarono dopo tanto tempo. Strabuzzò gli occhi, senza però allontanarlo né ricambiare a pieno quel gesto: continuava, infatti, a non provare niente.
«E questo è perché, nonostante tutto, amarti è stata la cosa che mi ha spinto a fare tutto nella vita, dal suonare il violino al tornare a WallMaria, stupido 'Ren».
Prima che Kenzo potesse definitivamente allontanarsi dal retro del cortile della scuola, gli lanciò uno sguardo indecifrabile, seguito da uno splendido sorriso.
«Sapevo già che ami qualcun altro, 'Ren...si vede lontano un miglio! Buona fortuna, ci vediamo!»
Eren gli sorrise di rimando, sventolando la mano in sua direzione, incapace di parlare. Non sapeva se sfiorarsi la guancia, ancora dolorante, o le labbra appena violate.
Un bacio d'addio.
E mentre lo Jaeger tornava in classe per prendere lo zaino e tornare a casa, felice di come erano andate le cose, un ragazzo dai lunghi capelli neri piangeva silenziosamente nascosto nel bagno del primo piano.
Kenzo aveva mentito per non ferire Eren. Perché in amore, purtroppo o per fortuna, è così che ci si comporta quando si ama davvero qualcuno.
Il moro non aveva fatto altro che pensare ad un ragazzino dagli occhi smeraldini in tutti quegli anni, ma - in realtà - sapeva benissimo che Eren non lo avrebbe mai amato.
Cazzo, quanto erano belle le sue labbra.
Si era fatto usare come palliativo, come un giocattolo, fin dalla prima volta.
Ma gli andava bene così. Semplicemente, la sua anima gemella ne aveva un'altra; erano due pezzi del puzzle impossibili da incastrare fra loro. Ma perlomeno avrebbe potuto dire qualsiasi cosa, tranne di non averci provato.
Non sapeva chi volesse far ingelosire, né perché non si faceva avanti nel confessare i suoi sentimenti, proprio con la stessa forza con la quale era riuscito a spezzare il cuore di Kenzo; eppure, non gli importava. Voleva rimanere lì, seduto sul lurido pavimento di quel bagno, a crogiolarsi nel fango del suo fallimento ancora un po'. Si sarebbe divertito in quella pozza di inettitudine, dove solo i rifiuti umani si ritrovavano a sguazzare. Ma perché era lui in quella situazione e non quel bastardo dello Jaeger?
La risposta era semplice: perché, in amore, si preferisce soffrire per l'altra persona, piuttosto che vederla sopportare quello stesso dolore.
Kenzo era pronto a sacrificarsi ancora un po', giusto quel che bastava per permettere ad entrambi di andare avanti con la loro vita.
Forse un giorno si sarebbero incrociati nel corridoio e quell'imbarazzo sarebbe svanito; o forse si sarebbero rincontrati anni dopo, come già successo, e si sarebbero amati. O ancora, forse non si sarebbero mai più rivisti dopo l'esame di maturità di Eren.
«Spero almeno che ti vada bene con questo tizio...se no ti uccido, Eren», sussurrò Kenzo nel silenzio, per poi rialzarsi. Batté le mani sui pantaloni e sulla maglietta, cercando di ripulirsi dalla sporcizia del pavimento; si lavò il viso con l'acqua gelida, fissando il suo riflesso nello specchio, pronto a tornare in classe come se nulla fosse successo. Come se non avesse mai amato un ragazzo dagli occhi verdi come una gemma, come la più rara delle pietre preziose.

«Grazie per questi tre giorni, ragazzi! Siete tutti liberi di andare!», urlò Marco, tenendo alto il suo bicchiere di plastica contenente dell'aranciata, per brindare con tutti i suoi compagni di classe. Tutti applaudirono dopo il brindisi, per poi dividersi negli spogliatoi e liberarsi da quei cosplay, ormai diventati fin troppo scomodi.
«Andiamo a vedere il falò e i fuochi d'artificio insieme, Eren?», chiese Armin, riponendo in un borsone il kimono rosso utilizzato per interpretare Inuyasha.
«Certo! Ti raggiungo direttamente lì, ci vediamo al solito posto!», disse, riuscendo con difficoltà a slacciare i ganci del movimento tridimensionale. Non era arrivato a finirlo in tempo per l'inizio del festival, per cui l'aveva utilizzato unicamente l'ultimo giorno.
Nonostante febbraio fosse appena iniziato, dato che il festival era a cavallo tra la fine di gennaio e l'inizio del nuovo mese, Eren sapeva che col falò e con il calore della folla che, ogni anno, si creava nel cortile, probabilmente avrebbe sentito caldo; per cui indossò una semplice maglia nera attillata a maniche corte ed il pantalone di una tuta grigia. Soddisfatto del risultato, si passò una mano tra i capelli disordinati, scompigliandoli maggiormente, consapevole di non poterli sistemare in alcun modo.
Prese una sigaretta dal pacchetto, ormai quasi vuoto, incastonandola fra le labbra rosate e tenendola in quella posizione lungo tutta la durata del tragitto.
«Eren Jaeger, fermati immediatamente!», sentì urlare alle sue spalle da una voce familiare, che lo costrinse a voltarsi, con entrambe le mani tenute dietro la nuca.
«P-rofes-sor-es-sa, buonasera», disse mentre si toglieva la sigaretta dalle labbra, riuscendo a parlare normalmente.
«Stai andando a vedere il falò? Ho saputo che hai avuto successo al Café, non sai quanto mi sarebbe piaciuto venire a vederti! Ma dimmi, quando la smetterai di fumare?», disse la professoressa Hanji, tempestandolo di domande.
Eren, frastornato, tentò di rispondere a tutto.
«Sì, prof., Armin mi aspetta lì! E grazie, per fortuna l'idea di suonare è stata un successo! Per quanto riguarda il fumo...non mi avrà mai vivo!», urlò, iniziando a correre verso l'uscita, ridendo come un bambino.
Hanji iniziò a inseguirlo, minacciando di bocciarlo se non si fosse fermato, per poi ritrovarsi Eren a pochi metri di distanza.
«Prof., lei è incinta, non posso più farla correre così!», si ricordò il ragazzo, spaventato dall'aver ferito in qualche modo il figlio di Zoe.
Lei gli sorrise dolcemente, accarezzandogli i capelli, nonostante dovette sollevarsi sulle punte per farlo, data l'altezza del ragazzo. Eren sarebbe diventato, da grande, davvero un ottimo marito e padre.
«Sei un amore, Eren! Per stavolta fingerò di non averti visto con quella schifezza. Ora va, prima che io cambi idea!»

L'eco di quella frase riecheggiava nella mente di Eren mentre sbuffava del fumo dal naso. Non aveva mai preso in considerazione l'idea di smettere di fumare, se non in una delle lettere dedicate a Levi, perché non gli interessava di morire.
Il retro del cortile, come sempre, era deserto. Trovandosi dietro l'edificio, nascosto agli occhi dei professori, era presto diventata una zona ad accesso vietato, per cui davvero in pochi erano disposti a correre il rischio. Nel giro di poco tempo, infatti, era diventato il rifugio, ritrovo e posto preferito di Eren.
Il rumore di passi dietro di lui non lo fece né spaventare né voltare; il castano si limitò a continuare a fumare, in silenzio, tenendo lo sguardo fisso sul cielo con la schiena appoggiata al tronco di un albero.
«Moccioso, smettila di seguirmi. E spegni quella merda», ringhiò Levi all'altezza del suo orecchio. Un brivido di piacere gli attraversò la schiena, spezzando la pace di quel momento.
«Mi scusi capitano, ma se lei è arrivato dopo di me, se mai è lei che mi sta seguendo».
Eren fu in procinto di darsi un pugno in pieno viso e stordirsi per qualche ora; aveva chiamato di nuovo il professore 'capitano', con la differenza che, due giorni prima, stava lavorando ed era tenuto a farlo.
«Jaeger, ero seduto lì quando sei arrivato», continuò, indicandogli un punto indefinito del cortile. Eren doveva essergli passato accanto senza nemmeno vederlo, tanta era la voglia di rilassarsi un po' e di fumarsi la sua meritata sigaretta.
«Ah», disse solamente, grattandosi la nuca, «mi scusi professore».
Rimasero in silenzio per qualche minuto. In lontananza si sentivano le voci di tutti i ragazzi riuniti attorno al falò, che cantavano ed urlavano, divertendosi come matti.
«Come stai, Eren?», chiese all'improvviso Levi, sorprendendo il più piccolo.
Da quanto tempo qualcuno non gli poneva sinceramente quella domanda? O perlomeno, qualcuno gliel'aveva mai posta con sincerità?
«Tutto bene, grazie. E lei?»
Perché aveva mentito? Ormai era fin troppo abituato a farlo, ma non ne aveva motivo con Levi. Il professore, consapevole di non aver ricevuto una risposta veritiera, rimase in silenzio.
«Cioè, io -- non lo so. Sono stanco, di tutto. Sono anni che tiro avanti, ma a volte mi chiedo, ne vale davvero la pena? Sono costantemente solo, non dormo mai, mangio ancora meno, non faccio altro che studiare e fumare. Mi ritrovo costretto a rifiutare l'unica persona che si sia mai innamorata di me, perché amo qualcun altro che non considera nemmeno la mia esistenza, beccandomi anche un ceffone e subito dopo un bacio. E sto raccontando tutto questo al mio professore di letteratura, quindi sì, sono davvero disperato», scherzò alla fine, ridendo alla vista dell'espressione di Levi.
Eren non sapeva se stava facendo la cosa giusta nel parlare di sé in quel modo al corvino; si rese anche conto del fatto, però, che voleva essere amato per ciò che era, per cui quello era un passaggio strettamente necessario.
«Ti fai ancora problemi dopo avermi pianto davanti?», chiese il professore, con un tono più tagliente del dovuto, «tranquillo, Jaeger. Troverai il tuo posto nel mondo», si addolcì subito dopo.
Levi, in realtà, stava provando emozioni fin troppo contrastanti tra loro: era attratto in maniera spaventosa dal ragazzo, dagli addominali che si intravedevano da fuori la maglia nera e da quegli occhi verde peridoto; si era ingelosito furiosamente nel sapere che Eren era stato baciato da quel merdoso, ma era sollevato dal fatto che lo avesse rifiutato. Infine, così come dopo aver letto il suo ultimo tema, sentì il suo freddo cuore incrinarsi nel venire nuovamente a sapere che lo Jaeger era già innamorato di qualcuno. Tutte queste informazioni, seguite dall'ingarbugliato vortice di emozioni di cui era oramai vittima, lo fece innervosire più del dovuto, tanto che, prima di rendersene conto, aveva bloccato il ragazzo al tronco dell'albero su cui si stava poggiando, tenendo fermamente ancorate le braccia ai lati del suo viso.
La sigaretta, ormai quasi terminata, cadde dalle labbra di Eren finendo al suolo; Levi si affrettò a spegnerla con la suola della scarpa, per poi fiondare nuovamente il suo sguardo in quello stupito del più piccolo.
Non stava reagendo in alcun modo: non stava provando ad allontanando, né sembrava disgustato da quel contatto. Mentre Levi si avvicinava lentamente al suo viso, la paura di essere visti e il pensiero di ciò che poteva succedere se davvero si fossero baciati, erano riusciti ad eccitare entrambi.
Eren, a quel punto, decise di reagire: avvicinò il bacino a quello del professore, facendogli sentire la sua eccitazione attraverso la stoffa della tuta, che lasciava molto spazio al suo membro ormai quasi completamente eretto.
Levi non si smosse di un centimetro, nonostante quel contatto lo stava mandando su di giri. Perché Eren si era comportato così? E perché anche lui sembrava eccitato?
A pochi millimetri dalle sue labbra, quasi sul punto di baciarlo, Levi alzò lo sguardo verso il cielo, interrompendo bruscamente il loro momento.
Lo spettacolo dei fuochi d'artificio era iniziato: fiori di fuoco si espandevano per il cielo stellato, illuminando il viso dei due, rivelandoli entrambi completamente arrossati.
«Tranquillo, ti perdono per avermi chiamato "stronzo". E "pezzo di merda"», disse all'improvviso Levi, abbozzando un ghigno per poi allontanarsi dal retro del cortile, lottando contro il desiderio di tornare indietro e possedere Eren lì, appoggiati al tronco di quell'albero.
Eren, dal canto suo, era agitato, felice, confuso, ma soprattutto eccitato. Che cazzo era appena successo? Ma soprattutto, perché aveva la netta sensazione che non sarebbe bastata una vita per fargli dimenticare quell'eccitazione?

- Levi, buonasera! Oggi ero al festival scolastico, e destino vuole che io ti abbia visto! È stato divertentissimo starti vicino e parlarti senza che tu sapessi la mia vera identità! -, inviò il primo messaggio Eren, ridacchiando.
- Lo sai...il solo fatto di stare con te, professor Levi, mi eccita da morire...stare vicini, guardarci, mi fa impazzire...è schifoso, vero? Ma io ti amo fino a questo punto, non posso farci niente -, continuò a scrivere, per poi posare il telefono sul comodino con l'intenzione di non riprenderlo fino alla mattina successiva.
Si addormentò, sorridendo, abbracciando uno dei cuscini che teneva stretto tra le cosce.

«Oh», sussurrò Levi, leggendo il messaggio non appena rientrato in casa.
Si sentiva stanco, esausto dagli avvenimenti; eppure quel messaggio, incredibilmente, smosse qualcosa dentro di lui, riuscendo a farlo eccitare per la seconda volta in quella sera.
Fu così che Levi dovette rinunciare al sonno, per l'ennesima volta, per andarsi a fare una doccia fredda. Anzi, ghiacciata.

Quei due, prima o poi, lo avrebbero fatto impazzire.

🌸Angolo S e r e n a🌸
Buonasera! FINALMENTE SONO RIUSCITA AD AGGIORNAREE😂💕
Ebbene sì, ce l'ho fatta! Mentre non c'ero sono successe tantissime cose: ho avuto vari esami universitari, ho partecipato all'Etnacomics (festival del fumetto e della cultura pop a Catania), ed ho anche ho iscritto la storia ai Wattys 2019!

Nella mia assenza, siamo anche arrivati a 1000 letture e 185 stelline, vi ringrazio infinitamente 😭 grazie anche per tutto il vostro supporto, vi voglio bene 💕

Alloooora, che ne pensate di questo capitolo? Fatemi sapere 😏

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