BORDERLINE - Ereri/Riren -

By Ackerbitch

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II COMPLETA II Eren Yeager, studente diciassettenne di quinta liceo, ha davvero toccato il fondo. Dopo anni d... More

INTRODUZIONE
I - 3 Dicembre, Giorno 1
II - 3 Dicembre, Giorno 1
III - 5 Dicembre, Giorno 3
IV - 9 Dicembre, Giorno 7
V - 10 Dicembre, Giorno 8
VI - 11 Dicembre, Giorno 9
VII - 12 Dicembre, Giorno 10
VIII - 15 Dicembre, Giorno 13
IX - 16 Dicembre, Giorno 14
X - 17 Dicembre, Giorno 15
XI - 23 Dicembre, Giorno 21
XII - 24 Dicembre, Giorno 22
XIII - 25 Dicembre, Giorno 23
XIV - 27 Dicembre, Giorno 25
XV - 29 Dicembre, Giorno 27
XVI - 30 Dicembre, Giorno 28
XVII - 31 Dicembre, Giorno 29
XVIII - 1 Gennaio, Giorno 30
XIX - 8 Gennaio, Giorno 37
XX - 13 Gennaio, Giorno 45
XXI - 17 Gennaio, Giorno 49
XXII - 2 Febbraio
XXIII - 14 Febbraio
XXV - 1 Maggio
XXVI - 27 Giugno
XXVII - 18 Luglio
XXVIII - 21 Luglio
XXIX - 10 Agosto
XXX - 24 Ottobre
XXXI - 25 Dicembre
XXXII - 31 Dicembre
XXXIII - 20 Febbraio
Ringraziamenti

XXIV - 30 Marzo

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By Ackerbitch

Eighteen

Simple Plan – Me Against the World

EREN

Buon compleanno, moccioso.

È da quando Levi mi ha inviato gli auguri a mezzanotte che non stacco gli occhi da quelle parole sullo schermo del mio cellulare, un po’ perché il fatto che abbia aspettato lo scoccare del nuovo giorno per farmi gli auguri -nonostante attaccasse il turno in reparto la mattina pesto- mi ha scaldato il cuore facendomi sentire amato e desiderato in un modo nuovo, un po’ perché quel messaggio oggi ha un significato particolare. Non è solo io mio compleanno, è il compleanno. Oggi divento maggiorenne, ed entro ufficialmente a fare parte del mondo degli adulti.

E mi chiedo come io sia arrivato fin qui. Se guardo indietro nella mia vita, immergendomi nel passato, mi rendo conto come abbia trascorso la maggior parte dei giorni della mia adolescenza a sopravvivere, non a vivere. Mi sento derubato del mio tempo, rancoroso verso la malattia che me lo ha tolto; una parte di me invece è stranamente felice.

Se mi avessero chiesto anche solo pochi mesi fa come avrei immaginato il mio diciottesimo compleanno, avrei risposto solamente con un’amara risata. Forse perché non volevo vivere e speravo che il mio corpo giacesse freddo e abbandonato alla carezza della terra di una tomba e stretto fra le braccia della morte, forse perché il mio compleanno non sarebbe mai stato come quello degli altri. Nessun amico da invitare oltre ad Armin, nessun parente con cui condividere quella giornata tranne i miei genitori. Sarebbe stata solo un’occasione per rimanere a casa, tirare le tende e abbassare le tapparelle della camera per tentare di confondermi nel buio fino a svanire come parte di esso.

Evidentemente, mi sbagliavo.

I ragazzi sono usciti tutti dall’ospedale, e abbiamo deciso di tenere fede alla nostra promessa di rincontrarci proprio oggi.

Non ho più rivisto nessuno di loro per una serie di sfortunate coincidenze; ogni volta che capitavo in reparto per un colloquio, erano fuori con qualche infermiere o in permesso, o anche loro fra le grinfie di qualche medico; li ho soltanto sentiti per messaggio.

Questo ad eccezione di Mikasa. Con lei ho stretto un rapporto fantastico, e da quando è stata dimessa -da diciottenne- più di un mese fa, abbiamo colto l’occasione per incontrarci qualche volta, e lo storico duo Yeager-Arlert si è presto trasformato in un trio. Lavora in un nuovo bar che è stato inaugurato recentemente poco lontano dal nostro liceo, in cui ultimamente abbiamo speso i nostri pomeriggi davanti a un libro e una tazza di qualche bevanda calda; con i soldi dello stipendio riesce a pagarsi l’affitto che divide con le sue coinquiline e le varie spese. Nonostante la paga non sia eccezionale, è entusiasta di lavorare e soprattutto di essersi guadagnata la sua indipendenza e non dover fare più affidamento sulle case famiglia che hanno segnato il suo passato tanto negativamente. Si merita questa tranquillità.

Il pensiero di rivederli e di scoprire riflessi nei loro visi e nei loro occhi i cambiamenti e le vittorie guadagnate con fatica nelle battaglie quotidiane mi carica di un’ansia positiva; non la solita morsa del panico, ma una dirompente scarica di adrenalina.

Improvvisamente il mio stomaco brontola in protesta; mio padre si sarebbe dovuto fare vivo già una mezz’oretta fa per pranzo, ma probabilmente avrà avuto qualche imprevisto al lavoro, nonostante abbia preso un permesso per il pomeriggio proprio per festeggiare. Mi raggomitolo ancora di più sul divano, portandomi il cellulare al petto e allungandomi in una posizione contorta per prendere le cuffiette ingarbugliate poggiate sul tavolino in legno scuro, ma la voce di mia madre interrompe la mia azione.

“Tesoro, ti dispiacerebbe andare a prendere il mio telefono? Devo averlo lasciato in giardino prima mentre davo una spuntata alle rose, dovrebbe essere sulla panchina.”

“Si mamma.”

Rispondo prontamente, alzandomi tanto di fretta dal divano da avere il capogiro e facendo rotta nel piccolo cortile, che sta iniziando a sbocciare dei colori di primavera a inebriare l’aria col profumo fresco e dolce di quei fiori dai petali dalla consistenza impalpabile. Mi chiedo però quando mia madre abbia avuto il tempo di venire fuori a fare giardinaggio, visto che ha passato l’intera mattinata ai fornelli. Ero così preso dai miei pensieri da non averla vista uscire?

Apro distrattamente la porta di casa e rivolgo uno sguardo distratto alla piccola panchina in ferro battuto, aggrottando le sopracciglia in confusione quando la trovo vuota. Non ho neanche il tempo di dare un’occhiata in giro che il suono di un clacson mi costringe a puntare gli occhi sulla strada.

Seduto all’interno di una Range Rover decappottabile e di un grigio scuro metallizzato, -nonché la macchina dei miei sogni- c’è mio padre che mi saluta dal finestrino semi abbassato, un ghigno trionfante e divertito sulle labbra.

“Non ci credo…”

Sussurro portandomi una mano alla bocca, notando la grossa coccarda verde sul tettuccio della macchina. Sento i miei occhi pizzicare e un moto di commozione scuotermi da testa a piedi mentre la risata cristallina di mia madre giunge alle mie orecchie, sovrapponendosi a quella dal tono più grave di mio padre. Mi porto le mani sugli occhi e affondo il volto fra le dita; la carezza delicata di mia madre raggiunge la mia schiena e io non esito un istante a gettarmi fra le sue braccia. La stringo a me, respirando il suo profumo di casa e di fiori, mi abbasso di poco per affondare la testa nell’incavo del suo collo e lasciare che intrecci le sue dita sottili fra i miei capelli perennemente in disordine. Quand’è che l’ho superata in altezza? Probabilmente la malattia mi offuscava tanto da farmi perdere anche questi piccoli dettagli di vita quotidiana.

Un singhiozzo sommesso seguito da un sospiro lascia le mie labbra, mentre sento la macchina rombare, segno che mio padre sta entrando dal grosso cancello in ferro. Non passa molto prima che anche le sue mani forti lascino delicate pacche e carezze sulla mia schiena, e più di qualche lacrima ha rigato le mie guance, lasciandosi alle spalle una lucida scia salata. Porto i pugni chiusi a stropicciarmi gli occhi mentre mi divincolo dalla stretta di mia madre, mormorando ringraziamenti sconnessi con voce tremante.

“G-Grazie, grazie! I-Io non me la merito, non sono nient’altro che un pessimo figlio… Però g-grazie davvero.”

“Te la meriti, invece. E non pensare quelle cose di te stesso, Eren. Siamo fieri di te e delle tue battaglie e non smetteremo mai di starti accanto e di sostenerti.”

Il tono di mio padre è deciso ma intriso di una dolcezza spiazzante al tempo stesso. Quelle parole fanno bene alla mia mente come il migliore degli unguenti curativi, leniscono e mettono a tacere tutti quei pensieri che urlano quanto io valga meno di zero. Forse hanno davvero ragione e non ho valore come essere umano, forse hanno ragione anche quando ridono a crepapelle del mio aspetto fisico. Forse davvero non valgo niente, ma per oggi non m’importa. Possono gridare fino a disperarsi e a sperare di dilaniarmi il cervello con le loro voci stridule e assordanti, ma non cederò.

Forse, me lo merito un attimo di felicità, così come mi merito l’orgoglio dei miei genitori.
E non so se questo sia perfettamente giusto o terribilmente sbagliato, so soltanto che nulla mi impedirà di godermi a pieno questa giornata.

“Ma non ho ancora neanche preso la patente!”

Rido, mentre asciugo l’ultima lacrima dal mio zigomo e faccio saettare il mio sguardo sulle figure dei miei genitori.

“Ma sei già iscritto a scuola guida e hai già studiato per l’esame di teoria, tesoro. Non ci vorrà molto prima che tu prenda la patente; e te la sei davvero meritata. Consideralo pure un regalo per il tuo diciottesimo e per la maturità.”

Mia madre mostra il suo assenso a quelle parole con un deciso cenno del capo ed un sorriso. In qualche modo però quel discorso mi colpisce con un senso d’inquietudine.

“Ma se non mi sono ancora diplomato! Lo so che manca poco, ma potrebbe andare male, non riuscire a prendere un bel voto o non riuscire a diplomarmi affatto se dovessi tornare a stare male… Potrei deludervi.”

E potrei deludere anche me stesso. Tuttavia tengo quelle parole per me, ben confinate e silenti nei miei pensieri. Le iridi verdi di mio padre si fissano nelle mie, infondendomi sicurezza e caricandomi di adrenalina.

“Sappiamo che non lo farai, Eren. Crediamo in te, e abbiamo piena fiducia nelle tue capacità.”

Mi sento sciogliere dall’interno a quella confessione, mi sento invincibile e determinato. Per la prima volta nella mia vita, mi sento capace di fare qualcosa. Annuisco con un cenno del capo energico e convinto. Posso farcela.

“Andiamo dentro ora, il pranzo è pronto e si fredderà. Avrai tutto il tempo di ammirare il tuo gioiellino dopo.”

Lancio un ultimo sguardo alle linee decise e alla vernice lucidissima della mia nuova macchina, avvicinandomi piano giusto per saggiare la carrozzeria impeccabile sotto le dita prima di seguire i miei genitori all’interno della casa, dove ci aspetta il nostro pranzo. Tutte queste emozioni mi avevano fatto dimenticare di quanto, fino a qualche istante prima, il mio stomaco brontolasse in protesta.

Mamma, papà: non vi deluderò, non questa volta.


________


Mi guardo per l’ultima volta allo specchio, aggiustando il papillon blu e sistemando una ciocca corta e ribelle sfuggita alla presa del gel e dell’elastico dietro l’orecchio. Passo le mani sul giubbottino leggero e scamosciato marrone, che crea contrasto con la camicia bianca e i pantaloni blu, attillati e dalla linea elegante, che indosso. Oggi mi concedo addirittura il lusso di trovarmi accettabile, non rivoltante. Un ragazzo normale come tanti.

“Tesoro, sei pronto? Levi è qui.”

La sua voce dal piano inferiore mi arriva appena udibile.

“Si mamma!”

Le urlo dietro, rivolgendo un’ultima occhiata fugace alla mia immagine riflessa prima di uscire dal bagno e dirigermi verso le scale, scendendole piano. Sono teso all’idea di rincontrare i miei amici, fremo al pensiero che fra non molto saremo tutti insieme, seduti attorno allo stesso tavolo e in compagnia di un’ottima pizza. Mi dirigo verso la porta d’ingresso, abbracciando i miei genitori prima di fiondarmi fuori e cercando di infondergli con quel contatto tutta la gratitudine e il profondo affetto che provo nei loro confronti. Ho insistito affinché partecipassero anche loro alla nostra rimpatriata, ma hanno deciso di lasciare noi ragazzi da soli; in fondo, abbiamo trascorso tutto il pomeriggio insieme.

Apro il pesante portone richiudendomelo subito alle spalle, sorpreso di trovare Levi comodamente seduto alla guida della mia nuova Range Rover fiammante con un ghigno sul volto.

“Che fai lì impalato? Forza, salta su.”

Non me lo faccio ripetere due volte e prendo posto accanto Levi, lascando che il tessuto morbido dei sedili nuovi di zecca si modelli perfettamente sotto la mia schiena; mi compiaccio della loro morbidezza. Mi sporgo verso di lui, posando un casto bacio sulle sue labbra sottili e perfette. I nostri respiri si mescolano per qualche istante prima di rompere quel contatto.

“Ciao, Levi”

“Sei bellissimo, Ren. Buon compleanno.”

Non mi da neanche il tempo di reagire a quel suo commento imbarazzante che rivolge le iridi di ghiaccio sulla strada, impostando il navigatore e facendo rotta verso la pizzeria.

Il viaggio trascorre tranquillo, fra le mie ispezioni curiose in ogni angolo del mio nuovo bolide e conversando con Levi delle mie aspettative e paure per la serata. È un ottimo ascoltatore, complice forse l’allenamento che fa in reparto per il suo futuro lavoro. Ancora non riesco a capacitarmi di come sia il mio ragazzo, mentre mi perdo nell’osservare il movimento delle sue labbra ogni volta che le due sillabe del mio nome sembrano scivolare dalla sua lingua come fossero miele. È semplicemente perfetto.

Posteggiamo l’auto nel parcheggio interno della pizzeria e ci accingiamo ad entrare. Nulla di troppo sfarzoso o elegante, i muri sono dipinti di un caldo colore aranciato e le lunghe tavolate imbandite con innumerevoli pietanze e prelibatezze; il vociare sommesso delle persone ci investe non appena varchiamo la soglia del ristorante.

Un cameriere dallo sguardo gentile ci fa strada verso il nostro tavolo e scopriamo con nostra sorpresa che non è vuoto. A quanto pare, i ragazzi hanno deciso di anticipare il loro arrivo per farsi trovare tutti insieme, e sento le gambe tremare a quella sorpresa. È troppo, e involontariamente i miei occhi si inumidiscono al loro augurio di buon compleanno urlato a gran voce.

“Tanti auguri, Eren!”

Mi porto una mano al petto mordendo il mio labbro inferiore per cercare di smorzare un sorriso ebete, ma vengo poco dopo travolto dalle braccia di Armin e Mikasa. Ricambio la stretta carezzando piano le loro schiene, poi interrompo quel contatto soltanto per puntare i miei occhi nei loro. Nonostante abbia visto il biondo ieri e la corvina una settimana fa, la loro compagnia è sempre un toccasana per la mia mente.

“Eren! Da quanto tempo! Come stai?”

Gli occhi cristallini di Historia si fissano nei miei mentre mi scruta da sotto le sue lunghe ciglia truccate e fa rotta verso di me. Il suo incarnato è roseo e vivo il suo volto più pieno. Constato con mia sorpresa e compiacimento che ha preso qualche chilo che accenna le forme del suo corpo nei punti giusti, i capelli biondissimi sono tanto lucidi da sembrare risplendere di luce propria. C’è solo un aggettivo che mi viene in mente a guardarla nel suo grazioso vestitino in pizzo azzurro: radiosa. E di sicuro non mi sono immaginato gli sguardi poco fraintendibili che Ymir le lancia, ancora seduta al tavolo con le mani affondate in una delle sue classiche felpe larghe e mascoline. Sollevo una mano in cenno di saluto nella sua direzione e ricambia il mio gesto, imitata prontamente da Sasha

“Bene, grazie. E tu? Ti trovo bene.”

Mi rivolge un il sorriso più luminoso che le abbia mai visto fare prima di prendere la parola.

“Alla grande! Sto davvero meglio. Riesco a mangiare senza farmi troppi problemi e mi sento davvero in forze.”

Una sonora pacca sulla mia spalla mi fa storcere il naso.

“Toh, chi non muore si rivede! E chi lo avrebbe mai detto che tu e Levi…”

Esordisce Gabi, ammiccando maliziosamente in direzione del corvino e rifilandomi una gomitata sul fianco.

“Gabi!”

La richiama Jean, le braccia incrociate al petto, gli occhi sottili puntati nei miei e il naso arricciato.

“Sono qui solo per il cibo gratis Yeager, non perché ci tenessi a rivedere il tuo brutto muso da bastardo suicida.”

“Dai Jean! Non essere sempre così scontroso.”

Se la mia mascella non fosse tenuta insieme da una rete intricata di muscoli e tendini, si sarebbe infranta miseramente a terra al suono deciso e dolce della voce di Marco; il suo volto spruzzato di lentiggini è segnato da uno sguardo di rimprovero nei confronti dell’amico. Non sfugge al mio sguardo attento il rossore che colora le gote di Jean quando il corvino gli poggia una mano sulla spalla prima di rivolgermi un sorriso. Non credo ai miei occhi nel vederlo così a suo agio, di vedere riflessa nelle sue iridi una rinnovata fiducia in sé stesso. Mi sento parte di loro, fiero e orgoglioso delle nostre battaglie e dei nostri progressi. E forse ho sbagliato a definire mentalmente quella faccia di cavallo un amico di Marco.

Un sorriso nasce sulle mie labbra, addolcendo i miei lineamenti.

“Mi siete mancati, ragazzi.”

________

“Vedi un po’ di non tentare di ammazzarti di nuovo, che la prossima volta un reparto di neuropsichiatria infantile te lo sogni: ti internano direttamente nella neuro adulti, e lì ci trovi pure i vecchi incontinenti.”

Commenta pungente Ymir, e nonostante si sforzi per far suonare la sua voce piatta e strafottente come sempre, riesco a percepire che qualcosa non va. Per tutta la durata della cena è stata stranamente silenziosa, lanciando con leggibile fatica qualche frecciatina o qualcuna delle sue solite battutine di cattivo gusto. Deve essere sicuramente entrata in fase depressiva, e a conferma della mia teoria ho trovato le scure occhiaie e le marcate borse sotto i suoi occhi dal taglio affilato.

Accetta una sigaretta dal mio pacchetto e se la porta alle labbra, mormorando un grazie sommesso e inalando la nicotina con sguardo perso verso la luna e le stelle che brillano timide in cielo. Gli altri invece sono impegnati a parlare poco distanti da noi, e mi compiaccio di come Levi sia perfettamente a suo agio e sia entrato in sintonia con Armin. Si trovano bene, e questo per me è davvero importante.

Uno scoppio improvviso mi riporta alla realtà e mi fa buttare la sigaretta a terra. Mi strozzo col fumo e tossisco, mentre vengo investito da una pioggia di coriandoli colorati.

“WOOOOOOOOHOOOOOO! È QUI LA FESTAAAA?!”

Hanji fa irruzione nel piccolo cortile antistante la pizzeria, un ghigno folle sul volto. Nanaba la segue a pochi passi di distanza insieme a Petra, che stappa uno spumante. Immediatamente fisso le mie iridi in quelle glaciali di Levi, l’unico che può aver organizzato una cosa del genere.

“UN BRINDISI PER IL NOSTRO FESTEGGIATO! TANTI AUGURI EREEEEEN!”

Non mi lascia neanche il tempo di salutare che mi infila un bicchiere fra le mani sotto il mio sguardo confuso e ci versa dentro il liquido ambrato, prendendo la bottiglia in vetro scuro dalle mani della rossa.

“Oi, oi! Vuoi stecchirli tutti, per caso? Ti sembra il caso di dargli dell’alcool con le dosi di psicofarmaci che si ritrovano in corpo?”

Il tono di Levi assume una sfumatura protettiva mentre Isabel, sbucata da chissà dove, inizia a strizzarmi le guance fra le mani e a tessere mille lodi nei miei confronti su quanto io faccia bene a quello scorbutico del suo migliore amico.

“Ma soltanto un goccio, solo un sorso! Non succederà niente, bisogna brindare! È proprio necessario, Levi!”

Ignorando le proteste del mio ragazzo, rifila anche a lui un bicchiere già pieno e inizia ad intonare un “tanti auguri a te” che coinvolge subito tutti. Tento di ignorare l’imbarazzo del non sapere cosa fare durante la durata della canzone, abbasso lo sguardo sulle punte delle scarpe lucide e mi torturo le dita delle mani fino a quando Nanaba non ci incita a portare alle labbra i nostri bicchieri.

Prendo una sorsata dell’alcolico all’interno, assaporandone il gusto secco e deciso e lasciando che scenda, bruciando la mia gola.

“Vogliamo il discorso, Yeager!”

Mi incita Jean, sostenuto da Gabi; la più piccola del gruppo protesta per assaggiare un sorso dello spumante che nessuno le concede.

“Ragazzi i-io… Non ho niente da dire se non ringraziarvi tutti, davvero. Non credo ci siano parole per esprimere quanto vi sia grato e quanto mi faccia piacere aver trovato persone come voi con cui condividere le battaglie di ogni giorno, quindi davvero, grazie a tutti voi.”

Nanaba fa partire un applauso, Levi si avvicina a me e mi cinge i fianchi con un braccio, attirandomi a sé.

“Qua ci vuole il bacio però!”

Urla Hanji, incitata da tutti gli altri ragazzi e da una Isabel euforica.

“Bacio! Bacio! Bacio! Bacio!”

Mi sento avvampare immediatamente, tentando di sfuggire alle molteplici paia di occhi che sento puntati addosso e che sembrano scavare buchi nella mia pelle. Levi raggiunge la mia mano con la sua intrecciando le nostre dita, prima di prendermi il mento fra due dita e reclamare il possesso della mia bocca. Le sue labbra si muovono morbide e delicate sulle mie, modellandole sotto il loro tocco etereo. Quando mordicchia piano il mio labbro inferiore e lo succhia appena, un coro di approvazione generale si leva dai nostri spettatori. Mi carezza piano una guancia e mi lascia dei casti, veloci e umidi baci a stampo prima di interrompere definitivamente quel contatto.

“Non è ora del regalo, Levi-bro?”

Lo sguardo glaciale di Levi si poggia su Isabel, che pare del tutto immune alla minaccia silente celata dietro quelle iridi in tempesta tanto belle da togliere il fiato. Si limita a fissarlo di rimando con un sorriso impertinente che si allarga sul suo volto alla vista della frustrazione del corvino.

“Dopo, Isa.”

“Ma come dopo!”

Si lagna Nanaba, mettendo un broncio.

“Esatto, vogliamo vedere!”

Continua Hanji, rivolgendo uno sguardo supplichevole a Levi.

“Tch.”

Si passa nervosamente una mano fra le setose e lucide ciocche corvine, tirando fuori dal taschino del suo giubbotto in pelle una scatolina allungata. Dagli sguardi curiosi delle infermiere attorno a noi qualcosa mi dice che conoscono alla perfezione il contenuto di quella confezione blu. Levi sembra stranamente a disagio.

“Entro l’anno nuovo!”

Tuona Ymir; Levi sbuffa, infastidito dal commento. Apre la bocca come se volesse dire qualcosa, ma la richiude di scatto poco dopo, passandomi la scatolina che accolgo fra le mie mani con guardo interrogativo mentre si porta una mano dietro la nuca. Realizzo che questa è probabilmente la prima volta che lo vedo così a disagio, messo in soggezione dalla nostra audience e forse anche dal regalo in sé.

Me la rigiro fra le mani prima di sollevare delicatamente il coperchio che scivola via senza alcuna resistenza; mi trovo davanti agli occhi due fascette in lucidissimo metallo, perfettamente uguali.

Fedine.

La mia espressione tradisce tutta la sorpresa che provo, mentre Levi si porta fra i denti, in maniera quasi impercettibile, il labbro inferiore. Le sue sopracciglia sono leggermente aggrottate, i lineamenti armonici del suo volto contratti.

Mi sento come sospeso in una bolla, improvvisamente non sono più nel cortile della pizzeria ma mi sento avvolto dalla soffice e accogliente ovatta del sentimento che provo per Levi. Ha scelto me, lui ha scelto me nonostante le mie difficoltà e le battaglie che affronta ogni giorno al mio fianco, ha scelto me nonostante chiunque cadrebbe ai suoi piedi senza alcuna esitazione. Ha scelto me, Eren Yeager, il ragazzo che una volta credeva di essere un caso perso. E il suo regalo è troppo sentimentale, molto di più di un semplice simbolo per dire che ci apparteniamo; mi arriva dritto al cuore.

La sensazione delle lacrime imminenti viene sopraffatta e completamente spazzata via da una calma devastante, mai provata prima d’ora; esiste solo la muta promessa delle braccia di Levi che mi stringono a sé, della sua voce profonda che sussurra parole tanto dolci da farmi sciogliere, solleticando il mio orecchio e del suo fiato caldo sulla mia pelle.

“Avevo paura di aver esagerato con un regalo simile… Ma mi sentivo di farlo, e sono davvero contento che ti sia piaciuto.”

Lo stringo più forte, respirando il suo odore di the nero e di pulito come se fosse l’unica cosa necessaria a tenermi in vita. Affondo la testa nell’incavo del suo collo, e tutto attorno a me sembra sbiadito. Non esistono parole per ringraziarlo per quel regalo che va il ben oltre l’oggetto materiale. Esiste solo Levi.

Levi, Levi, Levi.

Esistiamo solo io e lui, e per qualche attimo il resto non conta.

_______________________________________

SPAZIO AUTRICE

Eren, diciotto anni appena compiuti, ha già una macchina che neanche può guidare. Io, ventuno anni suonati, non ho neanche la patente😂🙈 questo è quello che chiamo ingiustizia😂😂

Anyway, tornando a noi, ecco dell'altro fluff. Mi sembrava troppo carino far regalare ad Eren delle fedine di fidanzamento da parte di Levi🥰🥰 il loro legame cresce di giorno in giorno 👨‍❤️‍💋‍👨

Finalmente fanno di nuovo la loro comparsa anche gli altri ragazzi, e spero che abbiate apprezzato i loro progressi!

Spero che il capitolo vi sia piaciuto, vi ringrazio tutti come al solito e ci vediamo domenica! ❤️✨

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