Psychotic [h.s.] (Italian tra...

By TheCousinsGang

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"L'amavo non per il suo modo di ballare con i miei angeli, ma per come il suono del suo nome poteva mettere a... More

Psychotic (Italian translation)
SONG - LIST
Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
Capitolo 8
Capitolo 9
Capitolo 10
Capitolo 11
Capitolo 12
Capitolo 13
Capitolo 14
Capitolo 15
Capitolo 16
Capitolo 17
Capitolo 18
Capitolo 19
Capitolo 20
Capitolo 21
Capitolo 22
Capitolo 23
Capitolo 24
Capitolo 25
Capitolo 26
Capitolo 27
Capitolo 28
Capitolo 29
Capitolo 30
Capitolo 31
Capitolo 32
Capitolo 33
Capitolo 34
Capitolo 35
Capitolo 36
Capitolo 37
Capitolo 39
Capitolo 40
Capitolo 41
Capitolo 42
Capitolo 43
Capitolo 44
Capitolo 45
Capitolo 46
Capitolo 47
Capitolo 48
Epilogo
Ringraziamenti
AVVISO
THE COUSINS' GANG POV

Capitolo 38

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By TheCousinsGang

HARRY'S POV.

Non sapevo esattamente ciò che Jane fosse per me. Un'amica? Un'alleata? Solo un'altra paziente? No, sicuramente nessuna delle tre opzioni. I pazienti qui non erano nulla per me, e lei alla fine era più di questo. Lei era qualcuno. Lei era una strana donna silenziosa con molti problemi. Lei era interessante, era buona. Lei aveva un figlio.

Forse era giovane, forse era vecchio. Forse gli importava di sua madre, forse no. Ma ora questo figlio non aveva più una madre. Non poteva più desiderare il giorno del suo rilascio, non sarebbe più potuto venire a farle visita, non si sarebbe più potuto mettere in contatto con sua madre.

E per qualche ragione, mi sentii tanto in colpa per questo.

"È colpa mia," le parole vennero fuori silenziose, ma Rose mi aveva ascoltato. Istintivamente, spostò la sua mano sulla mia in segno di conforto.

"No, non lo è, tu non-"

"Sì, lo è," interruppi. "Quando sono andato a parlare con la Signora Hellman per cambiare la tua guardia, mi ha chiesto il motivo." L'espressione perplessa di Rose mi sollecitò a continuare. "Così le dissi di Jane." I miei occhi guardavano il mio grembo, non volendo incontrare i loro sguardi.

"Cosa?" Chiese Mikayla.

"Sì, le ho detto che Kevin non doveva essere la guardia di Rose dal momento che abusava di Jane. E non so perché, ma forse per questo motivo la Signora Hellman l'ha fatta portare in sala operatoria."

"Non ha senso," replicò Rose. "Perché avrebbe dovuto farlo?"

"Chissà," feci spallucce. "Stiamo parlando della Signora Hellman. Avrebbe potuto farlo solo per farci un dispetto. O magari non voleva che Jane parlasse, non voleva nessuna prova sul fatto che le sue guardie stessero stuprando delle donne. Succo della storia: se non avessi detto niente, Jane sarebbe qui."

"Non avevi idea che la Signora Hellman avrebbe fatto una cosa del genere. Stavi solo cercando di proteggermi, Harry. Hai fatto la cosa giusta," le parole di Rose alleviarono lievemente il peso sulle mie spalle, ed annuii per il suo bene, anche se io non credevo davvero alle sue parole. "Inoltre," Rose continuò, "non sappiamo per certo che lei sia morta." Ma la sua voce non suonò fiduciosa.

"Aspettate, morta?!" Chiese Mikayla un po' troppo forte, e per un momento, avevo dimenticato che lei fosse ancora qui. L'avevamo ignorata.

"Manca da due giorni, dove altro potrebbe essere?" Domandai.

"Forse è ancora in quella stanza," disse Rose. "Forse è viva."

Feci un respiro profondo. "No, Rose, non penso." Aveva una sorta di speranza nelle persone, e per questo la ammiravo, ma a volte questa speranza portava solo ad una delusione.

Lei non avrebbe dovuto sapere, a differenza mia,  del male che poteva celarsi sotto la pelle umana. Non avevano avuto problemi nell'eliminare Cynthia Porter dall'esistenza, ed ero certo che non avrebbero avuto alcun problema a fare la stessa cosa a Jane.

"Pensi che l'abbiano fatto perché sanno che stiamo cercando di fuggire?" Sussurrò Rose. I suoi occhi profondi erano spaventati mentre cercavano un rifugio nei miei. E volevo disperatamente esserlo per lei, essere quello di cui lei avesse bisogno. Avrei potuto difenderla se non fosse stato per le fottute sbarre che ci dividevano ogni notte.

Ma un 'non penso' fu tutto ciò che riuscii a dire per rassicurarla al momento. "Probabilmente non vogliono che le persone più sane di mente collaborino, questo è tutto. Anche se non penso sappiano cosa abbiamo in mente."

Annuì e rilasciò un sospiro di sollievo. Ma le sue spalle si accasciarono e si poggiò all'indietro sulla sua sedia, come se qualcosa la stesse ancora turbando.

"Cosa c'è?" Domandai.

"Niente," disse Rose, ancora distratta.

"Rose, dimmelo," ordinai.

"È solo che. . ." Iniziò. "Questo riguarda Jane, non noi. Non dovrei parlarne."

"Dillo lo stesso," comandai. Quei grandi occhi mi guardarono di nuovo, sapeva che non avrei lasciato perdere.

"Beh. . . voglio dire, perché la Signora Hellman non dovrebbe fare a noi quello che ha fatto a Jane? Siamo noi quelli che causiamo problemi. Perché non portare noi nella sala operatoria?"

Avevo pensato all'idea di essere cancellato dalle registrazioni del Wickendale sin dal giorno in cui era sparita Cynthia, domandandomi la stessa cosa troppe volte.

"Non ti preoccupare di questo," la rassicurai. "La Signora Hellman non potrebbe mai ucciderci," beh, non in quel modo almeno. "Siamo troppo conosciuti. Tutti sanno chi sono; il famoso Harry Styles, conosciuto per aver spellato delle donne. E per quanto riguarda te, tutti quelli dell'istituto ti conoscono. Tutti gli impiegati e tutti i pazienti. Se un giorno sparissimo magicamente come Cynthia e Jane, troppe persone si insospettirebbero."

Rose annuì e si rilassò nuovamente, confortata dall'idea. Invece Mikayla, non sembrava così sollevata.

"Okay, mi dispiace rovinare il tuo piccolo 'Sherlock Holmes moment', ma di cosa diavolo state parlando?" Ci chiese. "State dicendo che la direttrice ha davvero ucciso Jane? E sta cercando di uccidere anche voi due?"

Guardai Rose in aspettativa. Ma mi diede una gomitata, incitandomi a parlare. Così le dissi della nostra teoria, dei test al cervello e delle operazioni pericolose ed illegali che stavano avvenendo al Wickendale. Non era esattamente un segreto, ma parlai con un tono basso, così da non farci sentire.

Tuttavia, non le dissi del figlio della Signora Hellman e delle nostre disavventure con quella famiglia malvagia. Spiegai e tralasciai un bel po' di cose. Divulgare troppo sarebbe potuto essere pericoloso.

"Porca puttana," bisbigliò quando ebbi finito. "Questo è folle, non possono farlo!"

"Sì possono," dissentii. "Voglio dire, cosa possiamo fare noi per fermarli?"

"Non lo so, ma dobbiamo fare qualcosa. Andare dalla polizia. Dalle guardie, magari?"

"Sono quasi perfide quanto la Signora Hellman. Non sarebbe un bene."

Mikayla sbuffò e si appoggiò contro la sua sedia, e dalla sua espressione riuscii ad immaginare i suoi pensieri. Ma sapevo che, troppo presto, avrebbe scoperto l'inevitabile; non c'era niente che noi avessimo potuto fare. Così rimanemmo semplicemente seduti insieme alla nostra sconfitta, al dolore e alla tristezza mentre pensavamo a Jane. Ma non c'era nessun pianto. Nessuna preghiera e nessuna somiglianza ad un qualsiasi tipo di funerale o addio. Poiché nessuno di noi aveva conosciuto Jane abbastanza bene da avere questo diritto. E nessuno di noi poteva comportarsi come se niente fosse successo, perchè avevamo conosciuto Jane, anche se solo per poco. Non sembrava giusto fare una battuta sarcastica e cercare di alleggerire lo stato d'animo o cambiare argomento, ma non potevamo neanche ricordare e singhiozzare dei ricordi inesistenti su di lei. Potevamo soltanto rimanere seduti.

Avevo preso in considerazione l'idea che lei sarebbe potuta essere viva, ma i due giorni della sua scomparsa, dopo che era stata vista entrare in 'sala operatoria', non lasciarono tanto spazio alla speranza. E pure se fosse, l'unica speranza che mi era rimasta l'avevo infusa nell'evasione mia e di Rose. Guardai in basso la sua mano ancora intrecciata alla mia, e cercai di concentrarmi su questo. Forse Jane non ce l'aveva fatta, forse Cynthia era sparita, forse altri sarebbero rimasti qui per sempre. Ma io e Rose eravamo diversi. Potevamo farcela. Dovevamo.

Anche se questi erano pensieri positivi, l'atmosfera e l'umore della giornata erano tutto il contrario. Così fui sollevato quando il pranzo finì, dopo minuti trascorsi seduti in un silenzio tombale.

Mikayla andò via senza dire una parola ed io salutai Rose con dei baci. Sperai soltanto che domani non avessimo dovuto trascorrere il pranzo con una morte su cui piangere.

ROSE'S POV.

Questa era una cosa che ammisi con grande compassione, ma Harry era abituato a perdere delle persone. Mi spezzava il cuore sapere che fosse davvero così, ma tutti quelli che lui amava, li aveva persi col sopraggiungere della morte. Così la morte di Jane, anche se lui si era assunto la responsabilità e la colpa, non lo stava straziando come avrebbe dovuto.

Ma io, invece, non ero abituata. Ero stata abbastanza fortunata da non affrontare tante morti durante la mia vita. Per cui la morte di Jane, anche se non la conoscevo così tanto bene, lasciò rabbia e dolore dentro di me provocandomi un terribile stato d'animo.

Anche ora che stavamo dipingendo per lasciare andare le nostre emozioni in qualche sorta di forma ridicola di terapia, una delle poche attività che apprezzavo, tutto ciò che riuscii a fare, fu stare seduta e fissare la tela vuota, gli altri pazienti vagavano per tutta la stanza o trascinavano stupidamente e vigorosamente i loro pennelli sulla carta. Ma io non avevo una briciola di ispirazione, considerando gli eventi di oggi.

Fu così fino a quando non sentii una voce rauca e profonda a pochi centimetri di distanza dal mio orecchio. "Sembra fantastico, piccola."

Saltai per la sorpresa, girandomi per incontrare il viso di Harry, in bilico, sulla mia spalla. Risi quando mi rivolse un sorriso goffo. "Visto?" Gli chiesi sarcasticamente. Poi, con più serietà, aggiunsi, "Non ho nessuna ispirazione."

"No, sono serio," disse convinto, avvicinandosi alla tela bianca e vuota. "È affascinante. Questo dipinto parla davvero con me."

"Sta' zitto," risi. "Prova tu a dipingere qualcosa."

"Okay," concordò, accettando la sfida. C'era una tavola accanto a me piena di numerosi colori e pennelli. Strumenti innocui per il gruppo di pazienti che li usava per dipingere. Harry scelse un blu profondo ed un pennello grande e grosso. Mescolò la vernice e la guardò turbinare nella sua piccola tazza, prima di tirar fuori il pennello, muovendo a scatti il suo polso verso la tela ed iniziando a schizzare macchie su tutto lo spazio vuoto.

Ripeté l'azione, ma poco prima di lanciare un altro schizzo, girò il pennello nella mia direzione. Mi lasciai sfuggire in un gridolino mentre il liquido mi colpiva, lasciando delle macchie su tutta la mia guancia. Harry iniziò a ridere ed io cercai di sopprimere il mio sorriso crescente. "Cosa stai facendo?" Chiesi, ridendo.

"Non lo so. Sto semplicemente cercando di farti stare meglio." Fece un passo verso di me con il pennello tra le mani, ma io gli catturai il polso con una mano prima che si avvicinasse troppo.

"Ascolta, so che il pranzo è stato difficile," mi disse. "Ma non possiamo continuare a tormentarci. So che aveva un figlio e che non se lo meritava, ma se continuiamo a pensare a queste cose, impazziremo. Non possiamo farci niente."

Annuii e forzai un sorriso, ma non sembrava ancora che avesse finito.

"Hey, guardami," disse Harry e portò la sua mano sulla mia guancia. "Non pensare troppo alle cose che stanno succedendo qui. Un giorno, ti porterò lontano da questo posto. Ti prometto che non ci saranno più morti, sale operatorie o torture. Scapperemo e ti terrò al sicuro, okay?"

"Okay," annuii, la mia testa sulla sua mano, mentre mi accarezzava, premendo le sue labbra sulle mie. Il bacio fu breve, non potevamo permetterci di approfondirlo in questo luogo affollato.

Ma quando lo guardai, notai qualcosa di strano nella sua espressione. Stava provando ad unire le sue labbra per non ridere, ma non riuscì a reprimere il suo sorriso. Ero leggermente confusa, fino a quando non allontanò la sua mano e sentii una macchia bagnata sulla guancia che lui aveva toccato. I miei occhi sfrecciarono sulla sua mano, trovandola colorata di vernice blu.

"Harry!" Protestai, colpendogli il petto. Non appena la mia mano toccò il tessuto della sua uniforme, scoppiò a ridere.

"Comunque dicevo sul serio!" Disse attraverso la sua risata. "Intendevo dire tutto quello che ho detto, ma dovevo farlo."

Risposi ghignando e scuotendo leggermente la testa in disapprovazione. Immersi velocemente la mia mano in un piccolo contenitore di vernice rossa sul tavolo. Prima che Harry potesse reagire, usai le mie dita per schizzare verso di lui le piccole goccioline rosse. Cercò di scappare ma fui più veloce io.

"Hah!" Dissi vittoriosamente quando la vernice colpì la sua uniforme.

Harry si morse le labbra mentre abbassava lo sguardo per guardare il casino sull'uniforme. "L'hai voluto tu stavolta," disse con un sorriso malvagio. Prese il pennello di vernice blu dal suo posto sul cavalletto. I miei occhi si spalancarono non appena realizzai le sue intenzioni. Mi girai e me ne andai, dimenandomi tra la marea di gente che stava davvero dipingendo sulla tela, a differenza nostra. Strillai e ridacchiai mentre lui si avvicinava sempre di più.

C'era un piccolo spazio nel retro, leggermente fuori dalla vista. Era un'estensione della stanza, quasi un piccolo corridoio. Forse portava ai ripostigli e ai bagni.

Corsi lì dentro ed andai immediatamente a mettermi con la schiena al muro, appiattendomi contro di esso. Ma Harry fu attento, e mi trovò solo pochi istanti dopo. "Presa." La sua alta figura si avvicinò lentamente, prendendosi il suo tempo ora che sapeva di avermi. Ero bloccata in un angolo mentre lo imploravo. "No! No, Harry, non farlo!"

Ma la mia risata, attraverso tutta la frase, non la fece suonare come una vera supplica. Harry si avvicinò fino a ritrovarsi solo a pochi passi da me, facendo scivolare il pennello lungo il mio collo mentre continuavamo a ridere. Non riuscivo ad allontanarlo, così, invece, tentai di afferrare il pennello dalla sua mano. Dopo diversi tentativi, lo strappai via dalla sua presa. Non persi tempo e lo feci scorrere sul suo volto. Una striscia di colore blu colorò la sua guancia fino al fondo della sua mascella, nella parte in cui si incontrava col collo. "Preso."

Improvvisamente, con un movimento delicato, Harry tirò via il pennello dalla mia mano, vincolando i miei polsi contro il muro e premendo il suo busto contro di me per premere le sue labbra sulle mie. Il bacio fu profondo ed avido ma anche dolce con i nostri sorrisi che non accennavano a svanire. Il mio respiro aumentò con il cambiamento improvviso e sentii i miei seni appiattirsi contro di lui, ad ogni mio respiro. Lui era così vicino a me, ma quelle dannate uniformi, ancora una volta, erano in mezzo. Avevamo bisogno di stare più vicini.

Harry si allontanò. "Ho bisogno di toglierti questa uniforme," disse, come se stesse leggendo i miei pensieri. "Ho bisogno di vederti, di vedere tutto di te."

Fece inclinare la mia testa di lato, iniziando a baciare la pelle bianca del mio collo.

"Scommetto che sei bellissima sotto questa logora uniforme," sussurrò. "Tutte le tue curve e la tua soffice, pelle liscia."

Infilai le mie dita tra i suoi capelli, e gli sollevai la testa, in modo tale che le sue labbra ritornassero sulle mie. Lo avevo baciato molte volte ma sentivo ancora tutte le farfalle e l'eccitazione che avevo provato nella sua cella, tempo fa.

"Ti amo," dissi non appena ci fu una pausa dal nostro bacio.

"Ti amo," disse Harry senza fiato.

Dei passi riecheggiarono vicino l'entrata del piccolo corridoio, nel quale ci stavamo nascondendo.

Improvvisamente, mi accorsi non fosse poi un'area così tanto isolata. Potevamo essere scoperti in qualsiasi momento. Anche Harry realizzò la stessa cosa e si allontanò da me per non essere notati. "Andiamo," sorrise, afferrando la mia mano e trascinandomi via dai nostri pochi minuti di privacy.

Una volta ritornati dagli altri pazienti, provammo davvero a dipingere sulla tela. Harry continuava a spingermi dalla spalla per farmi sbagliare ed io continuavo a strisciare il mio pennello sulla sua tela, così nessuno dei due dipinti fu poi un granché. Ma salvai il mio da ulteriori disastri, posizionandolo nei cubicoli annuari che mettevano sulle pareti. Trovai il mio nome in fondo su uno di essi e vi infilai dentro il mio 'quasi finito' dipinto. I cassetti in plastica erano davvero ridicoli, non avevamo cinque anni.

Quando mi alzai e mi allontanai dal ridicolo cubicolo, fui sorpresa di trovare una donna in piedi proprio davanti a me. Aveva dei capelli grigio scuro, aggrovigliati e luridi. Sotto i suoi occhi c'erano delle scure occhiaia che pendevano e delle rughe che tracciavano delle linee sul sul viso. Ma non sembrava avere più di quarant'anni.

"Aiutami," sussurrò freneticamente. Fui allarmata dal suo approccio furtivo e sobbalzai un pochino. Guardai Harry ma lui stava ancora lavorando, curvo sul suo dipinto ed ignaro della situazione.

"Con cosa?" Domandai il più amichevolmente possibile.

"L'uomo è tornato. È già stato qui anni fa, ma ora è tornato e sono così spaventata," disse attraverso dei sussurri taglienti e veloci che io a malapena riuscii a capire.

"Mantieni la calma," istruii. "Respira."

"L'uomo è pericoloso. Il peggiore tra tutti gli uomini, ed è proprio qui in questa stanza con noi. È pericoloso e dovremmo tutti stargli lontano! Ha fatto una cosa terribile tempo fa. Ed è di nuovo qui. Devi stargli lontana." Stava iniziando a disperarsi e a diventare frenetica. Il suo corpo stava tremando e sembrava così incredibilmente spaventata.

"Chi è l'uomo?" Chiesi, aspettandomi che avesse indicato Kevin, o James magari. O che avesse indicato un paziente, tipo Norman. Ma fece tutto il contrario di ciò che mi stessi aspettando.

E con quella sua mano tremante e ossuta sollevò un dito, e lo puntò su Harry.

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